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10.04.13

Repubblica Nazionale “G8, Gratteri vada in carcere: non si è pentito”

Repubblica Nazionale

“G8, Gratteri vada in carcere: non si è pentito”
Il Pg di Genova contro l’affidamento ai servizi sociali dei poliziotti
condannati per la Diaz
MARCO PREVE
GENOVA
— I super poliziotti condannati in Cassazione per le violenze e i falsi
verbali della scuola Diaz del G8 di Genova 2001 non meritano l’affidamento
al servizio sociale ma devono andare in carcere. Lo sostiene, seppur con
dei distinguo gerarchici, la Procura generale di Genova nella memoria di
21 pagine depositate per l’inizio delle udienze davanti al Tribunale di
sorveglianza. I giudici stabiliranno se i 17 condannati debbano finire in
cella oppure possano ottenere i benefici previsti dalla legge. Hanno
commesso reati gravissimi e infamanti, non si sono mai pentiti
manifestando «indifferenza assoluta per le loro vittime», addirittura le
loro carriere sono progredite, e poi «nessuno di loro ha minimamente
provveduto a risarcire i danni alle parti civili», e quanto ai loro
propositi di trasformarsi in volontari si tratta di istanze «evanescenti».
Sono queste le obiezioni del Pg Vito Monetti.
«Con riferimento all’esame delle istanze di misure alternative — scrive
Monetti — questo ufficio ha per talune di esse già valutato negativamente
la ricorrenza dei presupposti di concessione delle stesse».
Il magistrato differenzia tra le posizioni dei subordinati e quelle dei
massimi dirigenti della polizia dell’epoca come Francesco Gratteri,
Gilberto Caldarozzi, Giovanni Luperi, che hanno fatto la storia
dell’antimafia e della lotta al terrorismo ma che, per i giudici, «hanno
leso l’onore di tutta la polizia
italiana» davanti al mondo.
Monetti elenca i parametri per valutare le loro richieste. Ma per ogni
punto i poliziotti della Diaz ne escono (almeno loro in senso figurato)
con le ossa rotte. Il Pg ricorda che i reati che hanno commesso e che
dovevano servire a coprire violenze e abusi che in Europa sono considerati
tortura, dovrebbero essere puniti con una pena «che non deve essere
simbolica o senza pratiche conseguenze ». Nel caso Diaz, invece, con buona
parte dei reati prescritti la pena perde l’effetto di «deterrenza».
Monetti passa poi ad esaminare le condotte successive al reato. Ma anche
qui «il quadro che emerge appare di segno decisamente negativo». Si parla
di «assoluta mancanza di segni di resipiscenza per l’accaduto», assenza
«della doverosa collaborazione al procuratore della Pepubblica», e ancora
«tutti i condannati hanno sostanzialmente inteso scaricare
eventuali responsabilità su altri». Secolo Monetti «l’incapacità della
presa di coscienza» è dovuta anche ai legami interni alla polizia dove
tutti i «condannati sono rimasti in posizioni di rilievo».
Quanto poi ai risarcimenti mancati, il primo passo secondo Monetti sarebbe
stata la «considerazione della sofferenza causata alle vittime» ma,
invece, «non è dato scorgere alcun sintomo di un mutato atteggiamento»,
anzi «assoluta indifferenza nei confronti delle vittime». Versante
economico, neppure un soldo è arrivato dai condannati ma solo, e
parzialmente, dallo Stato.
Quanto alle richieste di affidamento e ai progetti di lavori socialmente
utili (Gratteri con un’associazione anti-usura, Luperi alla Croce Rossa,
altri al gruppo Abele di Torino) secondo Monetti si tratta di proposte
contrassegnate da «un’estrema genericità ».

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