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03.10.12

Repubblica Nazionale “Diaz, un massacro che ha screditato l’Italia nel mondo”

“Diaz, un massacro che ha screditato l’Italia nel mondo”
MASSIMO CALANDRI

Le motivazioni della Cassazione, bufera su De Gennaro
ROMA
— Le violenze della polizia «sadica e cinica» durante la sanguinosa
irruzione nella scuola Diaz di Genova, al G8 del 2001, hanno «gettato
discredito sulla Nazione agli occhi del mondo». A dirlo è la Cassazione
nella maxisentenza di 186 pagine che ha confermato le condanne.

“Picchiavano e urlavano bastardi la Diaz ci ha screditato nel mondo fu De
Gennaro a chiedere gli arresti”
La Cassazione sul G8: odiosa la condotta dei vertici della polizia
MASSIMO CALANDRI
ROMA
— Questa è una storia di cui ci dobbiamo vergognare, dice la Cassazione.
Tutti. Perché sono undici anni che pesa sulle coscienze del nostro Paese.
Scuola Diaz, il G8 di Genova. I colpevoli che non hanno mai chiesto scusa
e sono rimasti al loro posto, nonostante le condanne. Che sono stati
promossi, mentre intorno si faceva finta di nulla, aspettando che il tempo
cancellasse tutto quel sangue. Però ieri la Suprema Corte ha fermato
l’orologio del silenzio, lo ha fatto con parole che non si possono più
ignorare. «È stato gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo
intero», scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza per il
sanguinario assalto. All’inizio del luglio scorso erano state confermate
le condanne in appello nei confronti di “celerini” e dei vertici del
ministero dell’Interno: di chi a colpi di manganello spezzò braccia,
frantumò denti, spaccò teste, di chi ordinò il massacro, di chi fece finta
di nulla, di chi provò a truccare le carte dell’indagine. Tre mesi dopo i
giudici spiegano il perché di quella
decisione. E nelle 186 pagine del provvedimento c’è un monito a non
dimenticare. Mai.
LA MACELLERIA
«Fu un puro esercizio di violenza ». Una operazione «militarizzata » e
condotta «in maniera cinica e sadica». Il primo ad essere ricordato dai
giudici è colui che non è mai stato condannato, neppure indagato in questa
inchiesta. Gianni De Gennaro nel luglio 2001 era il capo della polizia. Fu
lui «ad esortare i suoi ad eseguire arresti». «C’era da riscattare
l’immagine della polizia italiana, apparsa inerte di fronte ai gravissimi
episodi di saccheggio e devastazione della città». Nel pomeriggio di
domenica, un giorno dopo la morte di Carlo Giuliani, le televisioni
internazionali avevano mandato in diretta gli scontri davanti a piazzale
Kennedy, il black bloc che distruggeva le vetrine, alzava barricate ed
incendiava auto, mentre le forze dell’ordine replicavano caricando i
pacifisti di corso Italia. De Gennaro disse basta. Ci volevano
prigionieri. E da Roma mandò il prefetto Arnaldo La Barbera. La scuola
Diaz, allora. Dove forse si nascondevano alcuni devastatori.
Ma quell’esortazione «ha finito con l’avere il sopravvento rispetto alla
verifica del buon esito della perquisizione stessa».
MESSINSCENA DOPO IL PESTAGGIO
«Ognuno conosce i suoi animali. E qui le cose non vanno bene». La Barbera
aveva fiutato che quella notte gli agenti erano troppo eccitati, nervosi.
Ma non c’era più tempo per fermare la macchina.
«Fu un sistematico ed ingiustificato uso della forza». I no-global a mani
alzate, gli altri che gridavano «bastardi» e colpivano alla cieca. Furono
«colluttazioni unilaterali », come raccontò il vice-questore Michelangelo
Fournier (quello che denunciò la «macelleria messicana ») senza rendersi
conto della grottesca drammaticità di quell’espressione. E dopo il
massacro cominciò «una scellerata operazione
mistificatoria». Le due molotov falsamente attribuite ai ragazzi della
Diaz e invece portate dentro dai poliziotti, le finte coltellate ad un
agente, l’arsenale inventato di sana pianta. Tutto fasullo, per
giustificare il sangue e gli arresti. Servivano prigionieri, quel G8
avrebbe fatto fare carriera a tutti: costi quel che costi. E i
superpoliziotti erano «perfettamente consapevoli» della vergognosa
messinscena.
L’ACCUSA DI TORTURA
Il 5 luglio scorso sono stati tutti condannati, e tra di loro Francesco
Gratteri, oggi capo dell’Anticrimine, Giovanni Luperi al vertice del
reparto analisi dell’Aisi, Gilberto Calderozzi, numero uno dello Sco. Pene
superiori ai tre anni e mezzo, con l’interdizione dei pubblici uffici. Il
ministero del-
l’Interno è stato costretto a sospenderli, ma non ha avviato alcun
provvedimento disciplinare. Non ancora. «Dopo queste motivazioni qualcosa
il Viminale dovrà muoversi, se davvero vuole fare pulizia», spiega
Emanuele Tambuscio, uno dei legali delle vittime. «Altri funzionari
condannati per il G8 sono rimasti tranquillamente al loro posto. E poi ci
sono i “celerini”: per loro è intervenuta la prescrizione, ma il massacro
l’hanno compiuto. Il ministero continuerà a fare finta di nulla?». Il
pestaggio dei no-global era equiparabile al reato di «tortura», ha detto
la Cassazione. Però, «la pretesa che la Corte costituzionale, con una sua
pronuncia, possa espandere l’area dell'imprescrittibilità ad ipotesi
attualmente non previste si pone al di fuori dei poteri della Corte».
Niente da fare: il reato di tortura non è disciplinato dalle leggi
italiane. Argomento questo su cui la Corte Europea di Strasburgo ci ha già
gettato ampio «discredito » agli occhi del mondo argomentando sui casi di
Carlo Giuliani e della caserma di Bolzaneto.
IL PASSATO NON CONTA
Il comportamento dei funzionari alla Diaz fu «odioso», scrive la
Cassazione. Ricorrendo alla Corte, i superpoliziotti - e insieme a loro il
ministero dell’Interno - hanno fatto riferimento alle «brillanti carriere»
dei condannati. Come dire: Caldarozzi, che ha arrestato Brusca e
Bagarella, merita un trattamento diverso. «I percorsi professionali non
hanno rilievo», ha replicato secca la Cassazione. La legge è uguale per
tutti. Nel frattempo la Procura generale del capoluogo ligure ha
dichiarato “ammissibili” le istanze con cui i funzionari della polizia
hanno chiesto l’affidamento ai servizi sociali per scontare la pena fuori
dal carcere. Lo ha confermato uno dei loro avvocati, Marco Corini: «Ora
gli atti sono stati trasmessi alla magistratura di sorveglianza che dirà
la parola finale. L’udienza, probabilmente, si terrà con l'anno nuovo. Nel
frattempo la pena è sospesa».

“Ora si dimetta da sottosegretario” sinistra e radicali tornano alla carica
ROMA
— La sinistra radicale chiede la dimissioni dell’ex capo della polizia,
Gianni De Gennaro, oggi nel governo Monti sottosegretario alla Sicurezza
con delega ai Servizi. È l’allora portavoce del Genoa Social Forum, il
medico Vittorio Agnoletto, ad attaccare: «Le motivazioni della Cassazione
sulla scuola Diaz sono quasi più importanti della sentenza stessa.
Chiamano in causa De Gennaro che come capo della polizia invitò gli agenti
ad arresti di massa.
Le sue indicazioni hanno prevalso sul rispetto della legalità,per questo
si deve dimettere ». Sostiene Agnoletto: «La Cassazione con queste
motivazioni apre un’altra questione: è impensabile che il capo della
polizia abbia potuto dare ordini senza consultare o almeno informare i
responsabili politici e, quindi, l’allora presidente del Consiglio Silvio
Berlusconi e il ministro dell’Interno Claudio Scajola. Sono loro le
responsabilità politiche di quella notte». In una nota, il segretario di
Rifondazione comunista, Paolo Ferrero, scrive: «La cosa più vergognosa è
che l’allora capo della polizia Gianni De Gennaro goda ancora della
fiducia della politica e rivesta ancora ruoli istituzionali di primo
piano». Per i Radicali «era già parsa inopportuna la nomina dell’ex capo
della polizia», scrive Marco Perduca, co-vicepresidente del Senato, «ma
dopo le motivazioni della Cassazione sulla sentenza Diaz mi pare difficile
che De Gennaro possa restare dov’è».

“I colpevoli hanno fatto carriera all’estero avrebbero già lasciato”
ROMA
— «La notte della Diaz è stato il Ground Zero della polizia e della
democrazia italiana. È crollato tutto. Questa sentenza e le sue
motivazioni sono il primo passo verso la ricostruzione di un rapporto di
fiducia verso i cittadini. Verso il mondo intero, che non ha dimenticato
quello che è successo a Genova. Ma non basta». Mark Covell è il
giornalista inglese che quella sera fu aggredito fuori dall’istituto di
via Cesare Battisti, preso a calci e pugni: le costole rotte, un polmone
perforato, quattro denti perduti, in fin di vita per tre giorni.
Non bastano queste motivazioni, per ricostruire.
«No. Servono fatti concreti. Le dimissioni di Gianni De Gennaro, tanto per
cominciare. Ma poi è tutta la politica italiana che deve finalmente
interrogarsi. Non possono continuare a fare finta di niente, ad ignorare
l’evidenza. Il sangue, le bugie».
In Inghilterra non sarebbe successo?
«In Inghilterra, e in tutti i paesi civili, i colpevoli si sarebbero
assunti le loro responsabilità di fronte all’evidenza dei fatti. Per non
dire
poi delle condanne: ma come si fa a non dimettersi, a continuare a fare
carriera? Ma quale Paese può accettare una cosa del genere?».
Un Paese dove però i giudici sono andati sino in fondo.
«Sono molto orgoglioso di avere conosciuto persone come Enrico Zucca, il
pm che per tutti questi anni ha sopportato pressioni incredibili ma ha
trovato la forza di andare avanti. È perché c’è gente come lui, che sono
sicuro
che riuscirete a recuperare un rapporto di fiducia con le istituzioni. Ma
qualcuno deve andarsene. Ci vuole un esempio, perché se i primi ad
ignorare la legge sono quelli che dovrebbero farla rispettare, è finita».
Domani a Roma otterrà un risarcimento di 350.000 euro dal ministero
dell’Interno per le violenze che ha subìto.
«La mia vita è stata distrutta. Ho perso la salute, ma non la voglia di
lottare. E spero in un’altra inchiesta ancora».
Quella sul suo tentato omicidio, davanti alla Diaz.
«È rimasta a carico di ignoti. C’è un filmato che riprende i miei
carnefici. Ma nessun poliziotto, nessun collega, li ha riconosciuti.
Omertà. Da dieci anni. Spartaco Mortola mi ha visto a terra, sul
marciapiede, ma poi ha scritto che mi avevano trovato dentro la scuola. E
il loro capo, Antonio Manganelli, dice che vuole fare pulizia: ma come
fate a fidarvi di persone così?».
(m.cal.)

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