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06.07.12

repubblica genova Diaz, undici anni dopo: “Giustizia è fatta”

La Cassazione conferma le condanne: fuori dalla polizia i vertici del blitz
MASSIMO CALANDRI

«GIUSTIZIA è fatta». La Cassazione ha confermato le condanne nei confronti
dei superpoliziotti e degli agenti responsabili del sanguinario assalto
alla scuola Diaz. Il verdetto consacra una verità che è sempre stata sotto
gli occhi di tutti, anche e soprattutto di quelli che non volevano
guardare.

Diaz, l’ultimo verdetto della Cassazione Fuori dalla polizia i vertici
condannati
Undici anni dopo la tragica notte del G8 si chiude il processo
Il dossier
MASSIMO CALANDRI

ADESSO non ci sono più versioni di parte, adesso basta: è andata così, è
andata che nell’istituto scolastico di via Cesare Battisti, l’ultima notte
del G8 di Genova, è stata scritta una delle pagine più nere e vergognose
della Polizia di Stato e della storia dello Stato italiano. Perché al
massacro indiscriminato di 93 persone innocenti ed inermi, alla loro
ingiusta carcerazione — cui seguirà un’altra mattanza della democrazia,
quella di Bolzaneto — si era aggiunto un secondo delitto, ancora più
grave: il falso, la sporca bugia, l’insabbiamento, la prepotenza di chi
pensava di poter cambiare le carte in tavola facendosi forza del proprio
prestigio istituzionale. Ancora non ci si crede, a quella conferenza
stampa in questura del giorno dopo:
all’arsenale sequestrato ai
pericolosi Black Bloc,
alla richiesta di convalida dell’arresto firmata dall’allora procuratore
Francesco Lalla. Ma in quei giorni di luglio, nel tribunale del capoluogo
ligure c’erano anche altri magistrati. Della vicenda finirono per
occuparsi due pm — Enrico Zucca, Francesco Cardona Albini — che non hanno
avuto paura. E hanno smontato una dopo l’altra le sistematiche menzogne
degli uomini in divisa. Le ferite
pregresse. La resistenza dei noglobal. Le molotov fasulle. Il presunto
accoltellamento di un agente. Persino il presupposto dell’operazione di
polizia, l’aggressione ad alcune pattuglie in perlustrazione. I pericolosi
Black Bloc, i sovvertitori dell’ordine costituito, stavano dall’altra
parte. Quelli davvero pericolosi erano in realtà coloro che avrebbero
dovuto difenderci ed assicurare l’ordine pubblico. Ci sono voluti undici
anni, ma ora possiamo
dirlo. «Giustizia è fatta», gridano in coro i 93 della Diaz e i loro
avvocati. Ed Antonio Bruno, capogruppo di Rifondazione in consiglio
comunale, aggiunge giustamente che questa sentenza significa che «anche in
Italia c’è speranza». Speranza di un mondo migliore, nonostante tutto.
I legali di alcuni dei superpoliziotti, come Gilberto Caldarozzi, hanno
fatto sapere che ricorreranno alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. A
Strasburgo ci
hanno già giudicato — e condannato — per la disastrosa gestione
dell’ordine pubblico durante quelle sciagurate giornate del vertice
internazionale. Hanno ribadito che l’Italia è un paese dove si “torturano”
impunemente i prigionieri, ed hanno citato Bolzaneto. Hanno perfettamente
chiaro come siano andate le cose a Genova undici anni fa, e non avranno
difficoltà a ribadirlo.
Restano ancora mille ombre. I
responsabili del tentato omicidio di Mark Covell, la tredicesima sui
verbali d’arresto, quelle telefonate tra funzionari prima e dopo il
processo. E poi vale la pena di ricordare che le condanne per lesioni sono
andate prescritte. Ma questo tutto sommato importa poco. Perché restano le
cicatrici di quelle lesioni, delle ferite ai 93 no-global, alla nostra
città e alla democrazia. Quelle non se andranno. Mai.

Giuliano Giuliani, speranza e sfida “E ora la verità sulla fine di Carlo”

«SONO felice per la sentenza. Ma l’amarezza e la paura, dentro di me, non
se vanno». Sara Bartesaghi, genovese, una delle vittime dell’assalto alla
scuola Diaz, ha atteso ieri sera con la madre Enrica la sentenza. «Spero
che questa sentenza costituisca una luce, un faro. Spero che freni le
manganellate per un po’. Ma è difficile credere che le cose non
continueranno ad andare così. Serve più rispetto per i diritti e le
diversità. E quello ancora non c’è». Giuliano Giuliani, padre di Carlo, il
ragazzo ucciso in piazza Alimonda il 20 luglio del 2001, parla di «notizia
positiva, da accogliere con soddisfazione». «Vuol dire che in questo paese
c’è ancora un barlume di giustizia», dice, e lancia un augurio: «Ora
speriamo che ci siano altre pagine di questo genere. Cercheremo in tutti i
modi di ottenere verità e giustizia anche sull’assassinio di Carlo». Per
Heidi, la moglie che fu anche parlamentare con Rifondazione, parla di
giustizia, ma «incompleta »: «In verità le responsabilità sono più ampie.
Penso alla assoluzione dell’allora capo della polizia, e al mancato
processo per la morte di mio figlio». Un altro genovese, l’avvocato
Emanuele Tambuscio, sottolinea la eccezionalità di questa decisione: «Mai,
nelle democrazie occidentali, si è arrivati ad una condanna per funzionari
della Polizia di così alto livello». Ma ora, «giustizia è fatta: ci sono
voluti 11 anni per arrivare a questo verdetto, e la Cassazione è stata
coraggiosa». Laura Tartarini, legale anche lei genovese, non può che
essere «soddisfattissima ». E aggiunge una riflessione sull’operato delle
forze di polizia. «Quello della Diaz è
stato uno dei casi peggiori di sempre, ma questa sentenza può essere un
segnale perché si faccia chiarezza anche sugli abusi che quotidianamente
vengono perpetrati ». C’è un altro importantissimo appuntamento legato al
G8, ed è la sentenza di Cassazione
— attesa per il 13 luglio — sui 25 presunti Black Bloc che devastarono e
saccheggiarono la città di Genova. «La decisione della cassazione
sull’assalto alla scuola dimostra che undici anni dopo si possono
rileggere i fatti con il giusto equilibrio. Mi auguro accada
lo stesso anche con questo secondo processo, perché è impensabile che un
ragazzo possa essere condannato a dieci anni di reclusione per aver
mandato in frantumi una vetrina».
«E’ venuto il momento che lo Stato italiano chieda scusa alle vittime
della Diaz, a Genova e a tutto il popolo italiano», ha detto Vittorio
Agnoletto, allora portavoce del Genoa Social Forum. «Tutte le persone
condannate devono andarsene immediatamente dalla polizia», ha aggiunto.
«Credo che essendo stati condannati il numero due, il numero tre e il
numero quattro, anche l’allora numero uno, Gianni de Gennaro, pur non
essendo stato condannato, ha la responsabilità etica e morale di quanto è
accaduto e deve dimettersi da sottosegretario con la delega ai servizi
segreti».
(m. cal.)

Mortola, il superpoliziotto che sperava di tornare da questore

TRA i super-poliziotti condannati ieri ce n’è uno che è due volte legato
al capoluogo ligure: Spartaco Mortola, in questi undici anni protagonista
di una splendida carriera in barba alle ombre del G8 (da un anno e mezzo è
diventato questore, dirige la Polfer a Torino), è originario di Camogli e
genovese a tutti gli effetti, genoano Doc. Allora era ai vertici della
Digos, chi lo conosce bene dice che continua a coltivare il sogno di
tornare nel capoluogo ligure per sedere sulla poltrona di questore. Da
stamani sarà un po’ più difficile, anche perché la condanna — per lui come
per gli altri vertici del Ministero dell’Interno — prevede la interdizione
dai pubblici uffici per cinque anni e, a rigor di logica, l’immediata
sospensione. Da questo punto di vista ieri il ministro Anna Maria
cancellieri (già prefetto a Genova) è stata categorica: «La sentenza della
Corte di Cassazione va rispettata come tutte le decisioni della
magistratura. Il ministero dell’Interno ottempererà a quanto disposto
dalla Suprema Corte. La sentenza mette la parola fine a una vicenda
dolorosa che ha segnato tante vite umane in questi undici anni. Questo non
significa che ora si debba dimenticare. Anzi, il caso della Diaz deve
restare per sempre nella memoria».

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