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24.03.12

La vittima e il poliziotto davanti al film della Diaz

Repubblica Nazionale
La vittima e il poliziotto davanti al film della Diaz
CARLO BONINI

LA FURIA dei tonfa, i manganelli dall´impugnatura a "T", è un rumore
raggelante di braccia e gambe spezzate. Sangue e materia cerebrale
allagano il parquet della palestra scolastica, sbaffano gli intonaci,
gocciano dai termosifoni, in un Sabba infernale di grida, lamenti, che
hanno il suono osceno di bestie portate al macello. Nella piccola sala di
proiezione privata, Michael Geiser torna a vederseli addosso.
Quattrocento poliziotti, o quanti diavolo erano. Scuote la testa percorso
da un tremore improvviso. Come un naufrago, si afferra ai braccioli della
poltroncina. Gli occhi si allagano di lacrime che cominciano a rigargli le
guance di uomo di mezza età, quale ormai è diventato. E non c´è verso di
ricacciarle indietro. Seduti accanto a lui, nel buio, due poliziotti,
Claudio Giardullo e Franco Maccari, sono silhouette di pietra. Vedono per
primi immagini che il Viminale e la polizia italiana non ha sin qui
ritenuto di vedere e che attendono come una calamità. Le due ore di Diaz
di Daniele Vicari sono una potentissima macchina del tempo, un coraggioso
documento civile che strappa il rimosso di una notte di luglio di 11 anni
fa al buio in cui la cattiva coscienza del Paese ha cacciato i giorni del
G8 di Genova. Le immagini arrivano dove la parola - testimonianza o atto
processuale che sia - non può o non è potuta arrivare.
Non coltiva rancore, Michael. «Non mi piace, non mi è mai piaciuto
sentirmi o definirmi una vittima. Perché è una condizione esistenziale che
ti annichilisce una seconda volta». Il tempo gli ha regalato una doppia
paternità, una vita serena nel sud della Francia. La giustizia penale del
nostro Paese lo ha risarcito sin qui con una "provvisionale" di 5 mila
euro, identica a quella ricevuta dai 93 ragazzi che come lui vennero prima
pestati e quindi oltraggiati dalla costruzione di false prove nel
"complesso scolastico Diaz". E lui, ora, in questa sala di proiezione, si
ritrova a sussurrare la stessa domanda che gridò la notte del 21 luglio
2001, mentre si copriva la testa e il corpo dalla furia dei suoi
aggressori: «Perché?». «Perché?», cantilena una, due, tre, dieci volte. La
domanda diventa quasi un´implorazione quando le immagini stringono sulla
prigione di "Bolzaneto". Quando Michael torna ad essere vinto dal pianto e
persino il proiezionista abbassa lo sguardo dallo schermo che stringe su
una ragazza, già umiliata nel corpo, cui viene ordinato di pulirsi del suo
sangue mestruale con una lurida palla di giornale. «Perché?».
Claudio Giardullo osserva Michael con pudore. Ha comandato fino a pochi
mesi prima del G8 di Genova il Reparto Prevenzione Crimine di Roma. Nei
giorni della Diaz era già segretario generale del "Silp". «Vorrei che tu
sapessi che sono un poliziotto di sinistra. Rappresento i lavoratori della
Cgil». Franco Maccari gli tende la mano. «Sono un poliziotto anche io. Ma
di destra. Anche io difendo i lavoratori della polizia. Sono il segretario
del "Coisp" e sono cresciuto nel reparto Mobile di Padova. A Genova c´ero
anch´io. Accompagnai il vicepresidente del Consiglio Fini nella sua visita
alla sala Operativa». Michael li osserva con curiosità. Capisce che sono
d´accordo su una cosa sola. «Quello che è successo è ingiustificabile»,
dice Claudio. «Un errore gravissimo», chiosa Franco. «E dunque?», sorride
Michael.
Michael crede nella forza della memoria: «Se non ricordiamo, quello che
accadde allora si ripeterà». E a luci accese in sala, quando ai tre si
avvicinano anche il regista del film e il produttore, Domenico Procacci,
Maccari mette da parte ogni diplomazia. «È vero che la memoria è
importante. Ma cosa pensi dovremmo fare, Michael? Andare ogni sera a letto
e ricordarci della Diaz ripetendo che non accadrà più, come fosse una
preghierina? Andiamo... La polizia è cambiata. Sono undici anni che ci
facciamo un culo come un secchio per cercare di far capire che la polizia
italiana è un´altra cosa. Posso dirtelo e dirvelo? Il film è coraggioso,
ma è anche un obbrobrio. Che senso ha ricordare così? Serve solo a
ricacciarci tutti indietro al punto di partenza. A farci rimanere
inchiodati al risentimento di quel giorno maledetto. A me interessa il
presente. La riforma dell´articolo 18, l´Europa dei banchieri. Sono un
poliziotto ma scendo in piazza anch´io, che credi». Michael lo interrompe:
«E non pensi che la violenza silenziosa dell´Europa dei tecnocrati sia
cominciata quel giorno? Quando la polizia italiana ha cancellato
politicamente un´intera generazione, mostrando che il dissenso non era
ammesso? Lo sai che quella notte, quando la polizia arrivò alla Diaz io mi
stavo lavando i denti e litigai con gli altri, dentro la scuola, che
volevano barricarsi? Lo sai cosa dissi? "Perché dobbiamo avere paura della
polizia? Non abbiamo fatto nulla di male". Mi sbagliavo. E questo è un
problema. Se i miei, i tuoi figli si convincono che non c´è spazio per il
dissenso, per immaginare un mondo diverso, nei prossimi mesi l´Europa
diventerà un campo di battaglia. La polizia deve garantire questa
libertà». Maccari si fa serio: «Michael, quella che dici è un´ovvietà,
perdonami. Perché noi poliziotti questa libertà la garantiamo».
Giardullo ha un moto di insofferenza. «È vero, Franco. Ma ammetti che a
Genova non andò così. Non dire che così il film non serve. Piuttosto,
dimmi che in questo film manca la Politica. Mancano i politici che tu
accompagnavi quei giorni a Genova e che non si capisce che diavolo ci
facessero in un "teatro operativo già aperto"». «Ancora con la Politica?
Genova fu un gravissimo errore tecnico. Punto. Perché venne commissariata
la legittima catena di comando. Ancora con questo mito di Fini in
questura... Portò il saluto del governo. Non doveva?». «Ancora sì con la
politica. A Genova fummo strumento di un raffinatissimo disegno del
governo di centro-destra che intendeva terrorizzare i moderati di questo
Paese. Per convincerli che la piazza era un luogo senza ritorno. Un
disegno riuscito. E infatti credo che la scena più illuminante del film
sia la battuta che un negoziante della città rivolge a uno dei ragazzi del
Social Forum quando tutto è finito: "Che avete combinato?", dice. Ecco.
Qui è la chiave. La Polizia non dovrà mai più essere strumento di disegni
politici. E questo film credo aiuti a ricordare che la democrazia ha
bisogno di costante manutenzione».
Michael interrompe i due poliziotti. «Non si può essere neutrali rispetto
a quella notte. Perché se non si è parte della soluzione, si è parte del
problema». È un candore che, ancora una volta, mette a nudo il rimosso di
Genova. Ma che aiuta almeno a sciogliere le emozioni. Giardullo stringe le
spalle di Michael. «Non sono mai stato neutrale, credimi». Maccari lo
saluta afferrandogli con entrambe le mani l´avambraccio: «Sono contento di
averti conosciuto. Davvero. E per quello che può valere, mi dispiace per
quello che ti è successo».

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