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16.07.12

il manifesto LA POLITICA ASSENTE

LA POLITICA ASSENTE
di Livio Pepino, “Il Manifesto”
Dunque la Corte di cassazione ha deciso e ora quel che già sapevamo, nella
accezione pasoliniana del termine, è verità giudiziaria Molte sensazioni
si rincorrono. Mi tornano alla mente le parole di Sepulveda il giorno
dell’arresto del generale Pinochet:
« Scrivo queste righe perché non so fare altro. Abbraccio mia moglie e
tutti e due piangiamo. Piangiamo il pianto liberatorio di quanti non
abbiamo mai dimenticato, di quelli che non hanno mai smesso di credere nel
giorno della minima giustizia. Carmen ed io usciremo a fare un
passeggiata, e sentiremo che la pioggia sui nostri volti comincia
finalmente a lavare le vecchie ferite».
È questo il primo pensiero. La condanna non solo degli esecutori materiali
del massacro della Diaz ma anche dei funzionari che hanno coordinato le
operazioni e sono ricorsi al falso per giustificare la mattanza è la
vittoria delle vittime che non hanno mai smesso di credere che un minimo
di giustizia poteva essere assicurato anche in questo disgraziato Paese.
Di quelle vittime e di chi le ha assistite e sostenute.
Il secondo pensiero va ai pubblici ministeri che – spesso soli,
osteggiati, isolati nel loro stesso ufficio – hanno continuato,
ostinatamente a cercare la verità. Senza di loro oggi avremmo solo il
proscioglimento per prescrizione degli autori materiali. Al pensiero si
accompagna una riflessione che dovremmo ricordare sempre. Nella nostra
storia i frammenti di verità sulle vicende oscure delle istituzioni del
Paese sono emersi sempre grazie all’intervento contrastato di alcuni
piccoli giudici o pubblici ministeri, mentre gli apparati depistavano.
Il terzo pensiero va al fatto che la decisione dei giudici si è dovuta
fermare di fronte alle lesioni per l’intervento della prescrizione. Fatto
non casuale ma frutto della scelta della politica di evitare
l’introduzione del reato di tortura, pur richiesto dall’Europa e dalle
disposizioni internazionali. Si tratta di una responsabilità della
politica che non sarà lavata dalle lacrime delle vittime di fronte alla
sentenza.
Detto questo, va aggiunto che ora tocca al governo fare la sua parte. Le
condanne dei funzionari portano con sé la pena accessoria della
interdizione dei pubblici uffici. Ciò significa che la catena di comando
della polizia sarà decimata o comunque toccata in punti nevralgici. Ciò
che la politica non ha voluto fare, pur a fronte delle richieste di tutti
i democratici, è ora imposto da una sentenza. Guai se la politica cercasse
di ricorrere ad escamotages per evitarlo. Sarebbe un atteggiamento
eversivo. Al contrario, i cambiamenti imposti dalle condanne dovranno
essere l’occasione per un intervento riformatore della polizia.
I fatti della Diaz non sono stati un “incidente” ma l’esito di una
strategia e di una concezione dell’ordine pubblico che è tuttora assai
radicata. Attendiamo dal Governo un intervento immediato e profondo. Sono
in gioco le sorti della nostra democrazia. E, ancora una volta, c’è voluto
un giudice per ricordarlo!

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