18.11.07
secolo xix su manifestazione del 17.11.07
Don Gallo: in giocola Costituzione
Il sindaco Vincenzi: fare luce. L'ex ministro Scajola (Fi): tutto chiaro
Genova. In piazza De Ferrari, dopo le 18, dal palco allestito davanti al
palazzo della Regione don Andrea Gallo riprende la lettera di Alex
Zanotelli. Èâ??il suo modo per chiudere la manifestazione dei
cinquantamila giunti a Genova per chiedere una commissione d'inchiesta sul
luglio 2001, sui giorni del G8.
«Giustizia, verità, antifascismo, siamo qui per difendere i valori
fondamentali della Costituzione italiana - gesticola don Gallo rivolto
alla folla -Nel 2001 eravamo qui per difendere la democrazia. Oggi siamo
qui a ribadire questo pensiero». «Quanto ai processi, a quelli che non io
ma Zanotelli definisce i "25 capri espiatori", - continua - mi vengono in
mente le frasi di De André». È"canzone di Maggio": «E se credete ora che
tutto sia come prima perché avete votato ancora la sicurezza, la
disciplina, convinti di allontanare la paura di cambiare verremo ancora
alle vostre porte e grideremo ancora più forte per quanto voi vi crediate
assolti siete per sempre coinvolti». Poi è la volta di Haidi Giuliani.
«C'era un sasso, che colpì la testa di Carlo moribondo, ma il poliziotto
che lo scagliò disse che non aveva visto nessuno scagliare alcunché. Era
stato lui. E un sasso volevano tirarlo fuori anche ad Arezzo per la morte
di Sandri. Siamo qui per dire che di sassi non ne vogliamo più».
Sul terreno della commissione d'inchiesta, il più scivoloso per il Governo
Prodi, scende anche il sindaco di Genova Marta Vincenzi: «Chiedo alla
politica di non trasformare il G8 in uno dei misteri irrisolti d'Italia.
Credo che la commissione di inchiesta sia lo strumento giusto e per questo
continuo a chiederne l'istituzione come sindaco che interpreta il sentire
collettivo della città». E che terreno accidentato per Prodi lo dimostrano
le parole di Riccardo Messina, coordinatore della Fgci rivolto a Clemente
Mastella e Antonio Di Pietro: «I ministri della giustizia e delle
infrastrutture anziché sciacquarsi la bocca con falso legalismo si
uniscano a questo popolo per fare finalmente chiarezza sui quei giorni bui
e sulla sospensione dei diritti costituzionali che alcuni vollero
scientemente praticare in questo Paese».
Alle voci si aggiungono voci, quella del sottosegretario all'Economia
Paolo Cento (Verdi) e quella Graziella Mascia, vice presidente dei
deputati di Rifondazione comunista-SE, autrice della proposta di legge per
l'istituzione di una commissione di inchiesta sui fatti del G8 nel 2001:
«La politica si assuma le proprie responsabilità e sappia rispondere ad
una richiesta che viene dai cittadini».
Qualche apertura nei confronti della commissione d'inchiesta arriva da
Italia dei Valori da parte di Nello Formisano, capogruppo a Palazzo Madama
e dal suo collega alla camera, Massimo Donadi: «Quello che abbiamo chiesto
e continuiamo a chiedere è che questa sia una commissione che cerchi
davvero la verità indagando a 360°. E non dovrà avere i poteri di
un'autorità giudiziaria perché sono ancora in corso i processi».
All'invocazione della commissione d'inchiesta, replica Claudio Scajola,
presidente del Copaco e all'epoca del G8 ministro dell'Interno: «Tutti
sanno che sono stati gli estremisti e i no-global a mettere a ferro e
fuoco Genova e che la polizia ha cercato di difendere la cittadinanza e il
summit - ha ricordato - C'è stato qualche singolo comportamento non
corretto che è stato perseguito, ma non bisogna cambiare la storia». E il
senatore leghista Roberto Castelli, ministro della Giustizia nel luglio
2001, ribadisce: «Non posso fare a meno di pensare a come nel nostro Paese
la verità non interessi a nessuno, preferendo sentire e raccontare la
versione dei fatti della sinistra politically correct».
Infine il bilancio della manifestazione secondo il questore di Genova,
Salvatore Presenti: «Siamo stati ottimisti e abbiamo avuto ragione.
C'erano quasi 1.200 uomini in piazza pronti ad intervenire, ma non c'è
stato bisogno. «Tutto è dovuto all' organizzazione corale: al prefetto
Giuseppe Romano e al sindaco Vincenzi».
Alessandra Costante
Daniele Grillo
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Protagonisti sei anni fa, sono ancora "in trincea"
i personaggi
Nel 2001 i volti della protesta furono tre portavoce e due preti.
Agnoletto e Caruso
oggi sono parlamentari
18/11/2007
Genova. Luca Casarini, Vittorio Agnoletto, Francesco Caruso: i volti
ufficiali del movimento noglobal al G8 genovese, nel luglio 2001. Gli
interlocutori delle forze dell'ordine e delle istituzioni. Parlavano a
nome del movimento ma non riuscirono a rappresentare tutti, scavalcati dai
black-bloc e dallo scacco violento che le frange più estremiste del "no"
alla globalizzazione imposero alla città.
Vittorio Agnoletto, medico, pacifista era portavoce del Genoa Social
Forum. Di Casarini si ricorda la dichiarazione di guerra prima della
manifestazione, era la più dura delle voci ufficiali. Le "sue" tute
bianche, dopo i fatti di Genova, cambiarono nome diventando i
"Disobbedienti". Caruso incarnava il volto dei noglobal napoletani, uno
dei tre leader della contestazione ai potenti della Terra. Ancora si
ricorda il volto tirato e indignato di Agnoletto nelle tragiche ore
dell'irruzione alla scuola Diaz. Indignato e incredulo di fronte alla
violenza della polizia.
E poi dei giorni della battaglia genovese tornano in mente le tonache di
due preti, quella di don Andrea Gallo, il sacerdote genovese fondatore
della comunità San Benedetto per il recupero dei tossicodipendenti, che si
mette sempre dalla parte degli ultimi rischiando di urtare, con il suo
vangelo personale, la posizione ufficiale della chiesa. E poi la tonaca di
don Vitaliano Della Sala, avellinese, il sacerdote noglobal, anch'egli sul
filo della "scomunica" da parte della gerarchia ecclesiale che lui
considera troppo distante dalla vita delle persone comuni. Della Sala
riceve due "ammonizioni" prima di essere allontanato dalla parrocchia di
Sant'Angelo a Scala nel 2002, un anno dopo il G8 genovese. Sospeso a
divinis, è stato reintegrato dal nuovo vescovo Marino ma non ha più
ottenuto la sua parrocchia.
Sei anni dopo non è cambiata invece la vita di don Gallo, il prete che
cammina sulle grondaie dell'ortodossia cattolica senza mai cadere ma anche
suscitando le proteste di una buona parte dei cattolici che ne
disapprovano le scelte radicali. Don Gallo è sempre lì. Anche ieri, più
che mai: prima della manifestazione esponendosi in prima persona per
garantire un corteo "contro" ma pacifista, senza violenza. E poi
fisicamente, sul palco, a scandire i tempi della protesta.
È cambiata invece la vita di Francesco Caruso e Vittorio Agnoletto: il
primo è stato eletto deputato nelle fila di Rifondazione Comunista
suscitando forti dissensi sia da parte dei suoi ex compagni del social
forum sia dell'ala moderata dell'Unione che gli rimproverava la militanza
nei noglobal. Agnoletto ha scelto la via del parlamento europeo, candidato
da Rifondazione comunista ed eletto a Starsburgo nel 2004. Entrambi non si
sono allontanati dal movimento noglobal ma il solo Luca Casarini non si
è"mosso": lui è ancora a capo del movimento dei disobbedienti.
Vittorio De Benedictis
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In 50 mila a gridare «Verità»
G8, grande corteo pacifico a Genova. Agnoletto: il no alla commissione
d'inchiesta è stato indecente
GENOVA. Della commissione parlamentare d'inchiesta, al novanta per cento
di questo popolo variopinto, non interessa nulla, tant'è il disgusto per
la politica politicante. Di più interessa la sorte dei 25 sotto processo,
sui quali rischia di abbattersi uno tsunami di pene terrificanti, a
partire da 16 anni di galera, per le "devastazioni" e i "saccheggi" del
luglio 2001. E allora non sarebbe davvero una buona politica devastare e
saccheggiare per dimostrare il contrario. Quindi fila tutto liscio. E
quando fa buio e i cinquantamila del corteo s'incamminano docilmente verso
piazza De Ferrari, traguardo della giornata, tutti tirano un sospiro di
sollievo. Passa lo spezzone anarchico, passano gli autonomi, non succede
nulla. Non c'è la fuga in massa per invadere piazza Alimonda, non c'è
l'attacco al palazzo di giustizia superblindato, alla procura della
Repubblica.
Tutti insieme, vicini vicini, anche perché fa un freddo cane e il gelo
strozza gli slogan in gola. Gli ultras, temutissimi candidati infiltrati
della vigilia? Se ne sono rimasti a casa o nei loro club. I black bloc?
Hanno fatto vacanza. Andare a caccia di qualche episodio violento è un
esercizio accademico, tanto per dire che qualcosa è successo e invece non
è successo nulla. «Fossero tutte così, le manifestazioni», sospira il
questore vicario Pasquale Zazzaro. C'è una piccola zuffa,
nell'approssimarsi a piazza De Ferrari, tra alcuni portuali e un gruppetto
di anarchici che cerca di impedire, staccando l'amplificatore, a don Gallo
e ad Haidi Giuliani di parlare. C'è una bandiera americana bruciata, per
non farsi mancar nulla di un campionario vetero vetero. C'è qualche
scritta sui muri: nei pressi del Porto Antico la scritta ''10-100-1000
Raciti e Nassiriya" e "Polizia assassina". "Morte a tutti gli eserciti.
Nassiriya docet", con lo spray nero, sulla caserma Liguria, nel quartiere
di Carignano. Un gruppetto di ragazzi passa in Via Venti Settembre e
lancia qualche insulto al cordone di carabinieri che presidia il
Tribunale. Un manifestante con la mano fa il segno della pistola e urla:
«E adesso spara, servo, spara». Il gruppetto si allontana rapidamente , i
carabinieri non sembrano terrorizzati. Tutto qui e solo per dovere di
cronaca. Poteva essere una giornata di caos e invece è stato veramente un
ricordo, composto oltre il possibile, per la tragedia del 20 luglio 2001 e
la morte di Carlo Giuliani.
Così arriva sera e si tirano i bilanci. «È stata una festa della
democrazia, una manifestazione composta, pacifica, come avevamo detto»,
commentano gli organizzatori. «È uscito il sole, è calato il vento, questa
è una bufera pacifica con migliaia di ragazzi non strumentalizzati»,
spiega un allegorico don Gallo, il prete di strada, il fondatore della
comunità di San Benedetto al porto che ha voluto i suoi ragazzi in testa
al corteo: "La storia siamo noi". Dietro allo striscione un corteo lungo
due chilometri e mezzo che canta all'unisono, finché l'ugola regge, "Carlo
è vivo e lotta con noi, le nostre idee non moriranno mai". La palma del
più piccolo? In corteo c'è anche Nicola, sedici mesi. Davanti alla
stazione Principe è insieme al padre e alla madre. Anche lui, spiega papà
Paolo, «chiede giustizia, ma soprattutto chiede di potere vivere in un
mondo migliore». Non è il più anziano, ma porta ferite profonde nella
memoria, Arnaldo Cestaro. Ha un cartello: «Scuola Diaz, arrestato numero
18, anni 62, italiano» Nel blitz alla Diaz le manganellate della polizia
gli provocarono varie fratture.
I politici ci sono, ma se ne stanno defilati. Il segretario del Prc,
Franco Giordano, spiega: «Alla fine sarebbe paradossale se a pagare per
quanto accaduto a Genova fossero solo i manifestanti. E sembra francamente
esagerata anche la richiesta di pena dei pm». Chi sembra più nervoso è
Vittorio Agnoletto: ««È indecente - sibila l'europarlamentare, all'epoca
del G8 portavoce del Social Forum - che il Parlamento non abbia approvato
la commissione di inchiesta. Una vera vergogna». Al bar incrocia anche il
candidato sindaco del centrodestra a Genova Enrico Musso, che sorseggia un
caffè. Nessun botta e risposta registrato. Luca Casarini e Francesco
Caruso sono soddisfatti: «Una grande dimostrazione di maturità, avevamo
detto che sarebbe stata una protesta durissima ma che non ci sarebbero
stati incidenti».
Arriva sera. In coda al corteo sfilano striscioni, bandiere, sigle, al
ritmo della musica, dal rock allo ska, dal punk al reggae. Ci sono anchei
Pink Floyd di The Wall. L'Unione Studenti inalbera uno striscione, "Chi
rompe paga, chi uccide no" e un altro con la scritta "Colpevoli di
sognare". Il gruppo di Sinistra Critica balla la musica degli Inti
Illimani e scandisce "El Pueblo unido...". Dietro di loro i gruppi della
Sinistra Europea, della Sinistra Democratica, di Arcilesbica, di Emergency
e della Rete 28 Aprile - Cgil. Chiudono il corteo la Fiom, il Partito dei
comunisti italiani, gli iscritti di Rifondazione comunista. La polizia
c'è. Tanta e invisibile. Più di mille uomini. Nascosti ovunque, ma mai sul
tracciato del corteo.
Papà Giuliani va a portare dei fiori in piazza Alimonda. Lì vicino il
testo della canzone di Francesco Guccini: "Genova non sa ancora niente,
lenta agonizza, fuoco e rumore, ma come quella vita giovane spenta, Genova
muore". La madre, Haidi: «Sono qui in nome della democrazia che mancò sei
anni fa e che talvolta ancora oggi manca».
marco menduni
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Città chiusa, i genovesi non si sono fidati
Nonostante le rassicurazioni di polizia e amministratori ha prevalso il
ricordo dei tragici giorni di sei anni fa
Genova. L'eco del «vaffanculo» di don Andrea Gallo «ai profeti di
sventura» resiste nelle strade deserte attraversate dal corteo. Resta
nell'aria come uno degli slogan urlati in piazza e scritti sugli adesivi
attaccati ai muri, vergati con la vernice spray nel sottopasso di
Caricamento, scarabocchiati con il pennarello sui cartelloni della
pubblicità. E dà il ritmo alla manifestazione più dei woofer scatenati
dalla band "Assalto frontale".
È il messaggio che la città blindata, impaurita ha atteso chiudendo i
negozi, sbarrando banche e uffici pubblici. E ha visto dispiegarsi nelle
vie del centro insieme ai 50 mila del "ritorno a Genova". Che ha ascoltato
prestando l'orecchio alla colonna sonora del movimento di protesta, nato
da una delle ultime udienze del g8. L'udienza dei 224 anni di carcere e
sei mesi chiesti dai pubblici ministeri Anna Canepa e Andrea Canciani per
25 no global, 25 «capri espiatori», così definiti in un messaggio inviato
alla piazza da Alex Zanotelli, il padre comboniano che è tra i leader
nazionali della contestazione non violenta e del pacifismo.
La città temeva di rivivere i giorni del luglio 2001. Aveva torto. La
scommessa di don Gallo è stata vinta. Per strada sono scesi tutti: dagli
anarchici più radicali ai Cobas più arrabbiati; dagli studenti che la
mattina avevano fatto il percorso inverso per manifestare su altri
argomenti, ai no global che sono alla sbarra e aspettano il giudizio; dai
tifosi senza bandiere, con il pensiero a Gabriele Sandri e al poliziotto
che lo ha freddato con un folle colpo di pistola, ai ragazzi rasta dei
centri sociali. Non è volata una sola di quelle bottiglie di vetro vendute
persino dagli ambulanti, alla faccia della prevenzione. Poteva andare
peggio.
E il peggio si aspettavano i negozianti che hanno tenuto le saracinesche
abbassate quasi fosse una normale domenica di deserto metropolitano e non
un sabato. Qualcuno lungo il percorso toccato dal corteo ha resistito alla
tentazione di un giorno di festa. E ha fatto affari d'oro, a forza di thé
caldi, caffè, tramezzini e birra.
Il timore dei commercianti, con il senno del dopo manifestazione, ha
deluso il sindaco Marta Vincenzi, che li aveva invitati a tenere aperto e
ad avere coraggio: «Dispiace che i negozi siano rimasti chiusi. Spero che
questa sia l'ultima volta e che la giornata di oggi (ieri per chi legge,
ndr) contribuisca a ricreare un clima di fiducia da parte degli operatori
economici. L'appello a tenere le saracinesche alzate era stato lanciato
perché avevamo una ragionevole certezza sul corretto svolgimento della
manifestazione - ha aggiunto Marta Vincenzi - ma evidentemente le ferite
erano ancora aperte e c'era ancora troppa paura che il corteo potesse
trasformarsi in un saccheggio».
I genovesi che non sono scesi in piazza sono rimasti in casa e persino
quelli del centro hanno seguito alla radio e in televisione quanto
avveniva in strada, magari proprio davanti alle loro finestre. «Ho visto
sventolare bandiere cubane, bandiere comuniste, bandiere americane in
fiamme - protesta via telefono un abitante di Albaro - ho cercato almeno
un tricolore ma non l'ho trovato». Segni. Come le scritte comparse sui
muri lungo il percorso della manifestazione, contro la polizia, l'esercito
e le banche. Al porto antico è stato scritto ''10 - 100 - 1000 Raciti", a
Carignano, vicino alla caserma del comando regionale dell'Esercito, "Morte
agli eserciti - Nassiriya docet", mentre in via Dante sulla sede della
Banca d'Italia e della direzione delle Poste sono comparsi slogan contro
gli istituti di credito e inviti a non votare.
Il corteo ha attraversato la città dalla Stazione marittima fino a De
Ferrari, quasi ignorato dalle forze dell'ordine, schierate a distanza di
sicurezza, per non dare un obiettivo ai più violenti. Il traffico, deviato
con efficacia, non ha subito grossi contraccolpi. Grazie all'impiego di
cento vigili, 25 auto e 30 moto. Sono rimasti i graffiti, che l'Amiu ha
cominciato subito a rimuovere, quando ancora si cantava, grazie agli
sforzi di sessanta addetti con 2 autogru, 6 spazzatrici, 15 porter e 4
compattatori. Già oggi, le campane della raccolta differenziata e i
cassonetti rimossi per ragioni di sicurezza torneranno al loro posto. E
sarà ripiegata la tenda gialla dell'unità di decontaminazione nbcr
(nucleare, batteriologico, chimico e radiologico), montata dagli uomini
del 118 di Genova nel piazzale dell'ospedale San Martino per soccorrere le
persone eventualmente colpite da gas lacrimogeni durante la
manifestazione. Non è servita a niente. Se non a rendere ancora più forte
l'eco del grido di don Gallo rivolto «ai profeti di sventura».
Graziano Cetara
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Pisapia: il decreto anti ultràvuol fermare anche i pacifisti
l'avvocato dei giuliani
Genova. L'applauso più lungo lo strappa Giuliano Pisapia, avvocato della
famiglia Giuliani e presidente della Commissione di riforma del codice
penale, quando alza il tono della voce e dice: «La Commissione d'inchiesta
sul G8 può servire, almeno, a chiedere al ministro Amato sotto giuramento
perché l'ex capo della polizia De Gennaro è diventato il suo capo di
gabinetto». Pisapia parla davanti a circa 200 persone riunite, ieri
mattina, nell'auditorium San Salvatore di piazza Sarzano per il convegno
che ha preceduto la "marcia dei 50 mila" per le vie di Genova. I decreti
sulla sicurezza dell'esecutivo di centro sinistra, lo stop alla
Commissione d'inchiesta sul G8, l'atteggiamento dei media di fronte agli
eventi del 2001, il processo ai 25 no global accusati di devastazione e
saccheggio, il no all'organizzazione alla Maddalena del G8 nel 2009. Ecco
i temi toccati al convegno di ieri. Titolo: "Genova 2001: un altro mondo è
possibile".
Pisapia ha ricordato il corteo dei migranti del 19 luglio 2001 e la grande
voglia di cambiamento che si respirava in quella occasione. «Ora il 90 per
cento di quei migranti - ha detto l'avvocato - rischia di essere espulso
con le famiglie: guardate a che livelli di discriminazione è giunto anche
il centro sinistra». «E' indispensabile - ha continuato Pisapia -
ritrovare l'unità del movimento che, dopo il G8, si è cercato in tutti i
modi di dividere». Di più: «Dal 2001 a oggi ogni decreto contiene
strumenti finalizzati a colpire il movimento. Ad esempio, quello contro la
violenza negli stadi punisce anche la resistenza passiva garantendo il
carcere anche a chi manifesta pacificamente». Dunque: «Gli abusi di Genova
non possono essere passati sotto silenzio, esiste un serio rischio di
autoritarismo». Appello all'unità anche da Giorgio Rinaldini, segretario
nazionale della Fiom: «Questa manifestazione è l'inizio di una ricucitura».
«La sicurezza sta diventando la parola magica per utilizzare il diritto a
proprio piacimento, bisogna scongiurare il pericolo di una svolta
reazionaria nel nostro Paese», scandisce dal palco Raffaella Boldini,
dell'Arci. Laura Tartarini, uno dei difensori dei 25 no global sotto
processo, si concentra sugli aspetti giudiziari: «Il processo Diaz è
quello più in ritardo perché coinvolge alti vertici della polizia».
Tartarini reputa sostanzialmente inutile la commissione sul G8 ma
denuncia: «Il governo rifiuta qualsiasi assunzione di responsabilità. Lo
dimostra il fatto che vengono impugnate dall'avvocatura anche sentenze su
piccoli risarcimenti civili». «Con la promozione di tutti i responsabili
dell'ordine pubblico a Genova nel luglio 2001, il governo ha lanciato un
preoccupante messaggio di impunità», attacca Vittorio Agnoletto,
parlamentare europeo ed ex portavoce del Genoa Social Forum: «La
commissione non piace neppure a una parte del Pd, che non ha nessun
interesse a riaprire la pagina del G8 di Napoli». Ultima stoccata: «La
gestione dell'ordine pubblico è sempre più affidata a corpi separati che
non rispondono al dibattito democratico». Aleandro Longhi, deputato del
Pcdi, propone al sindaco Marta Vincenzi di consegnare il Grifo d'oro, alto
riconoscimento del Comune, a Marco Poggi, «l'infermiere di Bologna che ha
avuto il coraggio di denunciare gli abusi compiuti nella caserma di
Bolzaneto».
Marcello Zinola, segretario dell'Associazione giornalisti di Genova,
infine, fa autocritica: «Le cronache sui processi relativi al G8 sono
state sporadiche. A un certo punto, anche su input degli editori e per
ragioni di vendite, si sono spenti i riflettori».
Vincenzo Galiano
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G8, corteo pacifico
la manifestazione di genova
Sfilano in 50 mila. Molti i negozi chiusi. Nessuna violenza
GENOVA. Alla fine è filato tutto liscio. Nessun incidente, nessuna
particolare tensione. Cinquantamila per le vie di Genova dal primo
pomeriggio a sera. E don Andrea Gallo, il prete di strada vicino ai
noglobal, che aveva garantito "assoluta nonviolenza", lancia un sonoro
«vaff... ai profeti di sventura». Non si sono visti gli ultrà del calcio,
di cui si temevano le infiltrazioni dopo la tragedia di Arezzo. Niente
black bloc, niente vetrine rotte. Solo i writers in azione, con scritte
"10, 100, 1000 Raciti e Nassiriya» che in serata erano già cancellate. Per
tutto il pomeriggio il corteo ha sfilato. Con i protagonisti di sempre:
Vittorio Agnoletto, Luca Casarini, Francesco Caruso. Tra i manifestanti
anche Franco Giordano, segretario di Prc. Qualche tensione in mattinata,
per le difficoltà di raggiungere Genova con i treni e un piccolo
tafferuglio alla stazione di Pisa. Poi, con l'arrivo in città, la tensione
si è stemperata. I mille uomini delle forze dell'ordine sono stati quasi
invisibili. Lungo il percorso la maggior parte dei negozi ha tenuto le
saracinesche abbassate, innescando anche una polemica con il sindaco Marta
Vincenzi, che aveva invitato i commercianti a fare il contrario. La
Vincenzi ha poi ribadito: «Non trasformiamo il G8 in uno dei tanti misteri
d'Italia». Soddisfatti questore e prefetto: «Le previsioni della vigilia
sono state rispettate».
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Come a una paratadi reduci
maurizio maggiani
A VOLTE va tutto bene. E siccome alla fine ogni cosa è a posto è come se
non fosse successo niente. Lo vedo da come scalpita insofferente la
giornalista tv che ha passato mezz'ora a discutere con il cameraman il
taglio di ripresa che le sta meglio, e ora è lì che non ha da dire niente
di "forte".
Già, non è stata una giornata forte questa. Niente incidenti e dunque in
definitiva una giornata insoddisfacente, almeno per i media. Eppure
qualcosa mi sembra di aver visto accadere andando su e giù per una quieta
manifestazione di protesta, girovagando per una città silenziosa dove una
buona parte dei negozianti si è convinta a tener giù la saracinesca, e un
sacco di genovesi a farsi un fine settimana in disparte. Sì, qualcosa di
forte mi sembra che sia successo.
È successo che se in quello che è accaduto nei giorni del G8 c'era un
disegno, e il disegno era debilitare, o demolire, i movimenti, questa
intenzione ha raggiunto uno straordinario successo. I movimenti non
esistono più. Non quella moltitudine di voci, di intenti, di energie, di
linguaggi, di attese e di speranzosa creatività che ho conosciuto negli
anni e ho vissuto in quei giorni del 2001. I movimenti - così
genericamente definiti perché troppo diversi da qualunque roba politica
meglio classificabile - sono fatti delle persone, non delle
organizzazioni; le persone, quelle persone, sono ancora vive e vegete, ma
sono silenziose, o altrove.
Ho incontrato qualcuno, ma non le sue energie, non quelle che hanno fatto
sperare in un modo diverso e gioiosamente attivo di vivere la vita e le
sue responsabilità, la propria vita e quella del mondo; il destino dei
"sei miliardi di figli dello stesso Padre", come era scritto nelle
magliette che distribuivano le suore di Boccadasse, e ho visto sporche di
sangue e di lacrime sul petto di ragazze manganellate ben bene sabato 21
luglio 2001 all'altezza di via Casaregis. Ciò che è accaduto quel giorno,
e il giorno prima, e la notte dopo, ha traumatizzato centinaia di migliaia
di persone, di giovani cittadini soprattutto; ha distrutto un immenso
patrimonio di energie promettenti e ha creato dei reduci.
Lungo la manifestazione ho incontrato molti reduci. E non c'è molto di
promettente e creativo nella forma mentis di un reduce, soprattutto se ha
poco più di vent'anni. Il trauma non è stato assorbito; non credo che lo
sarà, non certo in una manciata di anni. Così le voci che si sentono,
quelle che si fanno sentire, sono le meno interessanti: quelle dei partiti
politici, dei loro rappresentanti nei movimenti. Niente da dire, tutte
brave persone, ma li ascolto e mi sento portato altrove, lontano da quel
territorio magmatico, libero, non ideologico, dove si stava formando un
pensiero, quello sì veramente nuovo, che se oggi ancora c'èè un pensiero
sottomarino.
E è successo che neppure questa città ha superato il suo trauma. Se lo
cova dentro silenziosa, sentendosi guardinga, "smenata", disillusa. Non è
solo una questione di serrande abbassate, ma di atmosfera, di sentimento,
di ciò che si percepisce ogni volta che per qualche ragione di torna a
dare un'occhiata alle ferite che si è curata da sola. Se c'è stato un
disegno e parte del disegno era quello di dare una lezione a questa città,
anche questo obiettivo è stato raggiunto.
I molti che come me nei giorni del G8 sono stati testimoni hanno la
certezza, intima e radicata, che ciò che è successo è quantomeno da
spiegare e da capire ancora. Che senza una verità e una ragione non
potremo mai riabilitarci da reduci in cittadini nuovamente promettenti.
Verità e ragioni che non riguardano solo questa città e chi in quei giorni
ci ha vissuto, ma che gli uni e l'altra hanno il diritto di pretendere
come primo risarcimento. Non sono così convinto che una commissione
parlamentare è di per sé in grado di darmi ragioni e verità, di risanare i
traumi rendere giustizia delle vittime, ma so che è il minimo che devo
pretendere. Il fatto è che non ci sarà mai una commissione d'inchiesta sui
"fatti" del G8 del luglio 2001, e se mai si dovesse istituire, accadrà
troppo tardi perché possa ancora servire a sanare la ferita che resterà
infetta per il resto della storia mia, della mia città, di questo Paese.
maurizio maggiani
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Questa volta bravi tuttima è bocciata la politica
dalla prima pagina
Invece non ci sono stati incidenti di rilievo: al punto da far apparire
eccessive le preoccupazioni della vigilia. Ma soprattutto l'intera città,
in tutte le sue componenti, è uscita bene dalla prova: cosa che, di questi
tempi, non succede tutti i giorni.
I protagonisti della giornata, naturalmente, sono stati i manifestanti: i
cinquantamila partiti da tutta Italia e arrivati a De Ferrari senza
incidenti. Per fortuna, gli appelli-provocazione a mescolare la legittima
protesta per i fatti del G8 con la rabbia ultrà non sono stati raccolti:
al corteo si sono uniti tifosi, non teppisti. Viene persino da chiedersi
perché al G8, sei anni fa, le cose non siano andate allo stesso modo:
perché le centinaia di migliaia di manifestanti pacifici di allora siano
stati infiltrati da provocatori sui quali non è mai stata fatta piena luce.
Subito dopo i manifestanti vanno ricordate le forze dell'ordine e anche le
autorità cittadine, sindaco e prefetto in testa. Se le autorità hanno
avuto il merito di escludere sin dall'inizio la possibilità di vietare la
manifestazione, le forze dell'ordine hanno mostrato come sia possibile
gestire la piazza anche senza mostrare i muscoli; e pure qui sorge
irresistibile il rimpianto che gli stessi uomini, con la stessa
professionalità e lo stesso rispetto dei diritti dei cittadini, in altre
situazioni e sotto altri governi non abbiano avuto lo stesso sangue freddo.
Personalmente, ai protagonisti della giornata aggiungerei anche i giudici:
sì, quegli stessi giudici contro i quali la manifestazione è stata
convocata, e ai quali, in certi commenti, è stata rinfacciato di non aver
ancora fatto giustizia. In realtà ci voleva molto coraggio, e molto senso
dello Stato, per portare avanti le indagini contro i vertici della
polizia; invece, le imputazioni per devastazione e saccheggio contro
alcuni dei manifestanti del 2001 erano per certi versi obbligate: ora
toccherà alla magistratura giudicante accertare le responsabilità
individuali, evitando i capri espiatori.
Lo stesso orgoglio, invece, non può essere condiviso da molti altri: e una
volta tanto, si tratta solo di non genovesi. Qualcosa ha rischiato di
andare storto nei trasporti: e non è una novità, quando di mezzo c'è
Trenitalia. L'informazione è stata puntuale soprattutto da parte de La
Sette e da Primocanale di Mario Paternostro, che sempre più spesso fanno
anche la parte che toccherebbe al servizio pubblico. Poi, naturalmente c'è
la politica nazionale: che non è uscita bene neppure da questa prova.
La maggioranza non sta rispettando uno degli impegni presi nel programma
di governo: la Commissione d'inchiesta sui fatti del G8 magari non servirà
a niente, proprio come ritiene Piero Ottone, ma era un impegno preciso, e
gli impegni si rispettano. Quanto all'opposizione, basta aver seguito
cinque minuti della trasmissione che La Sette ha dedicato all'evento per
farsene un'idea: fra l'ex radicale Taradash che si arrampicava sugli
specchi, e la portavoce Gardini che, al solito, pensava soprattutto a
magnificare il suo datore di lavoro, veniva solo da pensare come, nella
patria di Machiavelli, la politica abbia potuto cadere così in basso.
mauro barberis