14.09.03
Secolo XIX, POLIZIA IL GIORNO DELLA RABBIA
dal secolo xix
POLIZIA IL GIORNO DELLA RABBIA
ANCHE DE GENANRO FURIOSO PER I 73 "AVVISI"" DEL g8
Genova. Voci da Roma: il capo della polizia Gianni De Gennaro ha un diavolo
per capello. Voci dal sindacato, le uniche che riescono a dribblare
la strettissima consegna del silenzio imposta dopo l'ultimo diluvio. La
polizia sotto accusa, ancora una volta. Settantatré avvisi che piombano
come una gragnuola che tramortisce. Amplificati da una ribalta mediatica
(titoloni sui quotidiani, servizi choc in tv) imprevista, a più di due
anni dai fatti del G8. All'irruzione notturna nella scuola Diaz, alle
polemiche sui detenuti a Bolzaneto.
La polizia sotto accusa, e in quelle carte ci sono anche Francesco Gratteri
e Gianni Luperi, ai vertici dell'antiterrorismo, amatissimi da De Gennaro.
Altra scena. La rivolta dei peones, e non solo loro. Dirigenti, funzionari,
che fanno sempre più fatica a stare zitti. Che non condividono più la
linea del silenzio voluta dai vertici: «Sono più di due anni che ci
lasciamo massacrare senza dire una parola. Ora basta».
Così la linea delle bocche cucite comincia a incrinarsi. Vincenzo
Canterini, il capo del reparto mobile di Roma sotto accusa per il blitz
alla Diaz, sotterra il fioretto e impugna la sciabola: «Il teorema iniziale
della procura, che solo noi fossimo i responsabili delle violenze, è cambiato.
E' stato riconosciuto che il reparto mobile è stato solo l'esecutore di
un'operazione guidata da altri ». Ancora: «Non c'è un solo agente indagato,
tra i miei. Di più: la procura stessa dice che nella scuola sono entrati
duecento agenti. I miei erano venti». Ribatte il suo avvocato Silvio
Romanelli: «Finalmente giunge la conferma della bontà della
nostra iniziale posizione. le responsabilità vanno cercate altrove».
Fine delle esternazioni? Macché. Parla anche Aldo Tarascio. E' il
segretario del Silp, la branca della Cgil nella polizia. Sorte
imbarazzante, la
sua: il poliziotto "rosso" finito nel novero degli indagati per le violenze
a Bolzaneto. E Tarascio non ci sta: «Non si può fare un fascio di tutte
le erbe. Anche perché così si dissolve la funzione di garanzia che la
presenza di persone di sicura fede democratica può avere in tutte le
situazioni difficili». Tarascio è incredulo: «Eravamo in questura. Ci hanno
detto di trasportare degli arrestati a Bolzaneto. Siamo arrivati lì
davanti, li abbiamo
tenuti in custodia per un'oretta perché la matricola non poteva subito
accettarli. Non è successo assolutamente nulla e poi ce ne siamo
andati. E mi ritrovo indagato».
Ancora una voce? Nando Dominici è il questore vicario di Brescia. All'epoca
del G8, dirigeva la squadra mobile di Genova. Anche lui è tra gli indagati
per la Diaz: «Sono amareggiato, è incredibile che si possa anche solo
pensare una cosa del genere. Non so ancora di che cosa mi accusano, ma sono
assolutamente certo di quello che non ho fatto».
C'è chi, invece, si accoda alle direttive che giungono da Roma, ma si
comprende che lo fa a denti stretti. Così si smarca Spartaco Mortola,
allora dirigente della digos di Genova e oggi alla polizia postale: «Non
posso dire nulla e non dico nulla». Tace l'attuale questore Oscar
Fioriolli. I sindacati di polizia fanno fuoco di copertura a chi, dopo due
anni di silenzio, decide di contrattaccare. «I nostri colleghi - -afferma
il segretario della Uilps, Michelangelo Starita - sono semplicemente
indagati e la loro colpevolezza va
sempre dimostrata nelle aule di tribunale e nei tre gradi di giudizio.
Sospendere cautelativamente un agente dal servizio, come qualcuno chiede,
equivale ad una mortificazione enorme».
Paolo Varesi, segretario di Rinnovamento sindacale: «Temiamo che con questa
vicenda si voglia mettere in discussione il sistema sicurezza del Paese».
Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sappe, il sindacato
degli agenti penitenziari, va giù duro: «Si parla molto di eccessi
polizieschi, ma poco o nulla delle responsabilità di coloro che hanno
deliberatamente provocato e devastato».
E' un'impostazione condivisa da molti, in polizia.
Con un timore. Che gli atti dell'inchiesta, che saranno finalmente
disponibili nei prossimi giorni, rivelino altre verità scomode da digerire.
Un quadro di scontri e dissapori all'interno della polizia che fu la causa
prima degli eventi di quei giorni. L'interrogatorio dell'allora vicecapo
vicario della polizia Ansoino Andreassi, uomo del dialogo e della
mediazione. Il suo racconto dell'arrivo di Arnaldo La Barbera in questura,
vissuta come un'esautorazione. O, ancora, i verbali dell'ispettore inviato
dall'allora ministro dell'Interno Claudio Scajola, che pochi giorni dopo
gli eventi del G8 puntava il dito accusatore contro le inefficienze
indicando precise responsabilità.
Poi ci saranno le richieste di rinvio a giudizio, le udienze preliminari, i
processi. La polizia è destinata a rimanere ancora sulla graticola, forse
per anni. E qualcuno non ci sta più alla direttiva che giunge dall'alto. E
che impone di non reagire.
Marco Menduni
Canterini rompe il "muro" del
silenzio: «Noi della mobile
abbiamo solo eseguito
un'operazione guidata da altri».
Tarascio, sindacalista "rosso" e
indagato: «Non si può fare un
fascio di tutte le erbe»
Dai più alti gradi fino agli agenti, reazioni sdegnate dopo la chiusura
delle indagini sui fatti del 2001
Polizia, il giorno della rabbia
Anche De Gennaro furioso per i 73 "avvisi" del G8
Bolzaneto,
per l'accusa
violati
i diritti umani
Genova. È la caserma del reparto mobile della polizia, a Bolzaneto.
Sterminata distesa di spiazzi ed edifici tozzi, squadrati sulle rive del
Polcevera.
Nei giorni del G8 fu trasformata, per decreto, in un carcere provvisorio.
Quarantatré sono gli avvisi di conclusione delle indagini sulle violenze
che, secondo l'accusa, avvennero in quergli stanzoni.
I magistrati della procura hanno così ricostruito l'organigramma delle
responsabilità. Ci sono tre ruoli cosiddetti "apicali", tra gli indagati:
coloro che per il loro ruolo e per la loro carica avevano la responsabilità
di quella struttura. Sono Alessandro Perugini, all'epoca numero due della
digos genovese. Poi c'è Anna Poggi, funzionario di polizia. Ancora,
l'ispettore
della penitenziaria Antonio Biagio Gugliotta.
Immediatamente sotto di loro quattro ruoli cosiddetti "preposti". Due sono
poliziotti, Daniela Maida e Franco Valerio; altri due tenenti dei
carabinieri: Giammarco Braini e Piermatteo Barucco.
L'elenco continua con una lunga sequenza di agenti di polizia
penitenziaria, di marescialli dell'Arma e di agenti. Ci sono poi i
cosiddetti "esecutori
materiali", dieci in tutto, tra cui spicca il reato contestato
all'assistente capo di polizia Massimo Pigozzi. Nel documento dei
magistrati, si sostiene che Pigozzi avrebbe rotto una mano a un arrestato,
divaricandogli a forza le le dita. Indagati anche tra i medici della
polizia, come Giacomo Toccafondi e Aldo Amenta. Bolzaneto fu un lager, come
sostengono i noglobal che trascorsero lunghe ore in stato di detenzione? O
fu, semplicemente, un luogo dove
furono commessi alcuni soprusi, dettati più dalla concitazione e dalla
confusione di quei momenti, più che da una vera volontà di colpire, ferire,
offendere? Gli avvisi inviati dalla procura di Genova non riescono a
risolvere l'interrogativo. E la sensazione che si coglie, confermata anche da
un magistrato del pool che ha indagato sui fatti di Bolzaneto, è che le
violenze furono soprattutto psicologiche, d'ambiente, piuttosto che fisiche.
Tra i dieci "esecutori materiali", infatti, solo alcuni sono accusati di
fatti di estrema gravità. C'era, in quei giorni nella caserma del reparto
mobile, un clima di sopruso generalizzato, che contrasta con la
Costituzione e con «l'articolo 3 della convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che stabilisce come nessuno
possa essere sottoposto a torture o a trattamenti inumani e degradanti»;
così affermano i magistrati genovesi. Canti di "manganello manganello".
Domande imbarazzanti, poste con derisione: «Hai la fidanzata? E quante
volte al mese la s...?». Umiliazioni, alle quali fu sottoposta una ragazza,
«facendola girare più volte verso destra e verso sinistra con evidente fine
di scherno». Offese: «Dove vai conciato così? Fai schifo».
M. Men.
il medico INDAGATO
«Quella caserma non era un lager ventuno contestazioni, ma nessuna è vera»
Genova. «Mi accusano di cose incredibili. Non mi riconosco in uno solo
degli episodi che mi contestano ». Giacomo Toccafondi ha 49 anni, è medico
della polizia. E' un uomo grande e grosso e tra le sue mani quei fogli
sembrano
scomparire. Eppure sono sette fogli che pesano, con ventuno capi di accusa
che parlano di violenze, umiliazioni, omissioni. «E' incredibile. E pensare
che io - spiega Toccafondi, nell'ufficio del suo difensore Alessandro
Vaccaro - ho
fatto i campi del Kosovo e della Bosnia, ho imparato il rispetto per
le persone. Nessuno che mi conosca veramente può sostenere a
cuor leggero che io sia una persona violenta, che non abbia rispetto
per le persone affidate alle mie cure». E cita un esempio. Un infermiere
lo aveva accusato di aver rotto la mandibola a una ragazza, «e io l'ho
querelato, perché la vicenda si è poi chiarita. Quella giovane era arrivata
già ferita e io avevo anche studiato il sistema per dissetarla e
alimentarla, con una cannuccia». «Ma di quel fascicolo - commenta
l'avvocato Vaccaro
- e della nostra reazione alle false accuse non abbiamo saputo più nulla».
Ancora, gli imputano di aver effettuato visite con i guanti di pelle,
«ma li ho indossati solo perché mi ero già ferito in precedenza con il fil
di ferro che i rasta utilizzano per tener dritte le trecce. A mia tutela,
ma anche per la loro». Giacomo Toccafondi non ha dubbi. Il suo comportamento
è stato ispirato ai dettami della deontologia, non ci sono
stati abusi né vessazioni. «Ancora un esempio? Tra le accuse che mi
vengono rivolte, c'è anche quella di aver visitato sommariamente alcuni
detenuti. Non è così: proprio per garantire tutti, ho applicato anche il
quella situazione la regola del triage, che viene utilizzata in ogni pronto
soccorso. Un controllo, per poter capire chi ha immediatamente bisogno di
un aiuto e chi, invece, può essere assistito senza un criterio di urgenza».
A Bolzaneto, insomma, non è accaduto nulla? Toccafondi si limita
a difendere il suo operato: «Io sono in pace con la mia coscienza.
Io so di aver agito correttamente, di aver fatto tutto quello
che si doveva fare in una circostanza del genere».
I magistrati del pool hanno snocciolato, contro di lui, ventun
contestazioni di reato. Lui, Toccafondi, ribatte con grinta: non c'è uno
solo di quegli episodi di cui io mi ritenga responsabile. Bolzaneto, il
carcere delle polemiche, non era un lager.
M. Men.
Polizia in rivolta
Pericu: indaghi il Parlamento
Agenti furiosi dopo la chiusura dell’inchiesta. Il sindaco di
Genova chiede una commissione sulle responsabilità politiche. Il
medico di Bolzaneto, indagato: «Tutto falso, non era un Lager»
Genova. Irritazione al vertice, rabbia nella base. La polizia non ci sta:
la gragnuola di accuse piovute con la conclusione delle indagini sulle
violenze al G8 (il blitz nella scuola Diaz, le umiliazioni ai detenuti di
Bolzaneto) hanno innescato una reazione a catena. Nel mirino delle
inchieste ci sono gli attuali vertici dell’antiterrorismo italiano,
Francesco Gratteri e Gianni Luperi, questo preoccupa non poco il capo
Gianni De Gennaro. Ma tra dirigenti, funzionari, agenti, serpeggia il
malumore per la linea del silenzio imposta dai vertici: «Sono due anni che
ci lasciamo massacrare senza mai reagire».
Il sindaco di Genova, Giuseppe Pericu, chiede ora una commissione
parlamentare d’inchiesta sui fatti del G8. «Ritengo sia giusto capire —
spiega Pericu — come siano state schierate in quei giorni le forze di
polizia e con quali ordini. E da chi siano arrivati questi ordini». Ancora:
«La magistratura può solo stabilire se un singolo poliziotto ha fatto bene
o male, se un black bloc ha distrutto o meno. Ma solo una commissione
parlamentare può individuare chi coordinava gli agenti, chi decideva le
operazioni». La caserma-carcere di Bolzaneto. I magistrati hanno
ricostruito la catena gerarchica e le responsabilità, spiegando che là ci
sono state anche
«violazioni dei diritti umani». Ma il medico Giacomo Toccafondi, indagato
con ventuno capi di accusa, reagisce duramente: «Non una di quelle
contestazioni corrisponde alla verità. Bolzaneto non era un Lager».