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23.06.07

secolo xix Mortola: a Colucci consigliai la verita'


Secolo XIX

Mortola: a colucci consigliai la verità
l'inchiesta
Genova. Sussurri e indiscrezioni. Nei giorni dopo lo choc De Gennaro, la
procura prosegue i suoi accertamenti in silenzio. Ufficialmente smentisce
anche l'esistenza di intercettazioni telefoniche, soprattutto nei termini
in cui sono state riportate da alcuni mezzi d'informazione: «Fantasie».
Una cosa è invece assodata. L'ex questore di Genova Francesco Colucci
(indagato per falsa testimonianza) intrattiene un traffico telefonico
intensissimo con moltissimi amici della polizia. Anche con Spartaco
Mortola, all'epoca del G8 numero uno della digos e oggi questore vicario
di Torino.
Mortola conferma al Secolo XIX: «Siamo amici, Colucci mi avrà telefonato
duecento volte, prima e dopo la sua deposizione in tribunale. E' sempre
stato molto agitato, questo processo lo coinvolge emotivamente». Anche
perché, dopo il G8, fu esautorato dal suo incarico dal ministrro.
Avete mai parlato di eventuali "pressioni" del capo della polizia Gianni
De Gennaro? «Assolutamente no, non ricordo nulla del genere. Per quanto ne
so, non sono indagato in altri procedimenti e non ho il telefono sotto
controllo. Ma a questo punto vorrei, vorrei che le intercettazioni
uscissero, se esistono. Si capirebbe qual è l'unico consiglio che ho
sempre dato a Colucci: Francesco, devi dire la verità, devi dire soltanto
la verità». Il processo sul sanguinoso blitz alla scuola Diaz riprenderà
il prossimo 27 e gli avvocati difensori dei poliziotti indagati promettono
battaglia, promettendo anche un cambio di strategia e alcune sorprese «che
è, ovviamente, opportuno non anticipare».

Quella soffiata che fece uscire la notizia per screditare la procura di
Genova
i RETROSCENA
De Gennaro indagato per il G8: ecco perché la notizia doveva essere data
in esclusiva da un quotidiano e come il piano fallì
23/06/2007
dalla prima pagina
Il meccanismo è semplice. Il sussurro, già dalla mattina, ha raggiunto un
destinatario preciso: il quotidiano "La Repubblica". Ma non è partito dai
magistrati della procura. Che, anzi, sono riusciti a blindare la notizia
per molti giorni. Tanto che è già passata la data della convocazione di De
Gennaro (prevista per il 16, ma alla quale il capo della Polizia non si è
presentato) senza che nessuno ne abbia saputo nulla, né abbia covato il
minimo spspetto.
I suggeritori, questa volta, provengono dal fronte opposto. Quello che
gravita intorno alla polizia. Quella parte di polizia sotto accusa per
l'irruzione alla scuola Diaz, per le vessazioni della caserma di
Bolzaneto, per la sciagurata gestione della piazza nei giorni del luglio
2001.
Ma per quale motivo un tale "regalo" a un quotidiano che da sempre, sulle
vicende del G8, ha sposato le tesi dei magistrati e ha sferzato, spesso
con parole durissime, l'operato della polizia stessa? Lo scoop era di
quelli da leccarsi i baffi e per molte ore, durante quella giornata, i
giornalisti de "La Repubblica" hanno pregustato la gioia, tutta
giornalistica, di uscire in solitaria: titolo di prima pagina, "De Gennaro
indagato per il G8".
Allora perché? C'è un presupposto. Non è mistero che il quotidiano diretto
da Ezio Mauro sia soprannominato, tra gli addetti ai lavori, "procura
della Repubblica", per l'indubbia vicinanza ai pm di tutta Italia e,
marcatamente, a quelli (considerati) più politicamente targati. E che
questo filo, che solo ora inizia ad appannarsi, abbia anche determinato
pagine giornalisticamente intense da parte del foglio romano.
Il piano si delinea così. L'uscita di una notizia di tale portata, in
esclusiva su "la Repubblica", proprio nel giorno in cui il presidente del
Consiglio annunciava, durante il question time, la fine dell'esperienza di
De Gennaro al vertice della Polizia, avrebbe messo in croce gli stessi pm
genovesi.
Facilmente sarebbero stati indicati come gli ispiratori dello scoop.
Facilmente si sarebbe parlato dell'«intreccio distorto tra alcuni settori
della magistratura e alcuni giornali». L'inchiesta genovese avrebbe avuto
definitivamente il marchio dell'"inchiesta politica", per attaccare la
Polizia e compiacere la sinistra radicale. L'attacco al massimo vertice
sarebbe stato indicato come l'affondo finale di una "procura-no global".
Ma lo svolgimento della giornata ha alcuni intoppi. Anche se "la
Repubblica" attende il più possibile per ottenere la verifica definitiva,
per non muovere troppo le acque e rischiare di "bruciare" lo scoop. Solo
nel tardo pomeriggio spende una delle sue firme più autorevoli per
contattare il procuratore capo Francesco Lalla e ricevere una stringata,
ma sostanziale conferma dei fatti.
Intanto, però, altrove va in scena uno psicodramma. Il premier Romano
Prodi, durante il question time, esordisce confermando la sua massima
fiducia al capo della Polizia. I più smaliziati comprendono già da quelle
parole che per De Gennaro è arrivata l'ora dell'ultimo giro. «E'
spacciato», commentano sottovoce alcuni parlamentari. Infatti Prodi, pochi
minuti dopo, spiega come De Gennaro sia giunto al settimo anno di mandato
e che, per il suo avvicendamento, "servirà un'ampia consultazione con
l'opposizione".
Il presidente del Consiglio attribuisce tutto a un patto tra gentiluomini
con De Gennaro, sigillato già all'inizio dell'avventura di questo
esecutivo. Apriti cielo: dai banchi dell'opposizione si scatena l'inferno.
La rimozione del comandante generale della Finanza, Roberto Speciale, ha
lasciato il segno e il centrodestra, su questi temi, ha i nervi a fior di
pelle. Volano le accuse più velenose. Il problema di Prodi è che si trova
in un cul-de-sac.
Non può e non vuole rivelare dell'invito a comparire (di fatto
un'informazione di garanzia) a De Gennaro. L'accordo tra gentiluomini c'è,
ma riguarda proprio questo dettaglio: silenzio, finché la complicata
transizione non sarà decisa.
Ma intanto Prodi non può far finta che il problema non esista. Deve,
infatti, mantenere rapporti ottimali con l'ala sinistra della coalizione,
quella che da sei anni chiede quotidianamente la testa di De Gennaro. E
non può spingersi nella semplice conferma del capo della Polizia in
carica, quando prima o poi sarebbe noto che sapeva già dell'informazione
di garanzia.
Infatti il premier sa tutto già da nove giorni. La raccomandata a mano è
stata consegnata nelle mani del capo della Polizia da un colonnello della
Finanza (al quale De Gennaro ha anche offerto un caffè) l'11 giugno.
Il capo della Polizia ha subito avvertito il ministro dell'Interno Amato,
lo stesso Prodi e, personalmente, a quel che risulta al Secolo XIX, il
capo dello Stato Giorgio Napolitano. Il patto tra leistituzioni è di non
rivelare nulla, ma di garantire a De Gennaro la più decorosa uscita di
scena. Infatti, poco dopo il question time, Amato conferma: «Sapevo
benissimo che cosa avrebbe detto Prodi, ne abbiamo parlato nei giorni
scorsi». E conferma: «C'è perfetto accordo con De Gennaro».
La reazione dai banchi dell'opposizione è però anche più virulenta del
previsto. Prodi e Amato si consultano. Da Palazzo Chigi parte una curiosa
retromarcia sulle affermazioni del pomeriggio: «È stato l'onorevole Casini
(Udc) a parlare di una sostituzione nelle prossime settimane, e non il
presidente Prodi, che invece ha ribadito per ben due volte che
sull'avvicendamento ai vertici della Polizia ci si confronterà con
l'opposizione».
Ma l'aria ormai si è fatta pesante. Il muro di segretezza inizia a
sgretolarsi. Al Secolo XIX arriva la telefonata di una fonte romana:
"Scava, scava in casa tua, che dietro questo casino c'è molto di peggio".
Si muove la corazzata del Corriere della Sera. Lo scoop di Repubblica è
ormai saltato e, con questo, anche il piano per mettere in ginocchio i pm
genovesi.
Per sciogliere il generale imbarazzo, arriva il via libera alla
circolazione della notizia. E' tardi, molto tardi, quando l'agenzia Ansa
(dalla capitale) manda in rete il primo lancio. Sono le 22,56. Il titolo:
"Capo Polizia indagato in inchiesta G8 Genova". Poi il testo: "A quanto si
è appreso da fonti ufficiose ma autorevoli?"
M. Men.
23/06/2007

Manganelli capo della Polizia cadono le riserve
caso g8-de gennaro
Già gradito all'opposizione, ora ha il via libera di Rifondazione. E si
riparla di commissione d'inchiesta
GENOVA. Dal G8 se n'è sempre rimasto fuori, ben defilato. L'arma di
riserva della polizia, nel caso che prima o poi (qualcuno se l'aspettava)
l'inchiesta sul luglio 2001 fosse arrivata a lambire il vertice
dell'istituzione. Ora Antonio Manganelli s'invola alla carica di nuovo
capo della polizia e l'ultimo ostacolo appare spianato: la contrarietà di
Rifondazione comunista, che nella scelta del fedelissimo numero due di De
Gennaro non vedeva i necessari elementi di discontinuità.
La notte (e la sopravvivenza del governo), però, portano consiglio. Così,
dopo la giornata da incubo, il mercoledì nero in cui il premier ha
annunciato l'avvicendamento di De Gennaro e in cui è trapelata la notizia
dell'invito a comparire recapitato al capo della polizia, l'ennesimo
potenziale conflitto nell'esecutivo è stato spianato. I pompieri del
governo hanno lavorato ore per convincere Rifondazione ad ingoiare la
soluzione Manganelli e non è stato facile.
A tregua raggiunta, è il capogruppo di Rifondazione alla Camera, Gennaro
Migliore, a rompere gli indugi e a dichiarare: «Noi di Rifondazione
comunista che abbiamo chiesto con più forza la sostituzione di De Gennaro
ora ci accontentiamo della garanzia dell'avvicendamento. Non abbiamo
preclusioni sul possibile successore».
A Palazzo Chigi si tira un sospiro di sollievo. La trattativa notturna ha
avuto successo. Trattativa impostata su questi punti: Rifondazione incassa
la sospirata rimozione di De Gennaro, di cui chiede la testa da sei anni,
dopo il G8. In cambio non si mette di traverso sulle altre soluzioni,
anche se non sono le più gradite. In politica, anche i simboli hanno un
loro valore e la caduta di De Gennaro potrà essere tranquillamente
ammannita come il successo dell'ostinazione di Prc.
Migliore sdogana Manganelli con parole nette: «Il nuovo capo deve avere
equilibrio, capacità e competenza e Antonio Manganelli le capacità per
fare il capo della Polizia ce le ha, negli anni ha dimostrato la capacità
di essere riconosciuto come figura di garanzia». Il fatto che, fino a
poche ore prima, esistesse un veto su quel nome che appariva insuperabile
non pare più rivestire troppa importanza. Così vanno le cose della
politica. Anche perché Rifondazione non incassa solo questo successo.
No, non è ancora la commissione parlamentare d'inchiesta sul G8, altro
caposaldo. Non è la commissione, ma almeno la promessa di parlarne. Se ne
parlerà, infatti. In commissione Affari costituzionali della Camera, il
prossimo 5 luglio. Così decide l'ufficio di presidenza presieduto dal
diessino Luciano Violante.
D'altronde, il presidente emerito Francesco Cossiga l'aveva vaticinato già
di prima mattina: «Prodi durerà cinque anni, è molto furbo ed è pronto a
usare come merce di scambio la concessione della commissione parlamentare
sui fatti del G8 a Genova e persino la testa del capo della Polizia Gianni
De Gennaro».
I tempi dell'avvicendamento? Qualcuno sussurra già i prossimi giorni e si
spinge a indicare una data: il 28 giugno. Tira il freno il sottosegretario
all'Interno Alessandro Pajno: «Il portavoce del presidente del Consiglio
Sircana ha fatto presente che si tratta di un avvicendamento del tutto
naturale. Non c'è ancora l'ordine del giorno del Consiglio dei ministri su
questo. Non è un problema da drammatizzare. Davvero, non siamo di fronte
ad una condizione nella qualesi deve provvedere con una particolare
urgenza».
Anche perché l'urgenza colliderebbe con gli accordi. A De Gennaro (uomo
insediato nel suo scranno dal centrosinistra) è stata garantita un'uscita
soft e dignitosa. Che possa essere collegata il meno possibile all'invito
a comparire per i fatti del G8 e appaia (per quanto ancora possibile)
legata a un naturale avvicendamento. Quale seggiola occuperà De Gennaro?
Il Secolo XIX aveva anticipato il ventaglio di possibilità già sul piatto
da alcune settimane. Una vicepresidenza di Finmeccanica. La presidenza
dell'Unire: cavalli al trotto e al galoppo. Ancora: il capo del Cesis,
l'organismo di coordinamento dell'intelligence. Rimangono ancora tutte sul
piatto.
M. Men.

Più fortedel cognome scomodo
il ritratto
marco menduni
IN TELEVISIONE Antonio Manganelli c'è sempre andato pochino. Certo, un po'
di più dell'imperturbabile Gianni De Gennaro. Ma sempre pochino. C'è la
memoria di epici scontri con Luigi Malabarba, l'ex parlamentare di
Rifondazione (ha lasciato l'aula del Senato per far spazio ad Haidi
Giuliani, la madre di Carlo) che regolarmente si lasciava tentare. Il
gioco di parole è fin troppo facile, ma Malabarba proprio non resisteva a
quella suggestione onomatopeica: «Manganelli, nomen omen!». Un nome, un
destino.
Già in passato qualcuno ha sussurrato che chi si chiama Manganelli non
sarebbe mai diventato il capo della Polizia. Sembra che non andrà così.
Manganelli è una di quelle persone indifferenti al trascorrere del tempo.
Nel senso che gli anni non lasciano segni evidenti sul fisico e sul volto.
Nemmeno oggi, quando sta per compiere i 57 anni. E' il vicecapo vicario
della Polizia, con quella ripetizione concettuale tipica delle burocrazie
che significa una cosa sola: «E' il numero due, proprio il numero due». Il
fedelissimo di Gianni De Gennaro. Una moglie bionda e poliziotta, una
figlia liceale.
Il traguardo finale è più vicino, ora che anche la sinistra radicale ha
dato il suo sì. Tutto il resto della politica, destra e sinistra, governo
e opposizione, aveva già dato più volte il suo placet.
Certo, la storia delle ultime settimane è una storia al cardiopalma. Fino
a due settimane fa nessuno si sarebbe sognato di mettere in dubbio il nome
di Manganelli. E' vero, c'era una rosa di candidati, ma era poco più un
gioco, di un fantacalcio. L'unico, vero candidato alla successione del
capo era Manganelli. Poi, però, l'imprevisto. Le dichiarazioni del
vicequestore Michelangelo Fournier al processo G8, quelle sulla
«macelleria messicana» alla Diaz. Poi l'accusa del dirigente genovese
Salvatore Genova, raccolta dal Secolo XIX, sulle torture inflitte ai
brigatisti negli Anni di Piombo. Infine l'invito a comparire dei pm
genovesi. Una convergenza di situazioni che ha instillato retropensieri:
non è De Gennaro il vero obiettivo, ma proprio Manganelli.
Alla fine, se i fatti terranno logicamente dietro alle premesse (cosa che
in Italia non sempre accade) Manganelli pare averla spuntata. Non è un
caso. Tra le sue doti c'è anche quella di saper tenere i rapporti, di
mediare, nella società civile. Quando è stato questore di Palermo e
Napoli, all'interno dell'amministrazione, quando ha diretto il servizio
centrale operativo e poi quello di protezione. E poi da quando, sette anni
fa, è entrato al Viminale, di nuovo nella stanza accanto a quella di De
Gennaro.
Hanno fatto coppia per tutti gli anni Ottanta. Numero uno e numero due,
del nucleo anticrimine e poi del servizio centrale operativo, lo Sco.
Lavorando al fianco di magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
e collaborando con le polizie di mezzo mondo, dall'Fbi alla Bka tedesca.
Nel '91, quando De Gennaro ha tenuto a battesimo la neonata Direzione
investigativa antimafia, Antonio Manganelli è diventato il direttore dello
Sco. Poi di nuovo fianco a fianco al Viminale. Manganelli era in vacanza
proprio nei giorni maledetti del G8 di Genova 2001. Se n'è sempre concesse
pochissime, di ferie. In quell'occasione, al momento giusto.

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