06.07.07
Secolo xix i segreti delle due polizie
Genova. C'è chi la chiede da sempre e non è mai stato ascoltato, ma ora la
proposta di una commissione parlamentare che indaghi sui fatti del G8 di
Genova nel 2001 torna d'improvviso all'attualità mano a mano che si
susseguono le confessioni e le rivelazioni. Ieri, in coincidenza con
l'ultima udienza prima della pausa estiva, sono stati depositati gli atti
del processo che riguardano in particolare le telefonate tra poliziotti di
vario grado nella notte del massacro alla scuola Diaz. Ne emerge un quadro
di enorme confusione organizzativa ma anche di disgustoso cinismo verso i
giovani feriti e perfino verso il morto rimasto il giorno prima
sull'asfalto di piazza Alimonda. E un filmato mostra che la furia degli
assalti (in questo caso da parte dei carabinieri) non risparmiava nemmeno
i mezzi di soccorso.
Anche i soccorritori assaltati dai carabinieri
Drammatica udienza in Tribunale: dopo i colloqui telefonici, spunta un
filmato choc le telefonate chiariscono i ruoli dei funzionari
07/07/2007
GENOVA. È stata una mattinata di fuoco, quella vissuta ieri a palazzo di
giustizia, dove in aule diverse si celebravano i tre processi sui fatti
accaduti durante il G8. Oltre ai testi choc delle telefonate avvenute tra
gli agenti sul campo e la centrale operativa della questura - depositate
dagli avvocati delle parti offese del procedimento per il blitz alla
scuola Diaz - e ai sospetti di falsificazione dei moduli per stranieri
fatti firmare ad alcuni dimostranti detenuti a Bolzaneto, nel corso
dell'udienza per i venticinque noglobal accusati di devastazione e
saccheggio sono spuntate immagini altrettanto choccanti. Molti fotogrammi
tratti in alcuni casi da filmati girati dalle telecamere di strada il 20
luglio del 2001, dove si vedono le cariche delle forze dell'ordine contro
il corteo autorizzato delle tute bianche in via Tolemaide capeggiato da
Luca Casarini, tra le 14,56 e le 15,28.
La più inquietante è quella che ritrae un furgone di soccorso delle tute
bianche con la croce rossa con intorno i carabinieri in tuta e casco e
l'autolettiga con i vetri infranti: si nota poi che il conducente del
mezzo di soccorso viene trascinato fuori dal posto di guida, malmenato e
arrestato. Sempre nell'aula dove si svolgeva il processo ai manifestanti,
sono state proiettate 93 fotografie con in primo piano i manganelli non
regolamentari utilizzati dal Battaglione Lombardia. La raffica d'immagini
è stata proposta da Carlo Bachschmidt, consulente nominato dall'avvocato
Emanuele Tambuscio. I legali della difesa, in sostanza, hanno voluto
dimostrare che le devastazioni di cui sono accusati i loro assistiti non
sono state le uniche messe a segno nelle strade del capoluogo ligure. I
difensori hanno prodotto al tribunale anche il manuale redatto da Valerio
Donnini, funzionario della Direzione centrale affari generali dipartimento
pubblica sicurezza, nel quale si dice (in aperta contraddizione con quanto
avvenuto) che per contrastare le sommosse di piazza non devono essere
utilizzati i mezzi blindati.
In precedenza era stata la volta delle telefonate-choc, le comunicazioni
attraverso le quali si disegna il quadro di disorganizzione,
improvvisazione e in alcune circostanze cinismo che ha accompagnato le ore
successive alla sanguinosa incursione nella scuola (il dettaglio delle
conversazioni più significative è riportato nell'articolo sotto, ndr).
Ecco allora le affermazioni d'una poliziotta della centrale operativa in
contatto con un collega, nella quale i manifestanti sono definiti «zecche
del cazzo». «Speriamo che muoiano tutti - insiste la donna - e comunque
(riferendosi alla morte di Carlo Giuliani) siamo uno a zero per noi». Gli
abitanti del quartiere di Albaro telefonano di continuo al 113 per
segnalare la mattanza in atto nell'istituto: «Sono il signor Scotto, abito
di fianco alla Diaz e là dentro è un macello». Gelida la replica
dell'operatore: «Sappiamo tutto, grazie». Lorenzo Murgolo invece, uno dei
pochissimi dirigenti già prosciolti per il raid, è esasperato poiché non
c'è il pullman per portare via i fermati. Bestemmia almeno quattro volte,
insulta due addetti della sala radio e definisce la centrale di Genova «un
reattore dove c'è troppo casino». Più tardi il capo della Digos genovese
Spartaco Mortola, parlando con il dirigente della celere romana Vincenzo
Canterini che si definisce «dissociato» a causa della stanchezza, si
rivolge a due sottoposti: «Ragazzi, non lasciatemele lì le molotov».
Il perito Carlo Bachschmidt è stato ascoltato come ultimo teste della
difesa: con la prossima udienza, fissata per martedì prossimo, terminerà
l'istruttoria dibattimentale e si riprenderà in autunno. E però non sono
mancate nuove prove neppure al processo sulle violenze di cui fu teatro la
caserma di Bolzaneto. I pubblici ministeri Patrizia Petruzziello e
Vittorio Ranieri Miniati hanno prodotto perizie grafiche che
confermerebbero come le dichiarazioni firmate da 53 manifestanti stranieri
- nelle quali si sottoscrive che rinunciano a contattare il proprio
consolato - fossero state precompilate: secondo l'accusa i giovani vennero
costretti a siglarle.
Dopo un periodo in cui i processi sul G8 genovese sembravano caduti nel
dimenticatoio, insomma, improvvisamente il racconto reso poche settimane
fa resa da Michelangelo Fournier, che all'epoca del G8 del 2001 era
vicequestore aggiunto del primo Reparto Mobile di Roma (il vice di
Canterini), ha fatto riaccendere con prepotenza l'attenzione sui
procedimenti, riattivando le reazioni del mondo politico, con moltissime
voci del centrosinistra a chiedere la commissione d'inchiesta.
C'è infine il caso di Rita Sieni, la manifestante picchiata in strada il
21 luglio di sei anni fa e risarcita con 24 mila euro, che si è definita
pronta a tornare in piazza contro il G8 del 2009, annunciato all'isola
della Maddalena in Sardegna. «Lo farei molto volentieri - ha ribadito nel
corso di un'intervista televisiva - il nuovo vertice si annuncia come un
altro show, da evitare». Alla domanda se abbia ancora fiducia nelle
istituzioni, ha risposto lapidaria: «Non l'ho avuta fino ad ora. Questa
sentenza potrebbe essere l'inizio».
MATTEO INDICE
ELISABETTA VASSALLO
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«Travisati con la placca della polizia... Erano infiltrati?»
le telefonate registrate
Dai colloqui tra i funzionari di polizia emerge una situazione di caos
totale.
E il sospetto, infondato, di un secondo giovane morto
07/07/2007
GENOVA. Non era soltanto una leggenda metropolitana, quella della seconda
vittima in strada al G8, ma uno degli spauracchi che hanno accompagnato i
poliziotti per tutta la notte della Diaz. Con una telefonata delle 3,42 (è
già il 22 luglio), la centrale operativa della questura chiama il posto
fisso del San Martino: «Volevo sapere la situazione dei malati». La
risposta: «Due in prognosi riservata, ma non gravi, hanno le teste aperte
a manganellate». Eppure la voce d'una vittima tra i ragazzi che dormivano
nella scuola si è fatta insistente, ed ecco che alle 3,55 c'è una nuova
comunicazione. Un agente chiede nuovamente al collega del posto fisso:
«Senti un po', ne è morto un secondo?». Nuova replica: «Ma no, figurati».
L'agente insiste: «C'è un collega che stava piantonando uno dei fermati,
uno di quelli raccolti dalle parti dell'istituto e praticamente era in una
pozza di sangue. Chi lo piantonava all'ospedale se ne voleva andare perché
diceva "tanto questo è morto"».
In precedenza un poliziotto del Reparto prevenzione aveva chiesto
delucidazioni all'Operativo per sapere quanti erano i feriti da
piantonare. «Non lo so ragazzi - gli rispondono - posso chiedere ma non
servirà». Il caos distorce ogni decisione. Lo stesso agente del Reparto
prevenzione che intuisce, ma non ne ha la certezza, di dover accompagnare
i dimessi alla caserma di Bolzaneto, chiede conferma: «Non si sa chi ha
proceduto - gli rispondono - non so dove vanno portati. Magari chiedo un
attimo, vediamo...».
Uno dei problemi più seri, per la polizia che s'appresta ad assaltare la
Diaz, è rappresentato dalle notizie fornite in tv, in particolare quelle
sugli «infiltrati» che ieri hanno scatenato una serie di reazioni
politiche. Il dottor Cioffi, funzionario della squadra mobile, telefona
all'allora capo della Mobile genovese Nando Dominici. Sono le 21,39 del 21
luglio. Cioffi riferisce a Dominici di un filmato, trasmesso in
televisione su La 7 nel corso di un dibattito, in cui si vedono due
persone con un fazzoletto sul viso, definite da esponenti del Genoa Social
Forum e di Rifondazione Comunista degli «infiltrati». Dominici chiede
alcune precisazioni. L'interlocutore spiega: «Hanno sostenuto che i due
fossero degli infiltrati della polizia all'interno dei cortei... per
diciamo dare fastidio. E nel filmato c'è un particolare: si vede che tutti
e due, è vero, sono travisati, ma hanno la placca della polizia in
vista...». Dominici a quel punto chiede: «Ma sul serio?» . «Sì - risponde
Cioffi - quindi se glielo dice al questore di far immediatamente
rettificare quello che hanno raccontato, le bugie...». Dominici incalza:
«Ma hanno le placche della polizia, sul serio?». L'altro ribadisce:
«L'hanno, si vede nel filmato». Ancora Dominici: «Ma è coperto il viso?».
Agente: «Hanno i fazzoletti bianchi che probabilmente saranno serviti nel
momento in cui sono stati sparati i lacrimogeni». Ad altre domande di
Nando Dominici, Cioffi spiega: «Sono due ragazzi in borghese ma saranno
dei nostri... il particolare è che quelli del Gsf hanno detto che
praticamente questi due erano senz'altro... perché hanno sostenuto che noi
avevamo degli infiltrati in mezzo ai black bloc... e che avessimo fatto da
provocatori, sebbene nella sequenza si veda che i due avevano la placca
esposta».
Ci sono dialoghi d'ogni tipo. E mentre nella conversazione tra il
funzionario Luigi Demarinis e un collega si parla di un misterioso
«bottino» - «ma dove sarà finito?» si chiede il primo - i poliziotti che
capiscono d'avere avuto intorno tutto il "gotha" nelle fasi più disastrose
del post-irruzione, vengono tacitati senza mezzi termini. Eloquente il
colloquio fra la centrale operativa e Alfredo Fabbrocini, un funzionario
presente sul posto, al quale vengono chieste informazioni direttamente su
delega del questore Francesco Colucci. «Quanti eravate - gli dicono - così
per sapere, perché noi non lo sappiamo...». Fabbrocini non si fa pregare:
«C'erano tutti, il funzionario della Digos, della Mobile, Ciccimarra che
lo conosco, ah c'era Gratteri e...». Lo interrompono bruscamente. «E lì ti
fermi». L'interlocutore insiste: «Eh insomma, voglio dire», accenna alla
presenza d'un prefetto ma lo bloccano: «No, e lì ti fermi perché non c'era
altro». Fabbrocini non è convinto: «Eh non so se non c'era altro: loro
(cioè i super-dirigenti) hanno organizzato il servizio, noi abbiamo fatto
manovalanza». Più avanti, nelle voci dei poliziotti che si sentono in
sottofondo alla comunicazione tra altri due funzionari, la sintesi d'uno
stato d'animo: «Con questo spettacolo abbiamo chiuso la giornata».
M. IND.
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I segretidelledue polizie
il commento
marco menduni
LA STORIA delle due polizie che si fronteggiarono al G8, di uno scontro
interno tra due anime e due gruppi di potere, è stata celata con fatica,
per anni, dall'ex capo Gianni De Gennaro, fino alla sua caduta. Brutta
storia, quella, che ha sempre dato fastidio in maniera assolutamente
bipartisan. Fu raccontata soltanto, in due puntate, dal Secolo XIX. Poi è
stata sepolta dall'ondata di indignazione a corrente alternata che ha
accompagnato le immagini delle devastazioni dei violenti e la risposta
delle forze dell'ordine, in una circostanza (quei due giorni del luglio
2001) in cui ancora non si capisce chi diede il peggio di sé.
La storia delle due Guardie di finanza, di due gruppi opposti di potere, è
rimasta sepolta per anni dietro la facciata di un ritrovato efficientismo
dopo gli scandali degli anni Novanta.
Fino alla cacciata del generale Roberto Speciale e alle polemiche che ne
sono seguite. Le ripercussioni del caso, tutt'altro che sepolto, sono la
dimostrazione del violentissimo scontro che per anni è covato sotto la
cenere. Rotti gli argini, il muro contro muro è apparso in tutta la sua
dilaniante virulenza. La storia delle due intelligence parallele ed
entrambe ufficiali è esplosa con l'indagine milanese sui dossier segreti
dell'archivio di via Nazionale, che si è mescolata con il sequestro di Abu
Omar e le gesta degli spioni di Telecom. Coperta, questa dicotomia, da
Nicolò Pollari fino alla sua caduta e alla sua cacciata. E ribadita dal
documento del Csm, che ha spiegato come non di "branca" deviata si dovesse
parlare, ma di Sismi nel suo complesso e nel suo ruolo istituzionale.
Pollari si è affrettato a smentire. Ma anche stavolta una cosa è apparsa
evidente: tra gli 007 si è combattuta negli anni una battaglia senza
esclusione di colpi. Battaglia tutta intestina.
Questo tema, proprio perché si articola in un "tutti contro tutti" nel
quale non si sa chi abbia le mani più pulite, è stato sempre rimosso
dall'agenda politica, finché le circostanze (quasi sempre scandite,
nell'Italia di oggi, dalle inchieste giudiziarie, dai verbali e dalle
informazioni di garanzia) non hanno costretto tutti a prendere il toro per
le corna. Difficile pensare che il governo Prodi, con tutte le difficoltà
che lo assediano, fremesse dal desiderio di metter le mani in queste
vicende. La dimostrazione? De Gennaro, nominato dal centrosinistra, è
stato confermato da Berlusconi e poi, ancora da Prodi. Che ha sempre
glissato, preso tempo, procrastinato tutte le volte in cui la sinistra
radicale ha chiesto la sua testa proprio per il G8. Fin quando la forza
dirompente dell'avviso di garanzia genovese ha costretto l'esecutivo a un
rimpasto. Ma con De Gennaro ancora più in alto e la guida della polizia al
suo alter ego Antonio Manganelli.
Il caso di Speciale è ancora più illuminante: che il generale fosse in
rotta da sempre con il viceministro Vincenzo Visco era cosa ampiamente
risaputa. Così come il fatto che avesse accusato lo stesso Visco di
pressioni e minacce. Ma anche Speciale è stato conservato al suo posto da
Prodi. Finché la pubblicazione dei verbali sul Giornale non ha fatto
saltare il tappo. E Pollari? Che fosse in difficoltà era risaputo. Ma con
Prodi è rimasto dov'era. Difeso allo strenuo. Ricordiamo: la sinistra ha
tuonato, ha fatto fuoco e fiamme, sull'apposizione del segreto di Stato
sulla vicenda Abu Omar. Salita al potere che fa? Non solo lo ribadisce, ma
ingaggia con la magistratura milanese un corpo a corpo che si trascina
fino alla Corte costituzionale. Nemmeno Berlusconi era arrivato a un tale
livello di scontro.
Questo è un Paese dalle due anime. Spaccato non solo nelle urne, ma nelle
coscienze, nel profondo delle convinzioni. Questa spaccatura si è
riprodotta, dall'universale al particolare, anche nei gangli più delicati
del sistema di sicurezza: le forze dell'ordine e l'intelligence.
Partecipando alla disputa entrambi gli schieramenti, è ovvio che su questi
argomenti nessuno si cimenti volentieri. E' uno degli argomenti sui quali,
per una sorta di convenzione non scritta valsa fino al caso Speciale (che
ha fatto saltare tutti gli equilibri), la politica non si scontra.
Il problema è che, come le altre istituzioni, anche quelle legate alla
sicurezza si sono logorate in questo eccessivo, bellicoso dualismo. E ora
la situazione è a livelli d'emergenza. Che serva la massima trasparenza è
cosa ovvia. Lo sa bene il nuovo capo della polizia, che ne ha fatto il suo
slogan. Lo vedremo alla prova dei fatti.
Sul G8, sulle (vecchie) intercettazioni che l'una e l'altra parte
processuale mettono in gioco spacciandole per clamorose novità e
distribuendole con generosità ai propri "media" di riferimento, dell'una e
dell'altra parte, vale solo una considerazione. Lo scenario delle "due
polizie" emergerà nettamente nel prosieguo del processo: lo si vedrà
presto. E sarà confermato quello che già, anni fa, scrivemmo. C'era una
parte di polizia che aveva stipulato un "patto" silente con il mondo no
global, al punto che le allora "tute bianche" sfilavano in corteo con le
radio della polizia stessa. E che, come ci confermò un alto funzionario,
comunicavano alla digos intenzioni e movimenti dei "cattivi". Un'altra
parte del corpo giudicava quelle nozze come assolutamente contro natura.
Quando sono esplosi gli scontri, i falchi, i duri hanno preso il
sopravvento. Il luglio 2001 ha rappresentato la resa dei conti tra queste
"due polizie", sulla schiena di chi è stato picchiato e manganellato. Il
vero problema è com'è stato gestito il dopo. Ma siamo sicuri che i vertici
della polizia abbiano mal operato, confondendo le acque e facendo gioco di
melina? Ricordiamo De Gennaro. Voluto dalla sinistra, confermato da
Berlusconi, riconfermato da Prodi. E, quando non è stato più possibile
lasciarlo al suo posto, promosso da questo governo.
Marco Menduni