02.04.08
secolo xix «I black bloc sono scappati prima che arrivassimo noi»
secolo xix
«I black bloc sono scappati prima che arrivassimo noi»
g8, l'irruzione alla diaz
Vincenzo Canterini, dirigente della polizia, racconta la sua verità
GENOVA. Vincenzo Canterini, la notte dell'irruzione alla scuola Diaz, era
il capo del reparto mobile di Roma. Reparto sotto accusa per il sanguinoso
blitz. Oggi è un "inviato speciale" della polizia italiana in Romania, a
indagare con i colleghi di Bucarest sulla tratta di esseri umani, oltre ad
essere segretario nazionale del sindacato di polizia Consap.
Ma è la notte del sangue, quella della Diaz appunto, ad essere tornata
prepotentemente alla ribalta con le polemiche delle ultime settimane sul
G8 e con la prossima fine dei processi alle forze dell'ordine. A difendere
Canterini è uno dei più noti penalisti di Genova, Silvio Romanelli.
Ripartiamo dalle ore precedenti il blitz, la sera del 21 luglio 2001...
«Ero con i miei uomini alla Fiera del Mare. Avevamo appena infilato la
forchetta in bocca quando mi dissero che dovevo andare in questura».
Chi glielo comunicò?
«Il generale Valerio Donnini».
Chi diede istruzioni?
«Lo sanno tutti: il prefetto Arnaldo La Barbera, vicecapo della polizia».
La Barbera è morto. Addossare le colpe a lui sembra un escamotage anche di
cattivo gusto...
«A me dispiace, ero anche suo amico. Ma lo ricordo benissimo. Fu lui,
Arnaldo, a dire che dovevamo andare alla Diaz, a dire che lì c'erano i
"terroristi"».
L'uso di particolare forza?
«Non lo consigliò né comandò nessuno. Ma insomma: con l'aria di promozioni
e di encomi che già si sentiva nell'aria, se avessimo messo a segno questa
operazione, a chi sarebbe giovato il caos che ne è seguito?»
Perché il caos?
«Perché nella concitazione l'operazione fu concepita male. Nessuno
circondò l'edificio, ad esempio. E i black bloc, che sicuramente erano
nella Diaz, fuggirono mentre stavamo arrivando. Erano almeno una ventina.
Li avessimo presi, sarebbe finito tutto».
Invece qualcuno in quel frangente ha perso la testa
«Assolutamente sì. Non noi. Noi eravamo l'unico reparto inquadrato. Poi
c'erano un sacco di cani sciolti, dalle squadre mobili e dalle digos di
tutta Italia. Chiedete a loro cos'è accaduto. Noi siamo stati lì dentro
meno di quattro minuti e non abbiamo compiuto violenze».
Caos nelle catene di comando...
«A Genova fu mandato il vicecapo vicario della polizia Ansoino Andreassi.
Che era un prefetto. Averlo messo accanto al questore Colucci ha
significato un ordine chiaro dall'alto: esautorarlo».
Molto disordine..
«Anche organizzativo. Alla mattina del 20 luglio fui inviato a Levante per
scortare uno spezzone di corteo. Chiesi quanti erano, mi dissero 6-700. Io
avevo 70 uomini con me e andai tranquillo. Mi ritrovai davanti diecimila
manifestanti».
Così arrivò La Barbera.
«Bisogna capire come ragiona la polizia. Doveva essere tutto tranquillo
invece la città era stata sfasciata. Bisognava "recuperare". Ma,
sicuramente, con un'operazione lecita. E si sperava solo di poter fermare
chi aveva messo Genova a ferro e fuoco».
È vero che la sera prima dell'inizio del G8 furono proprio le frange più
moderate dei no global ad avvisarvi dei rischi?
«Verissimo. Noi avevamo contatti continui con i capi dei no global».
Attraverso chi?
«Guardi l'unica posizione archiviata nel processo». È quella di Lorenzo
Murgolo, all'epoca della digos di Bologna.
E cosa vi dissero i no global?
«Che stava arrivando troppa "brutta gente", che loro non erano in grado di
controllare la manifestazione e mantenere i patti di un corteo pacifico.
Furono presi di sorpresa anche loro. E, purtroppo, persino noi».
Si riparla della posizione di Gianni De Gennaro.
«Per come lo conosco, nemmeno se lo vedessi crederei che possa mai aver
compiuto qualcosa di illecito. E poi questa storia della falsa
testimonianza è strana: perché organizzarla quando né De Gennaro, né
Colucci erano nemmeno imputati nel processo?».
marco menduni
menduni@ilsecoloxix.it