03.03.04
Secolo xix: G8, il tranquillo assedio dei no global
dal secolo xix
G8, il tranquillo assedio dei no global
Imponente spiegamento di forze, ma il movimento protesta solo con musica e slogan. Ricorso in Cassazione per spostare il dibattimento
Manifestazione senza incidenti. E il processo va avanti
Ma intanto non s'interrompe la sequenza settimanale di udienze.
Sarà importante, la decisione della Cassazione. Decisiva e non solo in questo difficile passaggio delle inchieste sul luglio tragico del 2001, l'approdo del primo giudizio davanti al tribunale. Lo sa bene il procuratore della Repubblica Francesco Lalla, che ammette: «Se questo processo sarà spostato, lo saranno tutti gli altri, anche quelli alla polizia. Se il clima non è sereno, non lo sarà nemmeno per valutare le vicende della Diaz e di Bolzaneto».
Ventisei gli imputati, ma solo nove in aula ieri mattina. Seicento i manifestanti radunati nel presidio davanti al tribunale, milletrecento in corteo. Cifre snocciolate da una questura stavolta generosa nei numeri.
Sicuramente pacifici, i no global visti ieri mattina in città. Non è accaduto nulla. I negozianti, questa volta, hanno accettato la sfida nonostante le inquietudini della vigilia. Hanno tenuto le serrande aperte e hanno contribuito ad evitare quella tipica tensione che affiora nelle strade deserte. E chi ha invaso le strade con le bandiere, i canti, gli slogan, ha evitato ogni provocazione verso le forze dell'ordine. Un'indifferenza ostentata ma che non ha alimentato tensioni.
La mattinata, blindata ma tranquilla, rappresenta un successo che va riconosciuto più al movimento che alle misure di sicurezza rigorosissime. Indispensabili ma, nell'occasione, fortunatamente inutili. Non mancherà l'occasione per rimettere alla prova le affermazioni di buona volontà, perché i Disobbedienti promettono di partecipare a tutte le prossime udienze del processo: ogni martedì.
E' un movimento che mostra, però, qualche affanno. Non nei numeri: si sapeva che la partecipazione alle iniziative di protesta di ieri mattina non sarebbe stata straripante. Sembra, però, una crisi di rappresentanza che prelude a spaccature e distinguo, fino ad allargarsi alla politica e alla rappresentanza sociale tradizionale.
Così la Cgil va in piazza Alimonda per ricordare la tragedia di Carlo Giuliani, ma non sfila verso il tribunale «per non dar l'impressione di assediare i magistrati»; eppure, anche nel sindacato, c'è chi non ci sta e marcia lo stesso. I Ds appaiono sempre più due mondi separati, con il "correntone" che risale via Venti Settembre insieme ai manifestanti e il partito che sta, ufficialmente, con il sindaco Giuseppe Pericu; con la sua scelta di costituzione parte civile contro i ventisei imputati, appena lenita dai documenti di mediazione scaturiti dopo lo "strappo" di Rifondazione.
Ma è nel cuore stesso del movimento dei movimenti che emergono tensioni e differenziazioni. Gli avvocati genovesi sono furenti per la scelta degli altri colleghi di presentare l'istanza di spostamento del processo, la "Cirami". Ma fuori dal tribunale gli altoparlanti del popolo no global approvano la decisione: «Via il processo da Genova, qui la sentenza di condanna è già scritta!».
Così tocca a Luca Casarini, che sfodera i consueti toni muscolari, strappare applausi con le argomentazioni più tradizionali, quelle che mettono tutti d'accordo: «Nei giorni del G8 c'è stata una restrizione della libertà, un massacro preordinato su scala militare».
Gli fa eco Vittorio Agnoletto, portavoce storico del Social Forum: «I veri responsabili degli scontri furono il governo e il capo della polizia, che usarono le frange violente per reprimere il movimento». Argomenti forti, ripetuti da tre anni nelle strade, nei convegni, sui media.
Poi c'è la musica, che torna a essere colonna sonora di una giornata tranquilla. Che la città ha vissuto tra mille disagi, con una parte consistente del centro cittadino chiusa alle auto, le corse dei bus deviate, i parcheggi inghiottiti dai divieti e dalle transenne, i giri viziosi. La musica caratterizza un movimento che ricerca la sua identità. Tra le nostalgie di "Contessa", colonna sonora di un Sessantotto che fu, l'attualità dei Prodigy, ma anche della macarena o di CapaRezza e del suo tunnel. Che ogni radio, anche la più commerciale, ripropone con frequenza ossessiva.
Marco Menduni
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Duemila in marcia, con "distinguo"
IL CORTEO Tra i partecipanti, molti gli studenti. Diaz-Alimonda-Tribunale le tappe della contestazione
La Cgil resta ferma per non pressare i giudici, ma la Fiom gonfia il serpentone
Genova «O nessuno o trecentomila». Lo striscione liberato tra i fumogeni dal ponte che sovrasta via XX Settembre scandisce il messaggio: processi per il G8? O non coinvolgono nessun no global o accusano tutto il "popolo di Genova". Per questo i 18 ex portavoce del movimento si sono autodenunciati. E sotto il ponte marciano in duemila, diretti a Palazzo di Giustizia, pugni al cielo e sgambetti al ritmo di Sono fuori dal tunnel, il loop demenzial-antagonista del fenomeno del momento, CapaRezza.
Sono quasi le 11, il grecale ha appena smesso di infierire e il Tribunale ha appena sospeso per un'ora i suoi lavori. Il corteo si ferma ed è esattamente davanti alla sede del Fronte nazionale, per una volta non presidiato dalle forze dell'ordine; i no global si limitano a strappare tutti i manifesti con la Fiamma cantando il rigurgito antifascista dei 99 Posse. «La storia non si fa nelle aule dei tribunali», romba il disobbediente Matteo Jade al megafono. Gli studenti che hanno "marinato" ballano Manu Chao, si fermano quando dj Psyco elargisce la nuova Piazza Alimonda di Guccini.
Erano partiti tre ore prima dalla scuola Diaz, quella del violento blitz notturno di polizia, 500 studenti in mezzo a poche bandiere dei Verdi e di Rifondazione. "Ribellarsi è un atto dovuto", "Siamo tutti devastatori", dichiarano gli striscioni. Serve tutta l'energia dell'Altra faccia dell'impero (Banda Bassotti), per accompagnare nel gelo gli studenti in piazza Alimonda.
Ma in questo film già visto, con le stesse persone e gli stessi slogan, l'altare laico per "Carletto" stavolta è spoglio, stanco. Se ne accorgono anche i dirigenti della Cgil (in questa piazza per ricordare Giuliani, ma non in marcia per non pressare i magistrati). Attenti invece i carabinieri, tornati su questo pezzo d'asfalto: l'ultima volta era il 20 luglio 2001. «Insistiamo per la commissione parlamentare d'inchiesta», sottolinea Massimiliano Morettini, consigliere comunale Ds e presidente Arci Liguria sotto lo striscione "Non lasciamoli soli".
Comincia la marcia, la Fiom non ascolta la "madre" Cgil e sfila via. Altrettanto fanno i "duri" Bruno Rossi (che ostenta la bandiera di "Un altro porto è possibile") e Bruno Manganaro (firmatario del documento Gsf), non senza parole di biasimo verso il "federale". Aprono gli studenti, quelli del "Colombo ribelle". Soprattutto quelli della Diaz ("non si dimentica"). «Ogni volta che andiamo in quella palestra - racconta Iole Murgia - torna tutto il dolore di quei giorni». Corso Buenos Aires, il serpentone si gonfia, la polizia indossa i caschi, i carabinieri stanno dietro Legambiente, Rdb, forum sociali e "lillipuziani". Arrivano i "big" del movimento, tra loro anche l'ormai ex assessore genovese Prc Taccani, collegati ogni mezzora al telefonino con i «compagni che sono in Aula».
Giacomo Mondovì, il Cobas a lungo ricercato perché fotografato davanti a una banca durante un saccheggio, tira uno striscione nuovo: «Genova, capitale europea della repressione». Via XX è finalmente conquistata, invasa da Inside the loop dei Meganoidi. Sbuca il "Pirata nero", cinquantenne milanese zeppo di piercing al viso che combatte su una bicicletta-vascello contro l'aggressione delle auto, per una volta no global. Ostenta la sua bandiera col teschio che gli sarà rubata a fine giornata.
Incrocio con via V Novembre, vista sulla «nuova zona rossa» che protegge il Tribunale. De Ferrari non è più sul percorso, che finisce qui insieme alle centinaia che erano dall'alba sotto Palazzo. Radio Global Project fa la diretta sull'udienza, chiama per nome i 26 imputati strappando applausi. Molti imputati sono qui, tra loro Massimiliano Monai che spinge la carrozzina: suo figlio Mattia (11 giorni) dorme.
La cittadella, è l'una, diventa bivacco libero, dove i cani scorrazzano e lo spinello è consentito a due passi dagli agenti. Le canzoni di Fabrizio De Andrè allontanano la fame e riportano l'attenzione sul processo. Poi la "sentenza", udienza aggiornata. «Il treno per Milano è alle 15,19; i pullman per Bologna stanno arrivando; martedì prossimo chi entra in tribunale?».
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Prime schermaglie in aula Il pm: la Cirami non vale
Genova«Per quali motivi il processo dovrebbe essere sospeso? Per quali motivi Genova non sarebbe una sede adeguata? Quale sarebbe la grave situazione locale? Forse per la simpatica manifestazione a suon di musica organizzata all'esterno di palazzo di giustizia che è servita a rendere più allegra la noiosa mattinata nell'aula bunker?». Così Anna Canepa, che insieme ad Andrea Canciani è pm nel processo ai 26 Black bloc, ha commentato la richiesta dell'avvocato di Padova Annamaria Alborghetti di rimessione del processo ai sensi della legge Cirami. «Una legge - ha continuato Anna Canepa - nata per difendersi dal processo e non per difendersi nel processo. E' stata elencata, tra i motivi, l'esternazione del procuratore generale sull'operato dei magistrati nell'inchiesta del G8: queste sarebbero le gravi situazioni locali? La Cassazione ha già respinto una richiesta analoga presentata dai difensori dei poliziotti indagati per i fatti della Diaz. Il giudice naturale è quello genoves
e».
L'intervento di Anna Canepa è stato l'unico a ravvivare una mattinata durante la quale sono state presentate e valutate numerose eccezioni. Una mattinata che si è svolta con il sottofondo della musica che echeggiava dal camion dei disobbedienti, mentre alcuni dei 700 poliziotti, stanchi della permanenza in piedi, non resistevano a concedersi qualche passo di danza. In aula erano presenti solo 9 imputati: Carlo Arculeo, Stefano Caffagnini, Marina Cugnaschi, Paolo Annecco, Mauro Degli Innocenti, Luca Finotti, Paolo Putzolu, Antonio Valguarnera, Vincenzo Vecchi. Tra le eccezioni procedurali la più rilevante è stata quella presentata dall'avvocato Ezio Menzione difensore di Eurialo Predonzani: ha eccepito la mancata notifica degli atti che riguardano il suo assistito. E il presidente del tribunale Marco Devoto ha deciso di stralciare la posizione di Predonzani.
L'avvocato Annamaria Alborghetti ha ribadito i motivi per cui ha chiesto la Cirami, anzi, ha chiesto l'ex legge 45 come ha sottolineato per prendere le distanze dal governo Berlusconi, dopo che il pm Anna Canepa l'aveva definita la "vituperata legge Cirami". Alla richiesta di sospendere il processo in attesa della decisione della Cassazione, si sono uniti altri difensori: D'Addabbo, difensore di Domenico Ceci, Nesta difensore di Filippo D'Avanzo, e D'Agostino difensore di Federico Da Re. Assolutamente in linea con i pm che hanno invece ribadito che il processo deve continuare i legali di parte civile: oltre al Comune di Genova, gli istituti di credito Carige, San Paolo, Area Banca Service; la presidenza del Consiglio, i Ministeri della Difesa, degli Interni e della Giustizia. Tra le parti civili anche Filippo Cavataio, il carabiniere che guidava il Defender dal quale partì il colpo che uccise Carlo Giuliani. Ha deciso invece di non costituirsi parte civile Mario Placanica, il
carabiniere che sparò. E quando sarà interrogato si avvarrà della facoltà di non rispondere: «Placanica è convalescente dopo un grave incidente - ha spiegato il suo avvocato Giuseppe Gallo - deve stare tranquillo, non vuole più essere al centro dell'attenzione.
Il processo dunque continua: appuntamento a martedì prossimo