22.01.04
Secolo xix: Bolzaneto, non potevo tacere le violenze
«Non potevo più tacere quelle violenze»
G8, botte ai no global. Sono già cinque i poliziotti che hanno deciso di collaborare: «I capi ci dissero di vivere tranquilli»
Bolzaneto, un agente racconta il "pentimento" «Ho parlato solo adesso perché ero a disagio»
Genova «Perché non ho detto subito queste cose, quando sono stato interrogato la prima volta? Perché ero in difficoltà a raccontare cose che avrebbero potuto mettere in difficoltà colleghi, amici. Anche adesso mi sento a disagio. Ma non posso più stare zitto». E' la storia di un pentimento, giunto dopo quasi tre anni. E' la storia vera dell'inchiesta sulle violenze a Bolzaneto, la caserma-carcere del G8. L'inchiesta sulle botte ai no global arrestati, che stava navigando verso una fine ingloriosa, con una messe di richieste di archiviazione. Poi è arrivato il racconto di due poliziotti e le indagini sono ripartite, coinvolgendo nomi di spicco dell'amministrazione penitenziaria.
Sono un assistente alle scorte in servizio nel carcere di Marassi, a Genova, e un sovrintendente di Savona, i due "pentiti" che hanno vuotato il sacco davanti ai magistrati. Che hanno raccontato le violenze, le prevaricazioni, gli atteggiamenti "da esaltati" che a Bolzaneto, nei giorni del G8, erano divenuti regola. A loro si è poi aggiunto un altro assistente, in servizio nel penitenziario di Imperia. E poi ci sono state le ammissioni di altri due agenti, interrogati a Palermo, all'Ucciardone, dai magistrati genovesi. Ma attenzione: già nell'ottobre dell'anno passato, nel corso del drammatico interrogatorio di un ispettore superiore del dipartimento penitenziario, il muro di silenzio si era incrinato.
I magistrati stavano indagando sui "fantasmi" di Bolzaneto. Così li avevano definiti nelle loro riunioni. Agenti le cui fattezze, le cui divise (diverse dagli altri poliziotti), i cui comportamenti erano stati descritti dai manifestanti arrestati. Ma la loro presenza a Bolzaneto non era attestata da alcun documento ufficiale, da nessuna lista. I sospetti degli inquirenti erano concentrati sugli appartenenti al Sct, il Servizio Centrale di Traduzioni. Ma, nelle relazioni consegnate alla magistratura da Alfonso Sabella (oggi magistrato antimafia a Firenze, all'epoca ispettore del dipartimento penitenziario) il ruolo del Sct è limitatissimo: nei numeri e nei tempi di permanenza a Bolzaneto.
Per avere qualche spiegazione in più, i magistrati del pool G8 convocano nuovamente i poliziotti "pentiti", già sentiti all'inizio dell'inchiesta. Vogliono solo chiarire qualche dettaglio di un episodio specifico. Invece la sorpresa: «Ora non possiamo più stare zitti».
Gli agenti del Sct entrano pesantemente nel campo dell'inchiesta. Per questo, dopo l'ultima tranche di indagine, vengono indagati anche un generale, Oronzo Doria e due capitani. Tutti fanno capo ai servizi di traduzione. Ultimo della lista, lo stesso Sabella. Nei giorni successivi al G8 il magistrato era stato intervistato dal Secolo XIX. Aveva spiegato: «A Bolzaneto non è accaduto nulla di irregolare». Ora, invece, si sottrae alle domande: «Adesso tutto è diverso - spiega - adesso devo tutelare me stesso».
Che cosa raccontano i poliziotti "pentiti" ai magistrati? Alcuni passi dei verbali. «In realtà ci eravamo già dissociati all'epoca dal comportamento di altri colleghi. Avevamo notato che molti di loro erano degli esaltati, volevamo prendere le distanze da quello che stavano combinando». Qualcun altro segnala comportamenti violenti a un suo superiore. «Ma lui mi ha risposto: impara l'undicesimo comandamento, fatti i c... tuoi». Ancora: «C'era casino, tanto casino. Nel piazzale, nelle stanze». Casino fino a che punto? «...arriva un cellulare, gli arrestati scendono, devono passare tra due cordoni di poliziotti. C'è chi li prende a sberle, chi dà dei pugni, calci, chi gli fa lo sgambetto». Ancora: «Non andava bene, non andava bene così. Abbiamo chiesto ai capi che cosa dovevamo fare, ci hanno risposto: limitatevi a star lontano dagli esaltati».
Anche il "dopo Bolzaneto"è all'insegna dell'omertà. «Volevamo fare qualcosa, ci hanno sempre consigliato di lasciar perdere, di vivere tranquilli, di dire che non sapevamo nulla, che non avevamo visto nulla». Così, per quasi tre anni, i magistrati genovesi raccolgono dichiarazioni con lo stampino: «A Bolzaneto non è successo niente». Poi, improvvise, le nuove dichiarazioni. Commenta un magistrato del pool: «Ora il quadro è finalmente più chiaro. Non tutti i poliziotti, a Bolzaneto, sono stati colti dal delirio di violenza. Qualcuno, però, ha picchiato. E tutti indistintamente, dopo, hanno fatto scattare un meccanismo di copertura, senza isolare i violenti, senza denunciarli. Ripetendo all'ossessione la stessa litania: non c'ero, non ho visto nulla, non è successo nulla».
Marco Menduni
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