23.07.11
Repubblica GenovaIl vento della primavera araba "I popoli gestiscano il pianeta"
Il vento della primavera araba "I popoli gestiscano il pianeta"
SE è vero che un altro mondo è ancora possibile, allora è giusto che a queste giornate del decennale del G8 partecipino anche alcuni esponenti dei movimenti e della società civile dei paesi protagonisti della recente "primavera" araba. «Siamo qui per Genova e per gli italiani, perché come loro crediamo che debbano essere i popoli - e non l´economia - a gestire questo pianeta», ha detto Hamouda Hsoubi, marocchino del Forum sociale del Maghreb-Mashrek. «Voglio esprimere la mia solidarietà a questa città per le violenze che ha subito allora. Non credevo che in un paese come l´Italia potessero accedere cose del genere», ha aggiunto Majda Abusalama, giornalista palestinese di Gaza e membro del Movimento 15 marzo: «Anche ho manifestato, e sono stata picchiata dalla polizia. Ma bisogna continuare a partecipare alla lotta, e non restare in silenzio. Mai». Walid Elkaibim è un delegato sindacale tunisino: «Siamo qui per lottare, come nel 2001, contro il capitalismo. Il potere, l´esercito, la polizia cercano in tutti i modi di rallentare la rivoluzione, il processo verso la democrazia».
Genova è una tappa di avvicinamento verso il Forum sociale in programma nel Maghreb alla fine del 2013: il primo appuntamento nell´area mediterranea, l´occasione di costruire una vera alternativa anche in Europa. Con il contributo di questi paesi giovani e antichi. «La rivoluzione non si fa in un giorno», ha spiegato l´avvocato egiziano Yasser Shoukry, presidente dell´associazione El Shebab, «ma trasformando quotidianamente in proposte politiche concrete la critica al modello di aviluppo e di governo globale che era cominciata a Genova, dieci anni fa».
(m. cal.)
Fiom , il sindacato in movimento "La lotta riparte da Genova"
Cremaschi: "Violenza? Io ricordo solo la repressione"
MASSIMO CALANDRI
«DIECI anni fa eravamo a Genova contro il pensiero unico, contro la globalizzazione. Quella degli operai cinesi, quella dell´altro mondo. Oggi ce l´abbiamo in casa, la globalizzazione. La globalizzazione sono Marchionne e la sua minestra. E´ la manovra economica del governo, il taglio dei salari, la Fincantieri. La globalizzazione, il governo unico: questo è oggi. E allora torniamo in piazza. Per ricominciare a lottare».
In corteo ci sarà ancora Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato Centrale della Fiom, il sindacato dei metalmeccanici della Cgil. Perché lui e la Fiom c´erano anche nel luglio del 2001.
«Dieci anni fa, quando la globalizzazione era trionfante e - passatemi il termine - funzionante, vincente. Cioè in qualche modo crescente, anche se altrove. Adesso invece è in crisi, ma regala le stesse ingiustizie. E ora, che ci siamo dentro, nelle istituzioni il pensiero critico è molto meno forte. Non stupitevi però, è perché sempre più facile criticare quando i problemi sono lontano da casa tua. Oggi i governi europei - di destra, di sinistra: che importa? - obbediscono ad un solo governo: quello finanziario. Ascoltate Juncker, quando dice che la democrazia è qualcosa che la Grecia non si può permettere, senza che nessuno dica nulla. E allora, non sentite il bisogno di scendere in piazza anche voi?».
Però il sindacato, tranne la Fiom, non si vede.
«Il sindacato è parte integrante di questo processo degenerato: tranne alcune eccezioni, la maggioranza è subalterna al governo unico europeo. Se davvero il sindacato facesse il suo dovere, in questi giorni non saremmo a Genova».
Qualcuno parla di tensione, del timore di incidenti.
«Questo è un movimento pacifista, oggi come allora. Quando penso alla violenza, ricordo solo la repressione di dieci anni fa, un´altra pagina della strategia della tensione - questa, sì - cominciata nel ‘69 in piazza Fontana. Il chiarimento e le scuse da parte dello Stato restano un punto decisivo e imprescindibile».
Dieci anni fa è stata una grande occasione mancata.
«Il movimento è nato in America Latina, dove i protagonisti del Forum sociale di Porto Alegre oggi sono al potere. Penso a Chavez, a Lula, a Correa. In questi anni qui è accaduto l´esatto contrario: la politica italiana si è messa di traverso, dopo aver usato il movimento. Penso alla catastrofe del governo Prodi, a un governo che ha subito dimenticato le istanze dei suoi elettori. Non è un caso che adesso le tante componenti attuali del movimento siano contro i politici».
E allora oggi vale la pena, esserci.
«E´ un segnale della voglia di ricominciare. Però dobbiamo essere consapevoli che la chiusura della classe dirigente è totale. Peggio del 2001. Ma oggi c´è un altro vissuto, c´è il riferimento delle piazza portoghesi, egiziane, spagnole, greche, tunisine. In Italia ci si prepara ad un autunno terribile, dal punto di vista sociale. Bisogna essere di nuovo a Genova, ricominciare e fare politica. Ma non presentandosi il giorno dopo come candidato alle elezioni: oggi serve intervenire insieme sulla piattaforma della politica, non mollare mai. Altrimenti succede come nel giugno scorso: prima il vento di cambiamento dei referendum, poi la chiusura totale del palazzo. Come se nulla fosse accaduto. Bisogna esserci, a Genova. Per ricominciare».
Vendola, blitz al Porto Antico "Amarcord? No, costruiamo il futuro"
WANDA VALLI
«Venire qui non è un amarcord, perché al G8 di Genova, si è aperta la critica alla globalizzazione, che poi ha camminato in tutto il mondo». Dura da dieci anni il silenzio della politica sui fatti del G8, è una delle cause che hanno portato l´Italia e l´Europa nella crisi, per non aver ascoltato il messaggio che arrivava da quei giovani. Sulla globalizzazione che è deflagrata, ha travolto stati. E´ ancora minacciosa. Dice così Nichi Vendola, presidente della Puglia e leader di Sel, arrivato ieri a sorpresa, a ascoltare il dibattito dei giovani di oggi, proprio su crisi economica e futuro, sotto il tendone delle Feste all´Expò.
Aggiunge: «Tornare qui equivale a costruire un futuro per la generazione dei senza, senza futuro, appunto, senza lavoro, senza speranze che si devono costruire». Tornare è importante «perché la semina di idee parla dell´oggi e del domani», tornare significa «evocare la traduzione politica di quei pensieri, di quelle critiche». E´ venuto, Nichi Vendola, per abbracciare don Andrea Gallo, «non ho potuto essere presente alla festa per il suo compleanno», spiega e il "don" lo aspetta seduto in prima fila, a poche poltrone di distanza da Luca Casarini, leader delle tute bianche ieri, adesso in blu di maglietta e pantaloni. E c´è Maurizo Landini, il leader della Fiom. Anche lui, come Vendola, era a Genova nel luglio del 2001, anche lui crede che «sia stato l´inizio della crisi di un modello, ora però bisogna riuscire a andare oltre». Ma non è facile, quando, come ammette Vendola «sul piano personale devo elaborare quello che ancora adesso è un lutto», mentre sul piano politico, si rivive una «delle pagine più buie, con la politica che ha costretto le forze di polizia alla repressione, mentre a una generazione è stata consegnata l´immagine dei fatti della Diaz e di Bolzaneto». Questa è una città ferita che nessuno ha ancora risarcito e «ha ragione il procuratore capo di Genova, si prova imbarazzo di fronte a uno Stato che non ha avuto il coraggio di chiedere scusa».