02.07.07
Repubblica Genova "Io, poliziotto di destra con il fantasma del G8"
Repubblica Genova
"Io, poliziotto di destra con il fantasma del G8"
Fournier: a Genova non decise De Gennaro
Il vicequestore parla dopo l´ammissione dei pestaggi al processo sulle
violenze alla Diaz
la promessa Quella notte nella scuola non picchiai e nemmeno i miei
ragazzi lo fecero. Però uscii allo scoperto e dissi a Canterini che così
non avrei lavorato più
il ricordo Vidi una ragazza nel corridoio, ero convinto che fosse morta.
Negli occhi continuo a portarmi dietro l´immagine terribile di quei
capelli sporchi di sangue
CARLO BONINI
ROMA - Michelangelo Fournier, 44 anni, vicequestore aggiunto del primo
reparto mobile della polizia di Stato, lo dice tutto di un fiato, con una
robusta stretta di mano e un sorriso sornione. «Sai che c´è? Mannaggia a
me, alla mia "fissa" per la storia del ‘900 e a quella frase». "Mannaggia"
dunque a Ferruccio Parri e alla «macelleria messicana». E non perché la
notte del 22 luglio 2001, a Genova, non sia stata una macelleria. Anzi.
«Alla "Diaz", come diciamo a Roma, c´è stata la schifezza». "Mannaggia"
perché in quattordici giorni quell´espressione gli ha ribaltato la vita
una seconda volta. Subito dopo averla pronunciata, se ne era partito per
New York con la moglie. Martedì scorso, al suo ritorno in caserma, ha
trovato un nuovo capo della polizia, il vecchio con un avviso di garanzia
e una vocina a fargli un altro po´ di deserto intorno: "Fournier si
candiderà con una lista di sinistra". «Non ci si crede... Io con una lista
di sinistra... Roba da matti. Io non intendo candidarmi a nulla. E
comunque mai e poi mai a sinistra. Io la penso esattamente all´opposto.
Mia madre era comunista, mio padre è un liberale. Io sono cresciuto da
ragazzo con la passione per gli anarchici di destra come Longanesi e
Prezzolini e ho studiato a Roma al San Leone Magno. Se sono di destra?
Diciamo che se mi chiedi chi sono i più grandi uomini del ‘900, dico
Roosevelt, Ho Chi Minh, Ataturk, Nelson Mandela e Lech Walesa. E aggiungo
che nella mia libreria, accanto a Junger e Celine, ci sono Gogol e
Dostoevskij, Steinbeck e Kerouac. E Tiziano Terzani... Che uomo».
Diavolo di un Fournier. Lo immagini cavaliere bianco tra cavalieri neri,
"celerino" liberal tra picchiatori in divisa e lui, invece, dal baule
delle suggestioni del ‘900, ha pescato e cucito su di sé un abito
eccentrico. Che, ora, suo malgrado, lo fa apparire «amico tra i nemici e
nemico tra gli amici», come in quel vecchio (1974) film russo di Nikita
Mikhalkov. «Se pensassi che la polizia è fatta di lupi, me ne sarei andato
quella notte del 22 luglio di sei anni fa. Se non fossi e non mi sentissi
poliziotto democratico tra poliziotti democratici di un paese democratico,
non avrei detto ai magistrati di Genova quel che ho detto. Non sarei più
tornato in una piazza e in uno stadio. Non avrei avuto più il coraggio di
guardare negli occhi i ragazzi del nucleo che comando. Invece, io, nelle
piazze e negli stadi ci sono tornato, almeno cento volte l´anno da sei
anni a questa parte. A prendermi gli sputi, i sassi, le bottiglie, a
sentirmi gridare da qualche punk-a-bestia o da qualche ragazzino di buona
famiglia con la kefiah "servo dei servi dei servi". A fronteggiare i
nazisti delle curve. E ci sono tornato perché negli occhi ho continuato e
continuo a portarmi dietro l´immagine terribile e la terribile lezione di
un paio di trecce zuppe di sangue...».
Ora, Fournier, occhiali a specchio su un cranio rasato di fresco, jeans e
maglietta, si mette a passeggiare lungo i viali deserti dell´immenso
compound che, alle porte di Fiumicino, ospita il primo reparto celere. Tra
campi da calcio e da rugby, rimesse per gli automezzi blindati, palestre.
Dieci passi e una Marlboro light. Altri dieci passi e un´altra Marlboro
light. I pensieri di Fournier sono tornati lì. Alla Diaz. Alla notte del
22 luglio 2001, a quell´immagine che non lo ha più abbandonato.
«Entrai tra i primi. Istintivamente salii verso i piani superiori e poi la
vidi nel corridoio. Ero convinto che fosse morta...». La testa di quella
ragazza tedesca sembrava di stoppa. «Lo seppi qualche giorno dopo
guardando la tv che veniva dalla Germania. E in quel momento seppi anche
che ce l´aveva fatta. Di lei ricordo le trecce raggrumate nel sangue e un
chiazza in terra che pensai fosse materia cerebrale». Lei non si muoveva,
ma su di lei infierivano in quattro, forse cinque. «Due poliziotti con la
pettorina; gli altri con l´uniforme dei reparti celere e un cinturone
bianco. Bianco, non blu come il nostro». Sappiamo come andò in quegli
istanti. Sappiamo quel che accadde dopo. «Dovetti spintonarli, togliermi
l´elmo, gridare di farla finita».
Dice Fournier di non aver mai saputo chi fossero quei quattro. Dice
Fournier che mai forse si saprà davvero chi altri c´erano nella «macedonia
di polizia» (l´espressione è di Vincenzo Canterini, all´epoca comandante
del primo reparto celere) che trasformò la Diaz in una tonnara. Lui
ricorda quel che ha fatto, gli ordini che ha dato («Chiamai i soccorsi e
dissi a tutti di lasciare immediatamente lo stabile»), «l´allucinazione»
in cui era piombato. «Io non picchiai, né i ragazzi del mio reparto si
abbandonarono a violenze. Io so solo che uscii all´aperto e dissi a
Canterini che così non avrei lavorato mai più...». La notte del 22 luglio
fu la seconda insonne. «Non dormivo da 48 ore. Alloggiavamo con tutto il
reparto su una nave da crociera cipriota alla fonda nel porto di Genova.
Eravamo arrivati qualche giorno prima e ci eravamo scontrati con il blocco
nero in via Tommaseo, dove ci avevano tirato delle molotov. Io avevo
appena perso mia madre. Ero arrivato al G8 e contavo i minuti per tornare
a Roma. Sono figlio unico e dovevo occuparmi di mio padre. La notte del 22
avevamo già fatto i bagagli, poi, appunto, arrivò quella maledetta
chiamata...».
Quando, il 23 luglio, il reparto lasciò Genova, Fournier aveva capito bene
quel che era accaduto. Qualche giorno dopo, riceverà l´avviso di garanzia:
«Ricordo lo choc di quella comunicazione, ma ricordo ancora meglio il
titolo di quelli del "Manifesto": "C´è posta per voi"...». Eppure - dice -
ancora non sapeva tutto. «Quando fui interrogato la prima volta, il
pubblico ministero, il dottor Zucca, mi allungò i fogli con i referti
medici dei feriti della Diaz e mi disse di leggere con attenzione. Bene,
io mi ritengo una persona forte, ma scorrere quelle carte fu terribile. Mi
cadde sulle spalle una croce che non ha più smesso di tormentarmi. Fino a
quando non ho deciso di svelare al dibattimento anche quell´unico
dettaglio che avevo taciuto per carità di Patria. Quello dei poliziotti
che si accanivano sulla ragazza. Perché era giusto che lo facessi. Perché
dovevo la verità non solo a me stesso, ma ai miei uomini e alla polizia».
Fournier si congeda. «Non ho altre verità nel cassetto. Ma un´ultima cosa
vorrei dirla, anche perché ora posso farlo senza che la mia suoni come
piaggeria. Il capo della polizia Gianni De Gennaro... pardon, l´ex capo
della polizia, e che "capo", non c´entra con quella notte. Fu un terribile
cortocircuito. E De Gennaro non era lì. Non fu lui a decidere cosa andava
fatto e come andava fatto». Un´ultima stretta di mano e una foto mostrata
sul cellulare. Una bimba che abbraccia un dobermann. «Mia figlia e il mio
secondogenito. Altro che cani feroci. Anche su di loro quanti luoghi
comuni...».