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11.07.11

Repubblica Genova Genova, dieci anni dopo «Il G8, non solo violenze»

Genova, dieci anni dopo «Il G8, non solo violenze» Luca Casarini si racconta
di Nicolò Menniti Ippolito

PADOVA. Questo è un libro che parla di Genova, ma anche un libro che racconta per la prima volta aspetti molto personali, familiari addirittura, come mai questa scelta? «Quello che è successo dieci anni fa a Genova è stato ampiamente raccontato, ma si è sempre fatta una foto di gruppo, questa volta mi sembrava giusto che emergesse il fatto che a Genova c'erano persone con tante storie diverse, unite da obiettivi comuni. Il movimento nato a Seattle e che si è espresso a Genova, non era un movimento di massa, era una moltitudine e la differenza è pregnante. In piazza non c'era una classe, c'erano dei soggetti singoli e provare a classificarli svilisce la ricchezza della molteplicità delle persone» Quindi è un rivendicare anche che in piazza c'era Carlo Casarini con la sua storia personale. «Sì, nel mio piccolo ho voluto raccontare le tante vicende di vita, i sentimenti, i dubbi, le contraddizioni, i desideri che hanno portato lì me, come
tanti altri. E poi essendo un personaggio che viene molto raccontato dagli altri, per una volta ho voluto raccontare me stesso» In questo racconto ha un peso non irrilevante anche l'esperienza personale col mondo cattolico. «Il potere, di fronte ad un conflitto, tenta sempre di delimitare il nemico che ha di fronte. Tende a dire i cattolici sono di qua, i no global di là, cose di questo genere. A Genova invece c'erano moltissimi gruppi cattolici di base e discorrendo del grande ruolo che hanno avuto, mi è sembrato normale raccontare i momenti dell'infanzia in cui ho incontrato non la Chiesa come istituzione, ma singoli parroci, preti con cui ho costruito un rapporto. Del resto, non si capisce Seattle se non si comprende l'apporto della Chiesa evangelica a quel movimento» Questa idea della moltitudine, dei movimenti che nascono dall'incontro di persone diverse e non
catalogabili, vale anche per la Val di Susa? «Sono passati dieci anni
da Genova e tutto è cambiato. Allora noi dicevamo che la globalizzazione avrebbe portato la crisi e la povertà e nessuno ci ascoltava. Oggi la crisi c'è ed anche Tremonti denuncia la globalizzazione. Nel libro uso una metafora: a Genova c'è stata una esplosione e i frammenti si sono dispersi dappertutto. Oggi esistono tante schegge che vengono da Genova e il movimento no-Tav è una di queste schegge. Ma quello che accomuna oggi i movimenti è la consapevolezza che la questione fondamentale di fronte alla crisi del pubblico e alla crisi del privato è il bene comune, che significa il territorio, l'acqua, la salute. Ai referendum 27 milioni di persone sono andate a votare per decidere del bene comune e lo hanno fatto da sole, perché i partiti sono semplicemente andati a rimorchio» Genova come la Val Susa non può non porre il problema della violenza. Io dico che bisogna parlarne, ma senza semplificazioni, senza ridurre tutto a giusto o sbagliato,
senza continuare col gioco delle parti. Nel mondo c'è una violenza inaudita. A Genova il potere ha usato una violenza incettabile, ha ucciso, ha mostrato quanto era corrosa la democrazia. Ed è lo stesso potere che vuole delimitare, trasformare il mondo in tante zone rosse, come sta avvenendo a Padova col divieto di manifestare sul Liston, dove da secoli il popolo si esprime. Questo è inaccettabile, credo che tutti debbano capire che se passa questa linea 10 luglio 2011
quel che succede a noi oggi, succederà a tutti domani».

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