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18.06.10

repubblica De Gennaro colpevole per le bugie sulla Diaz

Repubblica Nazionale

De Gennaro colpevole per le bugie sulla Diaz

GENOVA - Il prefetto Gianni De Gennaro, durante il G8 al vertice della
Polizia e oggi direttore del Dipartimento per le informazioni e la
sicurezza, è stato condannato in appello ad un anno e quattro mesi di
reclusione per aver convinto uno dei suoi funzionari a mentire davanti ai
magistrati. A testimoniare il falso, pur di tirarsi fuori dal pasticcio
della scuola Diaz. Così i giudici dell´appello hanno riscritto la storia
del G8. Il ministro dell´Interno Maroni e quello della Giustizia Alfano
hanno espresso «piena e totale fiducia» a De Gennaro.

Diaz, condannato De Gennaro convinse il questore a dire il falso
Ribaltato il primo grado: un anno e 4 mesi. Fiducia da Alfano e Maroni
De Magistris: ora se ne vada. Santelli (Pdl) se la prende con gli
"ayatollah della procura"
MASSIMO CALANDRI
GENOVA - Ha convinto uno dei suoi funzionari a mentire davanti ai giudici.
A testimoniare il falso, pur di tirarsi fuori dal pasticcio della scuola
Diaz. Il prefetto Gianni De Gennaro, durante il G8 al vertice della
Polizia di Stato e oggi direttore del Dipartimento per le informazioni e
la sicurezza, è stato condannato ad un anno e quattro mesi di reclusione.
Colpevole di aver istigato Francesco Colucci, che nel 2001 era questore
del capoluogo ligure e il 3 maggio 2007 cambiò improvvisamente versione
circa lo sciagurato blitz. «Fui io a chiamare i giornalisti», giurò in
aula Colucci, "dimenticando" di aver raccontato in precedenza agli
inquirenti che l´ordine era arrivato proprio da De Gennaro. Non sapeva di
essere intercettato, mentre alla vigilia della testimonianza parlava al
telefono con il collega Spartaco Mortola: «Il capo mi ha detto di fare
marcia indietro». Assolti in primo grado, condannati in appello: Mortola
ha avuto un anno e due mesi. Colucci, che a differenza degli altri due non
ha scelto un rito alternativo, sarà giudicato in autunno. Ma intanto il
tribunale ha riscritto la storia del G8, ribadendo quanto detto dalla
Corte europea dei diritti dell´Uomo: per nove anni la Polizia ha solo
cercato di nascondere la verità.
Il governo si schiera comunque a fianco del capo dei servizi. «Ha la mia
piena e totale fiducia: fino alla sentenza definitiva non cambia nulla,
attendiamo fiduciosi nell´esito del ricorso in Cassazione. Per De Gennaro,
come per tutti, vale la presunzione di innocenza fino a condanna
definitiva», dice il ministro dell´Interno, Roberto Maroni. «La sua
innocenza, fino a condanna definitiva è sancita dalla Costituzione»,
aggiunge Angelino Alfano ministro della Giustizia. La sentenza ha
scatenato una polemica fortissima tra chi come Luigi De Magistris chiede
le dimissioni immediate del prefetto - «carica cui è approdato in un modo
discutibile e offensivo per quanto accaduto a Genova nel 2001», afferma
l´eurodeputato Idv - e chi invece, come Jole Santelli per il gruppo Pdl
alla Camera, se la prende con «gli ayatollah della procura». Paolo Cento,
di Sinistra Ecologia Libertà, vuole subito «una riforma democratica delle
forze dell´ordine», mentre il leader dell´Udc, Gianfranco Casini, si dice
«rammaricato» per la decisione del tribunale, «perché De Gennaro è un
grande servitore dello Stato».
I difensori degli imputati preannunciano ricorso in Cassazione. «Siamo
stupiti», ammettono. «È difficile capire come un giudice abbia potuto
decidere in maniera diametralmente opposta». Di parere diverso Enrico
Zucca, il pm che con Francesco Cardona Albini ha sostenuto l´accusa: «Non
sono sorpreso oggi. Lo sono stato prima, ma i giudici di primo grado
sentivano pressioni troppo forti. Forse avevano semplicemente sbagliato.
Se i precedenti verdetti sono stati ribaltati in maniera così netta ed
omogenea, probabilmente è segno che quelle sentenze erano sbilanciate».
Ieri uno degli avvocati di parte civile ha detto: ‘Allora è vero, la legge
è uguale per tutti´. «Magari è solo l´ottimismo del momento», dice Zucca.
«L´uguaglianza è un´aspirazione. Una tendenza. Di sicuro i giudici hanno
mostrato una grande autonomia di giudizio, sorprendendo tutti e ridando
vita a quell´aspirazione».


La rabbia dopo la sentenza: mi dimetto ma una telefonata di Letta lo frena
La tentazione di lasciare il suo ruolo al Dipartimento Informazioni per la
Sicurezza
"L´ex capo della Polizia sente un obbligo morale con chi è ancora imputato
per il G8"
CARLO BONINI
ROMA - E ora? Ora che farà Gianni De Gennaro? Alle due del pomeriggio di
ieri, quando la seconda sezione della Corte di appello di Genova pronuncia
la parola «colpevole», le parole che il direttore del Dis (Dipartimento
Informazioni per la Sicurezza) consegna al suo avvocato Franco Coppi
sembrano annunciare una decisione irrevocabile. «Io, adesso, saluto tutti
e me ne vado», dice. E in fondo, quello scatto racconta una verità.
L´assoluto stupore per una sentenza che capovolge l´assoluzione di primo
grado a fronte di un materiale probatorio rimasto immutato. L´insofferenza
di vedersi improvvisamente precipitato in una condizione di oggettiva
debolezza, tanto più insopportabile per un uomo che per indole e storia
professionale non è abituato al passo dell´anatra zoppa. La consapevolezza
che il restare al proprio posto macchiato da una sentenza di condanna, sia
pure non definitiva, possa essere letto non come l´ostinazione legittima
di chi si professa innocente, ma come la risposta cinica di chi intende
aspettare la sentenza definitiva forte del proprio ruolo e peso
istituzionali.
Epperò, De Gennaro non è uomo di pancia. E la voglia di sbattere la porta
si stempera prima nei consigli del professor Coppi («L´amarezza è
comprensibile, ma certe decisioni vanno prese con freddezza e soprattutto
valutando quali sono i presupposti. E qui i presupposti sono soltanto
quelli di una sentenza che mi appare sconcertante»), quindi nel volo che
lo riporta a metà pomeriggio nei suoi uffici in Largo di Santa Susanna,
dove si chiude protetto dal filtro della sua segreteria. Raccontano di un
affettuoso sms del capo della Polizia Antonio Manganelli. Di una
telefonata del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta,
che nel comunicargli la fiducia del governo (che, per altro, in serata
verrà manifestata pubblicamente e con accorta sincronia dal ministro
dell´Interno Roberto Maroni e da quello della Giustizia Angiolino Alfano)
deve comunque prendere atto di un «ragionamento» che annuncia una mossa
possibile (molti dicono «scontata, conoscendo l´uomo») delle prossime ore.
Mettere in ogni caso a disposizione del presidente del Consiglio il
proprio incarico perché così impongono la sensibilità istituzionale e la
necessità di sgomberare il campo dall´idea che il Dis possa o debba
diventare una prigione in cui attendere l´ultimo verdetto.
«Due anni fa non ho cercato la nomina a direttore del Dis. Mi è stato
chiesto e ho accettato per puro spirito di servizio. Il giorno in cui non
dovessero esserci più le condizioni, non resterò un minuto di più», ha
ripetuto spesso in attesa della sentenza d´appello Gianni De Gennaro. Oggi
– racconta chi gli è più vicino – a maggior ragione questo torna ad essere
vero. E se il governo, a cominciare dal presidente del Consiglio, non
sembra neppure prendere in esame la possibilità di provarsi di De Gennaro,
va anche detto che il passaggio dovrà comunque avere un suo momento
pubblico. Non basterà insomma una telefonata.
Al netto delle intenzioni (per altro non misteriose) di Palazzo Chigi, c´è
comunque un secondo argomento che lascia immaginare che Gianni De Gennaro
resterà al Dis. Che se dimissioni ci saranno, queste non usciranno dallo
stretto sentiero dell´opportunità e del galateo istituzionale di chi
ritiene che una fiducia del governo, a questo punto, vada pubblicamente
riconfermata. E questo secondo argomento è tutto nel modo in cui la
Polizia ha attraversato il deserto giudiziario per le vicende genovesi del
G8. All´indomani della notte del 19 luglio 2001 (l´irruzione nella Diaz),
De Gennaro, da capo della Polizia, scelse di non rimettere il proprio
incarico, di non deflettere da una linea (per altro confermata dal suo
successore Antonio Manganelli) che rimandava alle aule di giustizia non la
responsabilità della Polizia, ma quella, «eventuale», di suoi singoli
appartenenti per singoli episodi. De Gennaro spiegò che i poliziotti e non
la Polizia si sarebbero fatti processare. Che la presunzione di innocenza
fino all´ultimo grado di giudizio sarebbe valsa anche per chi indossava
un´uniforme. Di quella scelta di allora - per altro compiuta anche in
forza di solidissimi legami bipartisan in Parlamento che nel tempo ne
hanno fatto una «riserva della Repubblica» - De Gennaro, in questi nove
anni, è stato consapevole. Non l´ha mai dissimulata. Ne ha al contrario
spesso rivendicato «l´opportunità» e «la correttezza». A lungo ne ha
tratto dei vantaggi. Da qualche tempo comincia a pagarne dei costi. E
cambiare rotta oggi sarebbe complicato. «De Gennaro – rifletteva ieri
pomeriggio un alto dirigente del Viminale – ha continuato e continua a
sentire un obbligo morale con chi, come lui, è ancora imputato nei
processi del G8 e attende una sentenza definitiva. Escludo che possa
mollare tutto ora. Perché De Gennaro è un uomo molto intelligente e
comprende quale effetto simbolico avrebbero le sue dimissioni sull´onda di
una sentenza come quella che ora lo condanna. Non l´ho mai visto prendere
una decisione spinto dal solo istinto. Non lo farà neanche questa volta».


Parla Giuliano Giuliani, padre di Carlo ucciso in piazza Alimonda nove
anni fa
"Finalmente mi sento in un Paese normale"
GENOVA - «In questo strano posto che è l´Italia, a volte ti sorprendono
notizie che ti fanno illudere di essere finalmente in un paese normale».
Giuliano Giuliani, padre di Carlo, ucciso in piazza Alimonda. I
superpoliziotti colpevoli per il blitz alla Diaz, De Gennaro condannato
per aver istigato a mentire. Le sentenze d´appello riscrivono la storia di
quei giorni.
«Noi la storia la conosciamo bene, purtroppo. Le sentenze possono aiutarci
a credere nella giustizia. La decisione di primo grado che aveva assolto
De Gennaro era semplicemente scandalosa: diceva che c´era un corrotto ma
non un corruttore».
Gianni De Gennaro era il capo della polizia durante il G8.
«Ed è rimasto al suo posto, nonostante il fallimento. Anzi: ha fatto
carriera, come tutti gli altri. Però ci sono due sentenze d´appello che
condannano tutti i massimi gradi della polizia. Ma proprio tutti. Ora, io
dico: in un paese civile, ci si dimette. Poi giustamente si rivendica il
diritto ad un terzo grado di giudizio. Ma intanto ci si dimette. Per
dignità. Purtroppo qui in Italia manca una cosa».
Cosa?
«Il buon esempio dall´alto. Quando si delegittimano i giudici, quando si
ignorano le sentenze, è evidente che chi sta sotto farà altrettanto, se
non peggio».
Di tutte le inchieste per i tragici fatti di nove anni fa, l´unica ad
essere stata archiviata è proprio quella sulla morte di suo figlio.
«Uno schifo. Ma c´è un motivo. In quella storia erano coinvolti i reparti
speciali dei carabinieri. Che in Italia sono ancora più intoccabili dei
vertici della polizia».
Ci crede ancora nella giustizia?
«Oggi un po´ di più. Ho fiducia negli apparati dello Stato. Ma ne avrei di
più, se ai vertici si comportassero con dignità».
(m.cal.)

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