13.09.03
Manifesto, Vari
dal manifesto
Genova, processo alla polizia
I pm accusano 73 agenti e funzionari, tra cui Gratteri, per le violenze e
le prove false alla Diaz e Bolzaneto: falso, calunnia e abuso d'ufficio. La
celere romana di Canterini risponde del massacro. Il procuratore capo non
firma. Pisanu: La Ps è sana
ALESSANDRO MANTOVANI
INVIATO A GENOVA
Non furono «mele marce», non furono «abusi di singoli». E allora, come dice
un magistrato, «a pagare devono essere i generali, non i soldati». I 73
avvisi di fine indagine spediti ieri dalla procura di Genova, ultimo atto
prima delle richieste di rinvio a giudizio per le violenze alle scuole
Diaz/Pascoli e a Bolzaneto, sono un atto d'accusa contro la polizia
italiana. Franco Gratteri, vicinissimo a Gianni De Gennaro, dovrà
rispondere di falso, calunnia aggravata e abuso d'ufficio per quella
«perquisizione» che si risolse in un massacro, la notte del 21 luglio di
due anni fa dopo due giorni di scontri: 61 feriti, 93 arresti arbitrari,
due false molotov, una coltellata fantasma e verbali che parlavano di
«accesa resistenza» e di attrezzi da carpentiere usati come «armi
improprie». Le stesse gravi accuse toccano a Gianni Luperi e Lorenzo
Murgolo, indicati come coloro che comandarono l'operazione insieme a
Gratteri e al defunto Arnaldo La Barbera, allora capo dell'antiterrorismo.
Per i pm agirono «al fine di costruire un compendio probatorio a carico
degli arrestati e, quindi, per commettere i reati di calunnia e abuso
d'ufficio, nonché per giustificare la violenza usata». «Costituendo per
posizione gerarchica il livello apicale di riferimento - proseguono - ed
esercitando di fatto i poteri connessi, consapevoli di quanto nella realtà
accaduto, determinavano ed inducevano agenti e ufficiali di polizia
giudiziaria ad attestare falsamente: di aver incontrato resistenza; che
quanto rinvenuto nell'istituto (mazze, bastoni, picconi, assi, spranghe)
era stato utilizzato come arma impropria anche per commettere i reati di
resistenza; di aver rinvenuto due bottiglie incendiarie; l'aggressione ai
danni di un agente che sarebbe stato attinto da una coltellata vibrata
all'altezza del torace». E ancora: «Incolpavano, sapendolo innocente,
ciascuno dei predetti indagati per i delitti loro ascritti (associazione a
delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio, resistenza a
pubblico ufficiale, possesso di esplosivi e armi improprie), nonché un
soggetto ignoto ma tra costoro individuabile per tentato omicidio».
Altrettanto gravi le posizioni di dieci funzionari di medio livello, per lo
più vicequestori, che scrissero o firmarono i verbali: Gilberto Caldarozzi
(vice di Gratteri), Spartaco Mortola (ex capo della Digos di Genova), Nando
Dominici (ex capo della squadra mobile di Genova), Filippo Ferri (capo
della mobile di La Spezia), Massimiliano Di Bernardini (capo
dell'antirapine alla mobile di Roma) Fabio Ciccimarra (pluridecorato
«mobiliere» di Napoli), Carlo Di Sarro (ex Digos di Genova), Massimo
Mazzoni (ispettore dello Sco), Davide De Novi e Renzo Cerchi («mobilieri»
di La Spezia). Il verbale d'arresto, secondo i pm, lo scrissero Ciccimarra,
Ferri e Di Bernardini. Perquisizione e sequestro furono invece verbalizzati
da Mazzoni, che dipendeva direttamente da Gratteri.
Niente processo per la truppa. Per il massacro risponderanno i capi del
reparto mobile (ex celere) di Roma e del settimo nucleo antisommossa,
creato per Il G8. Concorso in lesioni gravi è l'ipotesi di reato per
Vincenzo Canterini - accusato anche di falso e calunnia - il suo vice
Michelangelo Fournier e gli otto capisquadra (Fabrizio Basili, Ciro Tucci,
Carlo Lucaroni, Emiliano Zaccaria, Angelo Cenni, Fabrizio Ledoti, Pietro
Stranieri e Vincenzo Compagnone). Scrivono i pm che costoro, «in concorso
con altri ufficiali ed agenti, cagionavano lesioni personali varie, anche
gravi, alle persone presenti all'interno dell'edificio, colpite con lo
sfollagente in dotazione o con altri atti di violenza, commettendo il fatto
o comunque agevolando o non impedendo ad altri tale condotta, dolosamente
eccedente il limite del legittimo uso di mezzi di coazione fisica (...),
colpendo con violenza le persone predette, tutte in palese atteggiamento di
non offensività e di resa, in talune occasioni infierendo più volte sulle
stesse già a terra». E giù con le lesioni: fratture alla testa e alle
braccia, una milza spappolata, un testicolo a pezzi...Si salvano i settanta
della «truppa», che erano a volto coperto. Del resto picchiano anche molti
altri, in borghese o in divisa ma mai identificati. Secondo la procura,
intervennero «oltre duecento» operatori di ps, ma una lista così lunga ai
pm non è mai arrivata. Non risultava presenti neanche Pietro Troiani, il
vicequestore che fece portare le molotov nella scuola, né l'assistente
Michele Burgio che confessò di avercele portate per poi lasciare,
disgustato, la polizia: a giudizio anche loro. Falso e calunnia sono
ipotizzati, infine, per il sedicente accoltellato Massimo Nucera e per
l'ispettore Maurizio Panzieri che confermò il suo racconto.
Rischiano il processo anche i tre funzionari che estesero la perquisizione
all'istituto di fronte alla Diaz, la Pascoli: sono Salvatore Gava, capo
della mobile di Nuoro, il napoletano Alfredo Fabbroncini e il «mobiliere»
romano Luigi Fazio, quest'ultimo accusato anche di percosse a un giovane
tedesco. Alla Pascoli entrarono «per errore», Gratteri se n'è assunto la
responsabilità, e lì distrussero i computer del Media center e quelli degli
avvocati: perquisizione arbitraria, violenza privata, danneggiamento. E
peculato perché presero gli hard disk.
Bolzaneto «inumana e degradante». Gli «avvisati» sono trenta per la
Diaz/Pascoli e 43 per Bolzaneto. Ma tra questi ultimi solo cinque sono
stati riconosciuti come protagonisti di specifici atti di violenza,
minaccia e ingiuria, gli altri erano i responsabili della caserma della ps
trasformata in avamposto carcerario. Così Giacomo Toccafondi, il medico
penitenziario in tuta mimetica: abuso d'ufficio, violazione di un elenco
infinito di norme del regolamento penitenziario, abuso di autorità su
arrestati, lesione del diritto alla salute previsto dalla Costituzione,
omissione di soccorso, violazione dei diritti umani fondamentali. Così il
poliziotto Massimo Luigi Piccozzi, che spezzò una mano a un ragazzo.
Per la ps il capo era Alessandro Perugini, numero due della Digos di
Genova, quello del calcio in faccia al ragazzino di Ostia. Risponderà di
aver «tollerato o comunque non impedito che le persone ristrette fossero
sottoposte a trattamento non conforme ad umanità, non rispettoso della
dignità umana, e quindi umiliante, inumano e degradante». Perché a
Bolzaneto, ricordano i pm, «nelle celle le persone erano obbligate a
mantenere per lungo tempo posizioni umilianti; nel corridoio durante gli
spostamenti venivano colpite e minacciate da personale disposto in modo di
formare due ali». E ancora, ricevevano «offese e insulti in riferimento
alle loro opinioni politiche ('zecche comuniste', `bastardi comunisti',
`ora chiama Bertinotti', `te lo do io Che Guevara e Manu Chao', `Che
Guevara figlio di puttana', 'bombaroli')», alla loro sfera e libertà
sessuale, alle loro credenze religiose ('ebrei di merda', `frocio di
merda') «ed erano costrette» ad ascoltare espressioni di ispirazione
fascista (quali ascolto del cellulare con suoneria costituita dal motivo di
Faccetta nera bella abbissina, ascolto della filastrocca `uno due tre viva
Pinochet, quattro cinque sei morte agli ebrei')». E poi «percosse, minacce,
sputi, risate di scherno».
La procura spaccata. Firmano gli atti d'accusa sei sostituti: Francesco
Cardona Albini, Vittorio Ranieri Miniati, Monica Parentini, Patrizia
Petruzziello, Francesco Pinto ed Enrico Zucca. Mancano i capi: il
procuratore capo Francesco Lalla e l'aggiunto Giancarlo Pellegrino, che in
questi due anni hanno incoraggiato soprattutto le inchieste sui
manifestanti, gli arresti e i rinvii a giudizio per 26 accusati di
devastazione e saccheggio.
Pisanu si smarca ma non troppo. Immediato il commento del ministro
dell'interno: «E' solo un atto dovuto - ha detto Beppe Pisanu - La polizia
italiana è così sana che può serenamente affrontare qualsiasi giudizio e,
se sarà necessario, prendere tranquillamente le decisioni di carattere
amministrativo che un eventuale giudizio della magistratura rendesse
opportune».
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Tutti promossi i poliziotti processati per il G8
In due anni nessuno è stato punito. Salvo chi ha cercato di indagare sui
fatti, o di dire la verità
A. MAN.
GENOVA
Molti funzionari che andranno alla sbarra per il G8 sono stati promossi o
nominati ad incarichi di prestigio. E' il caso di Francesco Gratteri, il
pupillo di Gianni De Gennaro, appena insediato al vertice
dell'antiterrorismo (ex Ucigos) dopo aver diretto lo Sco (Servizio centrale
operativo) della Criminalpol. La nomina è singolare perché Gratteri,
protagonista della stagione dell'antimafia, dalla metà degli anni `80 non
si è mai occupato di politica ma solo di grande criminalità, e infatti già
annuncia che applicherà ai nuovi «clienti» i metodi sperimentati contro
Cosa nostra. Un gradino sotto di lui hanno messo il coindagato Lorenzo
Murgolo, già numero due della questura di Bologna. E a completare la
polizia politica di De Gennaro c'è Gianni Luperi, direttore della divisione
investigazioni generali: anche lui è nei guai per la Diaz. Un filmato li
mostra tutti, nel cortile della scuola, attorno al sacchetto con le due
molotov fasulle. Sono al loro posto anche gli altri, vicequestori e
commissari a capo di Digos e squadre mobili: a La Spezia Filippo Ferri, a
Nuoro Salvatore Gava. E' stato invece messo da parte Fabio Ciccimarra,
confinato in un inutile ufficio romano dopo le accuse per i fatti della
caserma napoletana Raniero. I genovesi sono rimasti a Genova: l'ex capo
della Digos Spartaco Mortola dirige ora la polizia postale e telematica, il
suo ex vice Alessandro Perugini è oggi il capo del personale della questura
nonostante sia indagato per Bolzaneto e per l'incredibile vicenda del
calcione a freddo sferrato a un minorenne già immobilizzato. Inutile
parlare di Vincenzo Canterini, protetto anche dal sindacato Consap che l'ha
eletto in segreteria: la celere romana è sempre il suo regno.
Subito dopo il G8 il capo della polizia spedì a Genova tre alti funzionari
per condurre una frettolosa indagine interna. Pippo Micalizio, incaricato
dell'affaire Diaz, non si comportò male: pur ignorando le false molotov
propose otto procedimenti disciplinari ad altrettanti funzionari, tra i
quali l'intoccabile Gratteri, chiedendo per Canterini la destituzione dalla
polizia. Ma l'unico a pagare è stato proprio Micalizio, tuttora privo di
incarichi di rilievo. De Gennaro rimosse invece l'allora questore di Genova
Francesco Colucci (colpevole di tante cose ma soprattutto di aver scaricato
le responsabilità sui dirigenti arrivati da Roma), l'allora capo
dell'antiterrorismo Arnaldo La Barbera e l'ex numero due della polizia,
Ansoino Andreassi. Ma Colucci ha fatto un paio d'anni di quarantena e ora è
tornato alla ribalta, questore di Trento. La Barbera, che al G8 svolse un
ruolo oscuro del quale però non può più rispondere perché è scomparso nel
2002, venne mandato ai servizi. Anche Andreassi è finito ai servizi, per la
precisione al Sisde come vice di Mario Mori, il generale dei carabinieri
che dirige il servizio segreto civile. Per lui fu davvero una punizione. Ed
era normale: al G8, infatti, Andreassi fece meno danni di altri, si fece da
parte dopo l'arrivo di La Barbera (nel pomeriggio di sabato 21) e non
partecipò ai preparativi della perquisizione alla Diaz, né si presentò sul
posto. Negli atti dell'indagine è l'unico, con Micalizio, a non fare un
pessima figura. Entrambi sono stati sentiti come testimoni, entrambi si
preoccupavano di non far la parti dei delatori - degli «infami» - come in
qualsiasi altro contesto delinquenziale. Ma se Micalizio ha confermato la
relazione dell'agosto 2001, Andreassi ha aiutato i magistrati a ricostruire
quel pomeriggio, quando scattò la caccia al no global che si concluse alla
Diaz.
«Ora si accertino le responsabilità politiche»
Prc, Verdi e movimento tornano a chiedere una commissione parlamentare
d'inchiesta
Una commissione parlamentare d'inchiesta sui fatti del G8. La propone il
deputato di Rifondazione comunista Giovanni Russo Spena, che definisce «di
grande interesse» i risultati delle indagini della procura di Genova.
«Emergono comportamenti - dice Russo Spena - che, se confermati, infrangono
gravemente lo stato di diritto. Si individuano inoltre precise
responsabilità di alcuni dirigenti. Ora, dunque, è un dovere democratico
andare oltre le responsabilità penali singole per risalire ai comportamenti
politici e alle responsabilità delle catene di comando». E' dello stesso
avviso il verde Paolo Cento, secondo il quale una commissione di inchiesta
«è lo strumento più appropriato» per accertare le responsabilità politiche,
su cui «occorre non far cadere il silenzio». Il movimento dei
Disobbedienti, in un comunicato, «prende atto che dalle stesse indagini
giudiziarie, ad oltre due anni dai fatti, emerge finalmente una parte
significativa della verità sulle giornate del G8 di Genova». Osserva però
«con amarezza che alcuni tra gli stessi massimi responsabili della
"copertura" di quei fatti, individuati dai magistrati, sono stati nel
frattempo promossi a più alte cariche e responsabilità nell'amministrazione
degli apparati repressivi dello stato». E osserva ancora «che quegli stessi
uffici posti sotto accusa per i pestaggi, le sevizie, le mistificazioni, le
prove false, sono fonti accreditate in altri procedimenti sui cosiddetti
"scontri di piazza" al fine di porre noi e altri sotto accusa». I
Disobbedienti chiedono perciò «che si inizi una battaglia generale per
l'amnistia sui reati imputati alle attiviste e agli attivisti della
mobilitazione globale per la democrazia e la giustizia: hanno lottato
contro decisioni e metodi del tutto illegittimi».
«Abbiamo atteso 26 mesi ma alla fine la verità sta venendo a galla», fa
sapere il Comitato verità e giustizia per Genova, che pone alcuni
interrogativi: «Perché alcuni dei dirigenti messi pesantemente sotto accusa
sono stati recentemente promossi a nuovi importanti incarichi di
responsabilità? Essere stati coinvolti nell'assalto alla scuola Diaz è
forse un merito professionale? Perché, invece, a tutela del buon nome della
polizia e per ripristinare la fiducia dei cittadini, tutti i funzionari non
vengono sospesi in attesa dell'esito dell'inchiesta? Perché le 93 persone
pestate e arrestate alla scuola Diaz sono ancora indagate per associazione
a delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio? Perché il
parlamento e il governo non prendono provvedimenti per rendere
riconoscibili, con numeri e targhette sulle divise, gli agenti in servizio
d'ordine pubblico? Perché il parlamento non approva una legge sulla tortura
che l'Italia - unico paese in Europa - ancora non ha? Perché il parlamento
non istituisce una commissione d'inchiesta per accertare le responsabilità
operative e politiche degli abusi commessi a Genova, così infamanti per le
istituzioni?». Già, perché?