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29.01.05

Liberazione: parte il processo su Bolzaneto

http://www.liberazione.it:80/giornale/050128/LB12D6DE.asp

Parte nell'indifferenza il processo. In pochi al presidio sotto il
tribunale di Genova
Torture a Bolzaneto, citato il governo ma incombe la salva-Previti
Genovanostro inviatoIl lungo, estenuante, appello dei 47 imputati (nove le
donne), e delle 254 parti lese, 129 delle quali si sono già costituite
parte civile, poi la citazione in giudizio del governo - responsabile in
solido per i reati commessi dai suoi dipendenti - e subito il primo rinvio
al 19 febbraio concesso dal gup de Matteis per dar tempo ai ministeri
(Giustizia, Interni e Difesa) di costituirsi e agli indagati di leggersi
le carte delle parti civili. E' questo il succo dell'apertura dell'udienza
preliminare per le violenze a Bolzaneto, il carcere provvisorio per i
fermati del G8 2001 che si trasformò in lager per centinaia di persone
prese a casaccio per le vie di Genova, alla stazione, negli ospedali o
alla scuola Diaz.

Sugli scalini del tribunale molte delle loro storie scritte su pettorine
che non hanno trovato, ieri mattina, abbastanza persone che le
indossassero. C'era solo lo sparuto gruppo di "irriducibili" del social
forum e del comitato Verità e giustizia a presidiare il Palazzo nel giorno
dell'avvio dell'ultimo grande processo legato ai misfatti di polizia del
G8. Un dato che, accoppiato con la crisi di fondi che rischia di
paralizzare il preziosissimo supporto legale dei mediattivisti, dovrebbe
far riflettere i movimenti. «Si tratta di una delle cose più gravi
accadute in Italia - dice Gilberto Pagani, avvocato milanese di quattro
vittime straniere - e invece il centrosinistra ha paura a entrare in
conflitto con gli apparati repressivi. Noi del legal forum non possiamo
fare supplenza anche su questo». Eppure l'occasione sarebbe preziosa anche
per «gettare luce su quanto accade "normalmente" in carceri, caserme,
commissariati», aggiunge, con lui, un'altra avvocata delle parti offese,
la genovese Laura Tartarini.

Nessuna prova filmata, a differenza di altri procedimenti genovesi, solo
testimonianze, questa volta, che però collimano perfettamente. Ma già
dalle prime battute in camera di consiglio, l'impressione è quella che le
difese abbiano scelto la strategia della lumaca per tirare per le lunghe
una faccenda in attesa delle prescrizioni o del "tana-libera-tutti" della
salva-Previti. Gli indagati sono 5 medici penitenziari, 12 carabinieri, 16
guardie carcerarie e 14 poliziotti. Contro di loro, a vario titolo, i pm
Petruzziello e Ranieri Miniati hanno chiesto il rinvio a giudizio, in 161
pagine di memoria, per una lista impressionante di reati visto che in
Italia non ne esiste uno specifico di tortura: abuso d' ufficio, violenza
privata, percosse, omissione di referto, abuso di autorità contro detenuti
o arrestati, falso, violazione dell'ordinamento penitenziario e della
convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell' uomo. Ancora
ieri Amnesty International e Antigone sono tornate a denunciare la
lentezza con cui il parlamento sta affrontando il tema dopo la bocciatura
di un testo non conforme alla Convenzione delle Nazioni Unite imposto
dalla Lega (si sarebbe trattato di tortura solo in presenza di
reiterazione). Un ritardo che non suona strano se messo a paragone con la
scelta dei ministeri di non sospendere gli indagati e di non costituirsi
parti offese per i misfatti di Bolzaneto che «è di per sé un'indicazione
politica», spiegano altri due legali, Simonetta Crisci e Roberto Lamma. Il
comitato Verità e giustizia, che oggi alla Sala Cambiaso ha promosso un
"processo alla tortura", torna a chiedere una vera inchiesta parlamentare.

In due, tra gli indagati, hanno giocato la carta del difetto di notifica
ma sono stati riconosciuti contumaci e anche un legittimo impedimento
invocato da un terzo indagato non è stato riconosciuto tale. Cinque
soltanto i presenti. Una legale delle parti offese prova a ipotizzare che
le numerose assenze tra gli indagati servano per mettersi al riparo dagli
imbarazzi di un riconoscimento in aula (visto che era impossibile farlo
sulla base delle foto vecchie e minuscole fornite dalle amministrazioni)
da parte delle vittime pestate, insultate, terrorizzate, costrette a
firmare carte false e a stare senza acqua e cibo anche per 70 ore, senza
contatti con l'esterno. Chi chiedeva di andare in bagno tornava più
malconcio di prima. Sul viso di ciascuno un marchio diverso a seconda
della provenienza. Già nel piazzale un "comitato di accoglienza" iniziava
a pestare, sputare, minacciare.

Certo, però, non sarebbe stato facile identificare qualcuno e non solo per
l'affollamento dell'aula-bunker. «Paura e "paranoie" - dice Ivan, milanese
di 27 anni - se ne stanno andando ma piano piano». «La paura risale anche
quando ti chiedono i documenti per strada», dice anche Sara, 21 anni
all'epoca dei fatti, quando fu sequestrata nel dormitorio dei
manifestanti, deportata a Bolzaneto, dopo un veloce transito al Galliera,
e infine trasferita al carcere di Vercelli. La sua e altre famiglie sono
tra le parti civili.

Fra le prime ad arrivare a Bolzaneto, Valerie, 38 anni e madre di tre
bambini. E' la ragazza francese che riuscì a violare - pacificamente - la
zona rossa. Per quello è stata già condannata ma ha fatto appello perché
crede che a essere illegale fosse il sequestro di una città intera. A
Bolzaneto fu picchiata e minacciata. E ieri le tremavano le mani. Non è
stato facile tornare a Genova, e neppure ricordare. «Ma essere qui è già
un risultato», racconta anche Guillermina Zapatero, traduttrice a Madrid,
che ricorda l'entusiasmo e le ragioni di quel "popolo di Genova" che, nel
giorno della Memoria, fatica a trovare la propria.

Checchino Antonini

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