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11.05.04

Liberazione: Bolzaneto, processo ai torturatori

da liberazione

Pronta la richiesta di rinvio a giudizio per 47 tra agenti, funzionari, ufficiali e medici che "accolsero" i fermati del G8 nel carcere temporaneo con calci, pugni, sputi, insulti e coretti fascistoidi
Bolzaneto, processo ai torturatori


Torture a Bolzaneto: la procura di Genova sta per chiedere il rinvio a giudizio per 47 tra guardie carcerarie, agenti, ufficiali dei carabinieri e medici in servizio nella caserma della celere tramutata in "centro di temporanea detenzione" per le retate di fermati del G8.
La domanda sarà presentata domani all'ufficio del gip genovese perché oggi scadono definitivamente i termini delle indagini preliminari. Secondo le anticipazioni, per chiedere il processo, i magistrati si sono richiamati all'articolo 3 della Convenzione europea per i diritti dell'uomo e che recita: «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani e degradanti» perché nelle notti del luglio 2001 la tortura venne esercitata ripetutamente, secondo i magistrati del pool coordinato da Mario Morisani, verso decine di persone trattate «con modalità non conformi ad umanità e tali da non rispettare la dignità della persona».

Pestaggi, minacce, umiliazioni fisiche e morali. E' questo che la parola Bolzaneto evoca nell'immaginario collettivo del dopo G8. Secondo alcuni "pentiti", una sorta di "comitato d'accoglienza" aveva organizzato le forche caudine di calci, pugni, sputi, insulti e coretti fascistoidi cui erano sottoposti i manifestanti fermati durante le cariche altrettanto selvagge e immotivate che si verificarono nelle piazze del 20 e 21 luglio e poi nel blitz alla Diaz, episodi al centro di altrettante inchieste della procura. Fin dai giorni seguenti alla denuncia della repressione si aggiunsero i racconti dei torturati nella caserma, costretti a stare in piedi per ore con le braccia alzate e alla mercé del personale di turno, ragazze nude di fronte ad agenti maschi, un'altra costretta a vomitarsi addosso dentro la gabbia in cui era rinchiusa mentre a un suo coetaneo venivano divaricate le dita di una mano fino a spezzargliele. Abuso d'ufficio, minacce, violenze, percosse, ingiurie, omessa
denuncia, falso ideologico, abuso di autorità: la lista dei capi d'imputazione ha un sapore sudamericano, o iracheno, visti gli sviluppi della "missione di pace". Così come è impressionante la lista degli indagati. Archiviata, probabilmente, la posizione di Alfonso Sabella, all'epoca a capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - si sarebbe trattenuto troppo poco tempo nel "lager" - in testa alla lista degli indagati figura il generale Oronzo D'Oria, già incappato in episodi del genere a S. Vittore e poi prescritti. Un ispettore, quella notte, lo informò dell'esuberanza dei suoi colleghi ma non servì a mitigare gli orrori per i fermati. Nella lista figura anche Alessandro Perugini, già passato alla "storia" per quel calcio in faccia a un minorenne di Ostia tenuto immobile da un bel po' di agenti e una serie di arresti illegali. Era lui, vice capo della digos genovese, a gestire la struttura. Con un vertiginoso elenco di capi di imputazione, una ventina, c'è anc
he Giacomo Toccafondi, uno dei quattro medici penitenziari indagati e responsabile del coordinamento sanitario. Per ora Toccafondi si nasconde dietro Castelli, inquilino leghista di via Arenula che visitò la struttura di notte senza accorgersi di nulla. Non è un caso che lo "statista" padano sia tra i più accesi sostenitori dello scandaloso emendamento alle legge che limita i casi di tortura solo in caso di minacce e violenze reiterate. Con lui c'è Fini, anche lui era a Genova nei luoghi della repressione, e ora dice di condannare chi tortura ma solo se lo fa in Iraq. Mai una sua parola, ricorda Enrica Bartesaghi del comitato Verità e Giustizia, sui misfatti del G8 denunciati anche da Amnesty international e da commissioni Onu e Ue. Nessun membro del governo ha mai condannato quei fatti, né ha mai sospeso gli indagati della Diaz o di Bolzaneto e personaggi passati alle cronache per le torture presunte ai civili somali erano a Genova e ora sono in Iraq.

Intanto ieri il pm Cardona Albini ha interrogato l'ex capo della celere romana Canterini immortalato da una foto mentre spruzzava, il 20 luglio 2001 all'incrocio tra Corso Buenos Aires e Via Casaregis, gas urticante (imitato dai suoi colleghi anche a Bolzaneto) negli occhi di un avvocato torinese, Gianluca Vitali che protestava con altri no global per i lacrimogeni sparati ad altezza d'uomo.

Checchino Antonini

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