18.07.08
la stampa "Al G8 la polizia peggio di chi lanciava molotov"*
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"Al G8 la polizia peggio di chi lanciava molotov"*
I pm: minacciata la democrazia.
Chiesti 112 anni. La requisitoria:
«Il massacro studiato per coprire
le incompetenze dei giorni prima»
PAOLO COLONNELLO
INVIATO A GENOVA
Il senso di tutto ciò che accadde nella notte del 22 luglio del 2001 nei
locali insanguinati della scuola Diaz si racchiude in una frase che il
pubblico ministero del processo Enrico Zucca pronuncia al termine della
sua requisitoria prima di presentare il conto salato degli anni di
reclusione, 112 in tutto: «I fatti che abbiamo illustrato sono così
gravi perché minacciano la democrazia più delle molotov lanciate». E i
fatti sono quelli che vennero definiti «una macelleria messicana».
Per parlare dei vertici della polizia che sette anni fa guidarono e
organizzarono «il massacro» di 93 giovani no global, lo stesso pm
ricorre a un’immagine ancora più forte, quella dei tribunali
internazionali per i crimini di guerra: «Uno dei criteri usato dalle
corti internazionali per stabilire le responsabilità dei generali è la
loro posizione sul campo di battaglia». E quella notte le telecamere di
tv e operatori privati fissarono senza ombra di dubbio le posizioni dei
«generali in campo». Alle 23,59 un filmato mostra il più alto in grado,
il dottor Francesco Gratteri, attuale capo del dipartimento anticrimine,
mentre «vestito di blu, casco e manganello in mano, distribuisce ordini
un minuto prima dell’irruzione nella scuola».
Poi riprendono Giovanni Luperi, il vice del prefetto La Barbera
all’Ucigos, attuale capo dell’ex Sisde, mentre traffica con «i reperti»
che verranno mostrati alla stampa. Poi si vede l’allora capo della Digos
Spartaco Mortola. Quindi il comandante Vincenzo Canterini e poi
Michelangelo Fournier, ed ecco Caldarozzi, il vicequestore Pietro
Troiani, il finto ferito Massimo Nocera. Ci sono tutti i funzionari che
contano nella notte «cilena» di Genova, mentre decine di giovani
venivano pestati a sangue e tre di loro venivano ridotti in fin di vita
dalla violenza bestiale degli agenti. E tutti si adoperano «per
aggiustare» le cose, nell’ambito di un’azione preordinata e studiata a
tavolino per coprire «le incompetenze» delle forze dell’ordine emerse
durante le manifestazioni dei giorni precedenti. E’ questa la storia
agghiacciante che raccontano i pubblici ministeri prima di chiedere pene
che vanno dai tre mesi ai cinque anni di reclusione, con una sola
assoluzione per i 29 imputati. Il G8 ormai era terminato, c’era stato un
morto, Carlo Giuliani, i black block avevano devastato e saccheggiato la
città senza che nessuno fosse riuscito a fermarli, cortei pacifici erano
stati attaccati trasformandosi in guerriglia. Una debacle che d’innanzi
al nuovo governo appena insediatosi (il Berlusconi secondo) andava
riscattata con un’azione clamorosa, con l’arresto di qualcuno.
Vennero scelti i giovani che si erano accampati nei saloni della scuola
Diaz: quasi tutti stranieri, sarebbero stati i «black block» ideali da
mostrare alle telecamere. E’ per questo, dice il pm, «che venne
manipolato un corpo di reato importante» come le due false bottiglie
molotov, che venne inventata una «finta sassaiola ai danni di una
fantomatica pattuglia di polizia», che vennero operati «arresti
completamente illegali». «Quella notte - chiosa il pm - vi fu la
sospensione della legge». E forse anche qualcosa di più. Ma il
magistrato conosce i limiti di un processo come questo, svolto a
distanza di sette anni dai fatti e in procinto di essere quasi
interamente prescritto e comunque indultato. E conosce i suoi imputati,
la loro immagine pubblica di funzionari pluridecorati, fondamentali per
la lotta al crimine organizzato. «Vorrei ricordare al tribunale che non
è stato facile arrivare a questo punto. Non è stato facile al pubblico
ministero indagare...». Quando alle due e mezzo del pomeriggio il pm
arriva alla conclusione della sua lunghissima requisitoria, nell’aula
bunker del palazzo di giustizia di Genova cala finalmente un silenzio
assoluto. Quell’impercettibile sospensione nelle parole dell’accusa,
vibra nell’aria fino a raggiungere i cinque ragazzi «superstiti» della
Diaz che siedono tra il pubblico stringendosi l’uno all’altro.
E adesso aspettano che l’accusa faccia il suo dovere, che tiri le
conclusioni di un processo che li ha visti soffrire. «La notte della
Diaz - riprende il pm - la legge fu sospesa e ci fu un comportamento
deviante e criminoso della polizia. C’è stata la pericolosa
dimostrazione di una violazione delle norme considerate d’impaccio per
un’azione efficente di ordine pubblico». Ma il compito dell’accusa non è
la vendetta. Così il dottor Zucca riconosce l’equivalenza delle
attenuanti (per la personalità degli imputati) con le aggravanti e tira
le sue somme. Chiede che per Gratteri e Luperi, accusati di falso
ideologico, calunnia e arresto illegale, il tribunale condanni a 4 anni
e 6 mesi di reclusione più una sospensione dalle funzioni per la durata
della pena; 4 anni e 6 mesi anche per Vincenzo Canterini, il comandante
del Settimo reparto Mobile di Roma; 3 anni e sei mesi per Michelangelo
Fournier; 4 anni per l’agente Nocera; 5 anni per Troiani, la pena più
alta, il funzionario che portò le due molotov false. Fuori dall’aula i
cinque ragazzi della Diaz si salutano, si abbracciano. Valeria, che oggi
ha 33 anni, dice che «non so valutare se le richieste siano state giuste
o sbgliate. Di quella notte non vorrei sentir parlare mai più». A
settembre toccherà alle difese.