20.07.08
il manifesto Movimento latino alla genovese
Alessandra Fava
GENOVA
Un torneo di calcio antirazzista.
Con le tre organizzazioni di strada di latino-americani del centro
sociale occupato Zapata di Sampierdarena
(Latin Kings&Queens, Netas e
Masters) in campo con ben quattro
squadre. I sampdoriani dei Rude Boys,
i genoani del quartiere di Certosa, un team
marocchino. Uno per ogni centro
sociale resistente (Zapata, Terra di nessuno,
Humpty Dumpty) e un melting
pot dell'Orchestra di piazza Caricamento
con cinesi, italiani e senegalesi. La seconda
edizione del torneo di calcio a
sei a Sestri Ponente, in collaborazione
con l'associazione Macaia e gli arbitri
della Uisp, misura la temperatura agli
spazi autogestiti genovesi insieme a
una non stop al Forte Sperone arrivata
alla settima edizione. E levatevi gli occhiali
rosa: c'è chi insieme ai corner e
ai falli dribbla un cpt sparso per la penisola,
chi scarta burocrazie, tiene famiglia
pur minorenne e cerca casa o si ritrova
faccia a faccia in campo con chi
quattro anni fa lo ha mezzo accoltellato.
Dalla lettura dell'oggi - leggi le campagne
razziste lanciate dai media locali
prima contro le bande dei latinos, poi
su Sampierdarena, gli ecuadoriani e le
loro fiestas e recentemente rom, Rumeni
e prostitute - i centri sociali genovesi
si giocano una nuova identità. La Buridda
ha aperto a qualche festa peruviana
o ecuadoriana. Il Tdn, che una chiave
di lettura globale ce l'ha sempre avuta
con Ya Basta, ha continuato lemissioni
in Chiapas e le campagne nelle scuole
perché, «programmi come "Semillita
del sol" raccontato all'istituto alberghiero
Bergese dove il 30 per cento sono
ecuadoriani fa sentire chi ci ascolta protagonisti
», dice Simone di Ya Basta. Lo
Zapata da un anno e mezzo ha coinvolto
nell'occupazione i chicos delle organizzazioni
di strada non esenti in passato
da qualche rissa. Sono nati gli appuntamenti
della domenica pomeriggio
con centinaia di ragazzi lanciati nel reggaetton
oltre a feste di strada all'aria
aperta per chiamare a raccolta il quartiere.
Il segno del successo è che mentre
altri centri sociali cercano di mettere
una toppa al tetto o riparare un muro,
allo Zapata i chicos montano un gigantesco
ventilatore a pale. «Il percorso
con i chicos è stato per noi una scommessa.
Nel pieno della campagna di criminalizzazione
delle bande da parte di
media e polizia, abbiamo deciso di aprire
loro gli spazi del centro sociale - dice
Matteo Jade - e, per quanto il cammino
non sia stato sempre facile, i risultati sono
molto positivi. Lo Zapata ha tratto
da questa contaminazione una nuova
linfa vitale. E gli stranieri non possono
che essere una risorsa per la nostra vecchia
città: scommettere sui giovani Hermanitos
e sui giovani migranti è puntare
sul futuro della città e del movimento,
ripartendo dai diritti di cittadinanza
per combattere l'ossessione securitaria
della governance delle città».
A livello locale, Municipio o Comune
che sia, il dialogo non è mai escluso. A
entrare nella politica ufficiale ci ha provato
Laura Tartarini dello Zapata eletta
nelle liste di Rifondazione alle comunali
del 2002 nella giunta Pericu-bis.
«Quella fase di attraversamento si è
conclusa - continuano Luca Oddone e
Paolo Languasco dello Zapata - Oggi
non abbiamo nulla in comune con la
cosiddetta sinistra. Oggi noi siamo quello
che facciamo, ed anche il concetto di
sinistra ci sta stretto, sembra più un
contenitore vuoto, che uno spazio politico
adeguato ai moderni movimenti,
che possono crescere e svilupparsi solo
in un contesto autonomo». Molta storia
corre dunque esterna. E infatti che
la sinistra sia diventata extraparlamentare
colpisce solo quelli della Buridda,
ex facoltà di economia occupata nel
2003, 6 mila metri quadri ormai gestiti
da Rifondazione comunista e a rischio
trasloco. «Speriamo di avere a che fare
con qualcosa a sinistra del Pd - dice Manuel
Chiarlo - Dobbiamo ricostruire situazioni
di piazza, cortei, un'opposizione
a questo governo perché c'è un'ondata
di antipolitica che colpisce soprat
conclusa - continuano Luca Oddone e
Paolo Languasco dello Zapata - Oggi
non abbiamo nulla in comune con la
cosiddetta sinistra. Oggi noi siamo quello
che facciamo, ed anche il concetto di
sinistra ci sta stretto, sembra più un
contenitore vuoto, che uno spazio politico
adeguato ai moderni movimenti,
che possono crescere e svilupparsi solo
in un contesto autonomo». Molta storia
corre dunque esterna. E infatti che
la sinistra sia diventata extraparlamentare
colpisce solo quelli della Buridda,
ex facoltà di economia occupata nel
2003, 6 mila metri quadri ormai gestiti
da Rifondazione comunista e a rischio
trasloco. «Speriamo di avere a che fare
con qualcosa a sinistra del Pd - dice Manuel
Chiarlo - Dobbiamo ricostruire situazioni
di piazza, cortei, un'opposizione
a questo governo perché c'è un'ondata
di antipolitica che colpisce soprattutto
i giovani. Insomma dobbiamo trovare
linguaggi e pratiche efficaci per
parlare a quelli che al G8 avevano otto
anni». Per il resto la politica nazionale
lascia tutti tiepidi. «Per noi non è cambiato
molto», chiosa Megu del Tdn. «Ci
muoviamo fuori dalla politica istituzionale
- aggiunge Simone di Ya Basta - i
nostri interlocutori non sono i politici
ma le persone». Ottavia, sempre del
Terra di nessuno, articola che «con la sinistra
al governo una parte di noi si è
identificata in Rifonda, altri no. Abbiamo
sperato su spazi, abitazione, precarietà,
le istanze del G8. Non è successo.
E almeno si sono chiariti i ruoli, chi aveva
pratiche di movimenti ed era più autonomo
lo sta dimostrando». All'Humpty
Dumpty, piccolo spazio autogestito
a due passi dal polo universitario di via
Balbi c'è chi pensa positivo. «Nella tristezza
i centri sociali si stanno ravvicinando
- dice un portavoce - in confronto
alla batosta post G8, siamo in piena
ripresa». Gli appuntamenti legati al Pride,
la difesa della 194, la rete laica in occasione
della visita papale e ora il 30
giugno hanno ricostruito dei tavoli comuni
in cui confrontarsi su precarietà,
squadrismo diffuso, il pacchetto sicurezza.
Anche se facile niente. Perché all'appello
mancano, tranne eccezioni,
molti tra i 15 e i 25 anni. «Qui in università
è pieno di figli di operai che studiano,
pensano di avere la soluzione a tutti
i casini e della mobilitazione non gliene
frega niente. Solo quando finiscono
gli studi si rendono conto che futuro è
precarietà, senza una casa, senza un lavoro
», raccontano all'Humpty Dumpty.
Qualche scetticismo anche in Valbisagno
al rinato Pinelli, dove l'obiettivo
è recuperare il contatto col territorio,
perché «questo è un quartiere dormitorio
- raccontano - e allora più che pensare
a cortei partiamo con la musica
per creare un'isola alternativa in una
zona dove tutto chiude alle otto,ma fagli
capire che qui non c'è solo uno spazio
dove suonarema che ci si prende in
carico anche la gestione». Insomma la
sfida è vincere l'apatia.
Intanto però movimento a Genova
vuol dire anche Assemblea permanente
antifascista, due forum sociali rimasti
dal G8 come la Rete per la globalizzazione
dei diritti erede del centro documentazione
per la pace. Il Forum del
Ponente ha scelto (in parte) di candidarsi
per l'Arcobaleno alle ultime nazionali,
ma «nella sostanza è rimasto indipendente
- spiega un portavoce - perché
formato da tante anime e non tutte
legate a qualche partito». Quello della
Valpolcevera organizza da alcuni anni
una marcia per la pace nella provincia
genovese e i pacifisti della Rete per la
globalizzazione dei diritti sono tutti i
mercoledì a piazza De Ferrari con
un'ora di silenzio. «Dalla caduta delle
torri gemelle nel 2001 siamo arrivati al
317esimo presidio - dice Norma Bertullacelli
- per noi è un modo di fare controinformazione
diffondendo un volantino
sempre diverso. Il risultato è che
qualcuno sta a sentire e magari si siede
con noi». In questi anni hanno organizzato
un happening con bambole rotte
(le vittime civili), con facsimili di bombe
a grappolo e una gabbia grande come
quella dei prigionieri di Guantanamo.
Insomma, davanti al nulla creato
dal culto dei consumi, vuoto pneumatico,
disperazione, repressione sociale,
«alcuni di noi che se ne andrebbero in
pensione continuano il sogno del meglio
possibile», conclude Ottavia.
GENOVA 2001 · Tre giorni per non dimenticare
A piazza Alimonda,
sette anni dopo
A.F
GENOVA
Il 20 luglio 2001 la morte di un
genovese di 23 anni, Carlo
Giuliani, a piazza Alimonda.
Il 21 l'assalto di decine di poliziotti
ai comandi dei vertici della polizia
di Stato alla Diaz di notte che
si concluse con 98 feriti alcuni a
rischio vita, tutti comunque agli
arresti: è per ricordare questi
eventi che oggi si va a piazza Alimonda
con un corteo che parte
da piazza De Ferrari nel primo pomeriggio
per essere là, ancora
una volta, alle 17,27 il momento
esatto in cui sette anni fa partì il
colpo da un Defender che uccise
Carlo Giuliani ragazzo, come fu
scritto sulla targa dell'insegna
stradale. E' per questo che domani
sera dal quartiere di San Fruttuoso
si sale per via Tolemaide e
piazza Alimonda sino alla scuola
in via Cesare Battisti ad Albaro.
Le due manifestazioni sono ormai
un appuntamento fisso delle
giornate a ricordo del G8 che
ogni anno rilanciano nuovi temi
di riflessioni attraverso dibattiti,
incontri emostre. Quest'anno però
c'è una variante importante: il
sindaco Marta Vincenzi riceverà
le vittime della Diaz e Bolzaneto
oggi alle 13 a Palazzo Tursi.Un recupero
dell'immagine pubblica
dopo la scelta dell'amministrazione
precedente di non costituirsi
parte civile ai processi Diaz e Bolzaneto
contro gli imputati e di
comparire tra le parti offese solo
marginalmente per la rottura di
alcuni telefoni nella scuola Pascoli
sede del Media center.
Le ferite delG8 non sono rimarginate.
C'è ancora il buco nero
della caserma di Bolzaneto dove
non si sono mai fatte marce e manifestazioni
perché in quei giorni
nessuno sapeva quel che avveniva
là dentro. La sentenza di primo
grado per Bolzaneto ha aperto
un dibattito acceso, tanto che
alcuni intendono presentare ricorso
alla Corte di Strasburgo. E
siccome tanti transitarono dalle
botte alla Diaz ai soprusi a Bolzaneto,
le vittime della scuola hanno
chiesto di entrare per qualche
ora nella palestra della Diaz. Soli,
senza giornalista.Ma nonostante
il parere favorevole del prefetto,
le pressioni del sindaco Vincenzi,
il nulla osta persino della Questura
e le pressioni dell'associazione
dei presidi, la direttrice della Diaz
s'appiglia all'autonomia scolastica:
«Continuiamo a sperare che
la situazione si sblocchi - dice il
consigliere comunale Antonio
Bruno - si tratta solo di un incontro
privato chiesto dalle vittime».
Paradossalmente il direttore scolastico
della media Pascoli, di
fronte alla Diaz, ha dato invece
l'autorizzazione per ospitare lunedì
sera la proiezione di un video
di ricostruzione dell'assalto.
Intanto proseguono in questi
giorni gli incontri. Sia quelli a
margine della mostra «Al lavoro-
Genova chiama» allestita da Progetto
comunicazione a Palazzo
Ducale che quelli organizzati dal
Comune. Stamattina al Munizioniere
di Palazzo Ducale si parla di
tortura insieme al presidente del
comitato europeo per la prevenzione
della tortura Mauro Palma
e diversi altri. Domani alle 18 al
circolo Arci conversazione con
chi il G8 non l'ha visto perché
troppo giovane. Alle 18,30 al teatro
Garage di via San Fruttuoso
Gloria Bardi presenterà il dossier
Genova G8. Martedì pomeriggio
tornando al Ducale, dibattito sul
meccanismo repressione-violenza
e la collaborazione fra le polizie
europee con i sociologi Salvatore
Palidda dell'università di Genova
e Jean-Pierre Masse di Scienze politiche di Parigi e Matthias Monroy di Gipfelsoli Infogruppe.
Martedì pomeriggio, Mario Portanova presenta a Palazzo Rosso «Inferno Bolzaneto» sulla requisitoria dei pm. E per chiudere un altro ritorno, quello dell'ex voce della Mano Negra, Manu
Chao sabato 26 luglio alla Fiera del mare, a pochi metri da dove aveva tenuto il concerto nel 2001.