11.06.06
Il Manifesto: Ma la commissione parlamentare potrebbe essere un boomerang
Ma la commissione parlamentare potrebbe essere un boomerang
Alessandro Mantovani
Del G8 di Genova sappiamo abbastanza. In altri paesi europei quel che sappiamo basterebbe per mandare a casa il capo della polizia Gianni De Gennaro e un buon numero di dirigenti, da quelli che armarono il nucleo speciale antisommossa a quelli che organizzarono la perquisizione alla Diaz e a quelli che trattavano con i Disobbedienti fino a poco prima delle cariche di via Tolemaide, che furono un agguato. Dovrebbero andare a casa i generali dei carabinieri che mandarono in piazza i parà del Tuscania e i loro ufficiali che diressero personalmente le manovre tra via Caffa e piazza Alimonda, fino all'uccisione di Carlo Giuliani da parte di un ragazzo in divisa che non aveva neanche i suoi 23 anni (ammesso che sia stato lui). Dovrebbero pagare un prezzo i magistrati allora a capo del Dap che allestirono l'avamposto carcerario di Bolzaneto e portano la macchia delle sevizie come i 45 appartenenti alle forze dell'ordine che sono imputati a Genova. Dovrebbero essere svergognati coloro che nel Sisde e nel Sismi hanno diffuso falsi allarmi: ricordate i palloncini di sangue infettato con l'Hiv da lanciare sui poliziotti e Vittorio Agnoletto, una vita per la lotta all'Aids, che rincorreva quel delirio gridando che «il virus muore a contatto con l'aria»? Altre bufale, più credibili, orientarono la repressione, anche dall'estero. E soprattutto ci fu la repressione. Inaudita, fredda e programmata. Migliaia di giovani tornarono nei loro paesi pensando che l'Italia somiglia al Cile di Pinochet.
Bisogna riconoscere la coerenza di Gigi Malabarba e di coloro che da cinque anni non mollano. Ma oggi grazie a una parte della magistratura, delle forze dell'ordine e della stampa - più quella genovese che quella nazionale, allevata a pane e Viminale - del G8 sappiamo quasi tutto e la commissione parlamentare potrebbe essere uno strumento inadeguato, se non un boomerang. Certo potrebbe fare delle domande agli ufficiali dei carabinieri o a De Gennaro. Lo stesso Francesco Gratteri, suo fedelissimo, sulla Diaz non se la caverebbe dicendo che «le perquisizioni non si fanno con i guanti», come fece davanti al comitato d'indagine aperto e chiuso dal Polo nell'estate 2001. Potrebbero dire tante cose, ma solo se volessero e anche senza inchiesta parlamentare.
Quasi nessuno dei veri responsabili del G8 si ritrova sul banco degli imputati. I processi di Genova sono decisivi, per carità, sostenuti da un pugno di pm, di avvocati e di attivisti di Supportolegale senza mezzi (anzi chi può sottoscriva: www.supportolegale.org e diffidate delle imitazioni) e al cospetto di collegi di difesa che sembrano disporre di interi apparati, chissà se pubblici o privati. Ma è più importante misurare il ruolo di De Gennaro o sapere se il vicequestore Mortola prese parte o no alla messinscena delle molotov? Bisogna chiedersi se a sparare a Carlo fu davvero Mario Placanica o è più urgente censurare le cariche con i blindati e le jeep, ordinate e guidatd da gente che ha nome, cognome, stellette e magari fa bella figura a Nassiriya come democratico addestratore di poliziotti iracheni? Occorre far valere responsabilità non penali ma operative, in un certo senso «politiche». La repressione fu programmata ben prima che Silvio Berlusconi vincesse le elezioni (maggio) e si insediasse (giugno), con quella micidiale «prova generale» che fu il 17 marzo 2001 a Napoli: il ministro dell'interno era Enzo Bianco e il capo del governo, Giuliano Amato, oggi è al Viminale. E i preparativi di Genova risalgono a fine 2000.
La passata solidissima maggioranza di centrodestra ha sperimentato su Mitrokhin e Telekom Serbia quanto sia difficile scrivere o riscrivere fatti complessi e recenti con le inchieste parlamentari. Di Ilaria Alpi meglio non parlare. La commissione sul G8 potrebbe perdersi in mille rivoli dietro ai fantasmi del G8: quello di Gianfranco Fini che comanda i carabinieri al Forte San Giuliano, per esempio, quando in realtà la sua fu solo una visita di cortesia, rilevantissima sì ma sul piano simbolico, anche perché un generale dei parà come Leonardo Leso, capo delle truppe a Genova, non prenderebbe mai ordini da Filippo Ascierto, maresciallo in aspettativa a Montecitorio. O alla leggenda del black bloc «manovrato» dai servizi segreti: in realtà era tutta gente nostra, che ci piaccia o no, tranne qualche infiltrato e qualche noto fascista. L'inchiesta parlamentare potrebbe perfino far dire al capo della polizia e ad altri: «Ce ne andremo solo quando saranno state accertate le nostre responsabilità». E invece chi vuole sapere ne sa già abbastanza. Il centrodestra si è preso la responsabilità di tenerli tutti lì e di promuoverli. Se il centrosinistra vuol fare lo stesso, si accomodi. E' sulla buona strada.