28.02.04
Il Manifesto Bolzaneto verso il processo, tocca anche a un generale
Il Manifesto
Bolzaneto verso il processo, tocca anche a un generale
Dopo la Diaz chiude l'indagine sugli abusi in caserma. Gli ufficiali
della penitenziaria accusati dai loro uomini
No global in aula Il 2 marzo prima udienza per i 26 manifestanti
accusati di devastazione e saccheggio A Genova cortei e «zona rossa»
ALESSANDRO MANTOVANI
La procura di Genova chiude l'indagine sulla caserma di Bolzaneto, nella
quale oltre duecento no global arrestati o fermati subirono abusi e vere
e proprie sevizie al G8 del luglio 2001. Partono gli avvisi conclusivi
diretti a poco meno di quaranta persone tra polizia penitenziaria,
polizia di stato e carabinieri. Tra loro il generale Oronzo Doria,
all'epoca colonnello del Nucleo centrale traduzioni della penitenziaria,
i capitani Bruno Cimmino e Ernesto Pelliccia (stesso reparto) e
l'ispettore superiore Giuseppe Agati del Gruppo operativo mobile, «teste
di cuoio» tristemente note nelle carceri. Erano tutti a Bolzaneto e non
impedirono le violenze, così sostengono i pm. Abuso di autorità su
arrestati è il reato contestato, infamante ma punito al massimo con
trenta mesi e dunque a forte rischio di prescrizione. E' una novità
degli ultimi mesi, questa del coinvolgimento degli ufficiali, nata dalle
deposizioni di una dozzina tra ispettori e agenti della penitenziaria,
quasi tutti in servizio nelle carceri liguri ma scovati solo di recente.
Hanno raccontato che gli ufficiali erano lì, vedevano e sapevano, ma chi
provò a dire qualcosa o a dissociarsi venne zittito dai superiori. Da
Doria, in particolare, che negli anni 80 si salvò da un processo per un
pestaggio di detenuti di San Vittore solo perché intervenne un'amnistia.
Nessuno dei nuovi testimoni aveva voglia di parlare, qualcuno è stato
convinto dai pm solo con la minaccia di un'incriminazione per reticenza.
E' ancora solidissimo, insomma, il muro d'omertà eretto dalle forze
dell'ordine sull'organizzazione delle giornate genovesi del 20 e 21
luglio 2001, sulle cariche in piazza, sull'omicidio di Carlo Giuliani e
sugli stessi fatti della Diaz e di Bolzaneto, sui quali la procura ha
saputo lavorare nonostante pressioni esterne e i conflitti interni.
Liscia come l'olio è filata invece l'altra inchiesta, quella sui no
global. Il 2 marzo saranno alla sbarra a Genova, nell'aula bunker di un
tribunale che si annuncia blindato, i ventisei manifestanti accusati di
devastazione e saccheggio e di altri reati, colpiti nel dicembre 2002 da
misure restrittive e in molti casi tuttora gravati dall'obbligo di
dimora o di firma in commissariato. Rischiano condanne fino a quindici
anni. E non è finita: si profilano nuovi processi per altri cinquanta no
global indicati nel rapporto conclusivo presentato dalla Digos genovese
alla procura, tra i figurerebbero i teatranti austriaci e i torinesi del
centro sociale Askatasuna che erano stati arrestati e scarcerati subito
dopo il G8. Per questo il movimento no global torna nel capoluogo ligure
con gli incontri organizzati dal Comitato verità e giustizia: oggi
arriva a Genova la carovana della pace e nel pomeriggio, davanti al
Palazzo Ducale, alcuni giovani esporranno cartelli con la descrizione
delle violenze subite da ciascuno dei 93 della scuola Diaz. Si preparano
manifestazioni per il giorno del processo. Solo cento persone, però,
potranno entrare nell'aula bunker. La questura chiuderà le strade
attorno al palazzo di giustizia fino a via XX settembre e a piazza De
Ferrari. Sarà una piccola «zona rossa» a due anni e sette mesi dal G8.
Questa settimana la procura ha sciolto anche il nodo dell'indagine
sull'assalto alla scuola Diaz, sul massacro di 93 innocenti che
dormivano o si preparavano per la notte e sulle prove manipolate dalla
polizia (bottiglie molotov, coltellata, sassaiole e «armi improprie»)
per giustificare gli arresti illegali e la violenta aggressione. La
richiesta di rinvio a giudizio riguarda ventinove funzionari, tutti
presenti nella scuola, tra i quali i capi dell'antiterrorismo Francesco
Gratteri e Gianni Luperi, dirigenti delle Digos e delle squadre mobili e
il comandante della celere romana Vincenzo Canterini, i primi accusati
di falso e calunnia e l'ultimo di concorso in lesioni per il feroce
pestaggio attribuito ai suoi uomini e ad altri, non identificati.
Dall'indagine sulla Diaz esce solo Lorenzo Murgolo, ex vicequestore di
Bologna e numero due del Sismi. Le richieste di rinvio a giudizio pesano
su uomini vicinissimi al capo della polizia Gianni De Gennaro.
L'indagine su Bolzaneto è rimasta un passo indietro, rispetto alla Diaz,
per seguire il filo delle testimonianze che ha portato agli ufficiali
della penitenziaria. A settembre gli indagati erano quarantatre, tra i
quali i medici accusati di violenze e minace, agenti e ispettori
responsabili di lesioni più o meno gravi, violenza privata e altro
(riconosciuti con le garanzie dell'incidente probatorio) e ai funzionari
di polizia che erano responsabili dell'intera struttura, come il
vicequestore Alessandro Perugini (ex Digos di Genova), accusato anche di
aver preso a calci un minorenne durante le manifestazioni (v.
«Bolzaneto, anatomia di un pestaggio», il manifesto del 21 settembre
2003). Per una decina di posizioni minori si profila la richiesta di
archiviazione. Come per Alfonso Sabella, il magistrato allora dirigente
dell'amministrazione carceraria oggi tornato a fare il pm a Firenze,
coinvolto nell'ultimo troncone dell'inchiesta. Sabella organizzò la
spedizione della penitenziaria e la difese a spada tratta davanti al
comitato d'indagine parlamentare. Ma è riuscito a convincere i suoi
colleghi genovesi di non essere stato a Bolzaneto così a lungo da poter
comprendere e intervenire.
E' ormai accertato che un «comitato d'accoglienza» picchiava gli
arrestati fin dal cortile, che nel corridoio agenti disposti su due ali
si accanivano sui malcapitati di passaggio, trattenuti per ore e ore
nelle celle con la faccia rivolta al muro. E malmenati. Le accuse
concordi di persone che non si conoscevano, rese ai giudici chiamati a
convalidare gli arresti, trovano ora conferme all'interno della
penitenziaria. E gli ufficiali sono chiamati a rispondere per non aver
fermato i loro uomini. Tra i quali si distinguevano i forsennati con le
divise scure e i guanti neri, finiti subito sui giornali. Appartenevano
senz'altro al Gom, come si dice dal luglio 2001, ma forse in misura
maggiore al Servizio centrale traduzioni. Avevano tutti la stessa divisa
(cambia solo uno stemma) e gli stessi guanti da picchiatori.