18.11.08
Diaz Repubblica 18 novembre 2008
Repubblica
G8, il monopolio della forza
VALERIO ONIDA
IL TONO prevalente dei commenti alla sentenza di Genova sui fatti della
scuola Diaz commessi in occasione del G8 del 2001 è stato di indignazione
e rabbia, o al contrario di sostanziale soddisfazione, per le mancate
condanne dei "vertici".
G8, il monopolio della forza
(SEGUE DALLA PRIMA PAGINA)
Questo secondo il consueto schema che vede contrapporsi coloro che
accusano le forze dell´ordine e coloro, soprattutto nella maggioranza di
governo, che le difendono "a prescindere".
Vale però forse la pena di fare una riflessione più a freddo. Intanto la
sentenza segue e si aggiunge a quella del 14 luglio scorso, sui fatti
accaduti nella caserma di Bolzaneto, e che ha visto la condanna di tredici
operatori della Polizia di Stato (fra cui un vice questore e un
commissario capo) e della Polizia penitenziaria (fra cui un ispettore
responsabile della sicurezza del sito), nonché del coordinatore e di un
altro medico del servizio sanitario, per i trattamenti cui erano stati
sottoposti gli arrestati. La sentenza sui fatti della Diaz ha condannato a
sua volta dieci operatori di polizia (il comandante e diversi componenti
di un nucleo) per l´uso arbitrario della violenza nei confronti dei
giovani che si trovavano nella scuola, lo stesso comandante del nucleo per
falso e calunnia, nonché due operatori (un vice questore e un assistente)
per calunnia in relazione all´episodio delle due molotov introdotte
nell´edificio.
Sul terreno degli accertamenti giudiziari bisognerà naturalmente attendere
ancora le motivazioni delle due sentenze, vedere se ci saranno appelli,
capire quali saranno gli effetti della non lontana scadenza dei termini di
prescrizione: aspettare dunque la conclusione di un iter (sin troppo)
lungo e complesso. Ma intanto sembra già possibile, dopo i due
dibattimenti e le due pronunce dei giudici, fare alcune considerazioni.
Sono stati accertati dai giudici numerosi fatti, non isolati, di uso
arbitrario della violenza fisica e morale da parte di esponenti delle
forze dell´ordine nei confronti di persone inermi o poste in stato di
arresto. La cosa è in sé di enorme rilievo. La Costituzione afferma
solennemente che "è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone
comunque sottoposte a restrizioni di libertà ", e più in generale
garantisce i diritti inviolabili della persone. La convenzione europea dei
diritti, sulla scia e in attuazione della Dichiarazione universale dei
diritti dell´uomo, stabilisce che "nessuno può essere sottoposto a tortura
né a pene o trattamenti inumani o degradanti". è un principio di civiltÃ
che sta alla base dello Stato democratico di diritto, e sul cui rispetto
devono vegliare tutte le autorità , e veglia altresì la Corte dei diritti
umani di Strasburgo, che è chiamata ad accertarne la violazione da parte
delle autorità dei paesi che hanno sottoscritto la convenzione. Lo Stato
può giustamente pretendere il "monopolio" nell´uso della forza, vietandolo
agli individui anche per farsi ragione da sé, in quanto garantisce che
l´uso "pubblico" della forza sia legittimo e sia contenuto nei limiti dei
modi e dei casi previsti, cioè quando sia necessario ad evitare la
compromissione di interessi essenziali dei singoli e della collettività .
Se i rappresentanti dello Stato fanno della forza, di cui dispongono, un
uso illegittimo e dunque "privato", viene minato alla base il "patto"
sociale. La forza dell´autorità diventa violenza privata, il diritto di
cui lo Stato è espressione diventa arbitrio. La credibilità delle
istituzioni preposte a mantenere l´ordine e la legalità è compromessa.
Quando questo accade, ci si deve domandare come mai sia accaduto, che cosa
non abbia funzionato a dovere, e quali siano le misure da prendere perché
non accada in altre occasioni. Non basta cioè dire: bene, sono stati
accertati i fatti e puniti coloro che li hanno commessi. Non si tratta di
una rissa in un bar, i cui protagonisti siano stati identificati e portati
in giudizio, dopo di che tutto finisce lì. I fatti accertati coinvolgono,
e gravemente, le istituzioni. Se rappresentanti delle forze dell´ordine
hanno infierito su persone inermi, accusandole ingiustamente di fatti di
cui li sapevano innocenti; se altri rappresentanti di queste stesse forze
hanno usato o consentito di usare violenza, hanno umiliato e insultato
persone arrestate, è in gioco oggettivamente l´onore e la stessa identità ,
per così dire, dei corpi di polizia. Non si può cavarsela con la teoria
delle "mele marce". Quando fatti di questa natura e di questa portata
avvengono per responsabilità non di un isolato agente cui siano saltati i
nervi, ma di gruppi qualificati di funzionari e agenti dei corpi di
polizia, ci si dovrà domandare come vengono formati costoro, quali
direttive e quali codici di condotta vengono loro indirizzati, quali
controlli effettivi vengono svolti, qual è la "cultura", insomma, a cui
sono informate le strutture preposte all´ordine pubblico. E ci si dovrÃ
attendere che i responsabili dei reati vengano allontanati dal corpo o
quanto meno dalle funzioni che hanno dimostrato di non sapere svolgere.
Molti hanno lamentato che (nel caso della Diaz) le condanne non siano
arrivate più in alto (ai vertici operativi locali, anch´essi imputati, ma
prosciolti): viene sempre il sospetto che in questi casi, come si dice,
volino gli stracci. E tuttavia, mentre da un lato non si può non restare
fermi a ciò che è (o sarà ) giudiziariamente provato, dall´altro lato chi
sta più in alto non può allontanare da sé la responsabilità "oggettiva"
per deviazioni così gravi dalle elementari regole di condotta che debbono
caratterizzare l´attività delle forze dell´ordine in un paese democratico,
per violazioni così aperte degli elementari doveri che gravano su tutti
coloro che operano in nome dello Stato, il dovere cioè di adempiere le
funzioni pubbliche "con disciplina ed onore", come dice la Costituzione, e
di rispettare, in primo luogo, i diritti fondamentali della persona. Se ai
giudici si chiede di accertare scrupolosamente fatti e responsabilitÃ
individuali, ai "vertici" si chiede e si deve chiedere di dare conto di
"macchie" di questa portata che colpiscono l´intera struttura.
Da un Governo democratico, poi, cioè dai responsabili politici da cui le
forze dell´ordine dipendono, ci si dovrebbe attendere, anzitutto, che
chiedano ufficialmente scusa ai cittadini, cioè a coloro che credono nella
Costituzione e su di essa fanno affidamento (il chiedere scusa da parte di
chi ha una posizione pubblica non è purtroppo usanza diffusa nel nostro
paese, diversamente che in America); e poi che provvedano ad adottare
tutte le misure necessarie per impedire altre deviazioni, modificando, ove
occorra, anche le norme esistenti. Fra queste, urge una legge che
esplicitamente preveda e punisca il delitto di tortura, anche in
attuazione degli obblighi assunti con la ratifica della Convenzione di New
York del 1984, cui l´Italia ha dato esecuzione con una legge del 1988. La
Convenzione vincola gli Stati ad adottare misure efficaci per impedire che
siano commessi atti di tortura, e a proibire anche altri atti che
costituiscono trattamenti crudeli, inumani o degradanti, allorché siano
commessi da agenti della funzione pubblica; e obbliga altresì gli Stati a
vigilare affinché l´insegnamento e l´informazione relativi
all´interdizione di tali atti siano "parte integrante della formazione del
personale civile o militare incaricato dell´applicazione delle leggi"; a
inserire il divieto nei regolamenti o nelle istruzioni promulgate in
merito agli obblighi e alle competenze di tali persone; a esercitare una
"sistematica sorveglianza" su regolamenti, istruzioni, disposizioni
relative alla custodia e al trattamento delle persone arrestate o
detenute; a vigilare affinché le autorità competenti procedano
immediatamente ad inchieste imparziali quando vi siano motivi ragionevoli
di ritenere che atti di tale natura siano stati commessi; a garantire il
diritto di denuncia e a proteggere i denuncianti e i testimoni contro
intimidazioni (artt. 2, 10, 11, 12, 13, 16 della Convenzione). Obblighi
costituzionali e obblighi internazionali, anche in questo caso,
confluiscono, si integrano e si rafforzano reciprocamente.
(L´autore è presidente emerito della Corte Costituzionale)
"No alla commissione sul G8" alt del centrodestra al Pd, è scontro
Il dibattito dopo la lettera a "Repubblica" del capo della polizia
Manganelli
Cossiga propone l´organismo di inchiesta. La sinistra: è troppo tardi
ALBERTO CUSTODERO
ROMA - «Manteniamo fermo il nostro "no" all´istituzione di una Commissione
parlamentare d´inchiesta sui fatti del G8 di Genova». Il presidente dei
deputati Pdl Fabrizio Cicchitto chiude la porta al dialogo con il leader
del Pd Walter Veltroni, che ieri su Repubblica ha proposto di «accertare
la verità in Parlamento» dopo la sentenza di primo grado di Genova sui
pestaggi alla Diaz. E, soprattutto, dopo l´annuncio che il capo della
Polizia Antonio Manganelli «è pronto a muoversi nelle sedi istituzionali»
per raccontare come si sono svolti quei drammatici fatti. La maggioranza
respinge la proposta di Veltroni anche per voce del vicepresidente dei
senatori Gaetano Quagliariello, secondo il quale «bisogna evitare di
attivare la sede parlamentare come una sorta di contropotere all´indomani
di sentenze non gradite e non passate in giudicato».
Non prende posizione, al momento, il ministro dell´Interno, Roberto
Maroni: «Ho scelto di non parlare e continuo a non farlo», afferma il
responsabile del Viminale, che si limita a dire che aspetta di leggere le
motivazioni della recente sentenza che ha mandato assolti i dirigenti
della polizia che comandarono e diressero l´irruzione nella scuola Diaz.
Il Pd, però, non ci sta, fa quadrato con Veltroni. Ed è scontro. Ad
attaccare è il vicepresidente dei deputati del Pd, Gianclaudio Bressa,
che, pur senza citarlo, chiama in causa l´ex ministro dell´Interno ai
tempi del G8, Claudio Scajola, ora ministro dello Sviluppo Economico.
«Questa preclusione pregiudiziale del Pdl - tuona Bressa - sembra un
mettere le mani avanti per il timore che vengano fuori cose compromettenti
su esponenti dell´attuale maggioranza di Governo».
Sulla proposta di Veltroni si registra la presa di posizione del senatore
a vita Francesco Cossiga secondo cui, «dopo le parole del dottor
Manganelli, che ha ammesso l´esistenza di fatti ancora ignoti, o peggio
tenuti nascosti, l´istituzione di questa Commissione non solo è opportuna,
ma è anche assolutamente necessaria». Cossiga va oltre e, dopo aver
sottolineato l´urgenza di «fare chiarezza sull´ex capo della Polizia
Gianni De Gennaro, che fu responsabile della gestione operativa di quelle
giornate», propone addirittura una rosa di nomi di possibili candidati
alla presidenza, fra i quali i senatori a vita Carlo Azeglio Ciampi e
Oscar Luigi Scalfaro. Cossiga ha escluso la propria candidatura (e anche
quella di Giulio Andreotti), «avendo fatto parte di governi che una parte
dell´opinione pubblica ritiene responsabili di attività oscure o
antidemocratiche nella gestione della sicurezza negli anni ?60, ?70 e
?80». Quest´ultima dichiarazione è stata lo spunto per Vittorio Agnoletto,
portavoce del Genoa Social Forum ai tempi del G8, per passare al
contrattacco.
«La Commissione d´inchiesta va fatta - dice Agnoletto - ma sulla morte di
Giorgiana Masi (la diciannovenne uccisa in una manifestazione di piazza
nel ?77 da killer rimasti sconosciuti, ndr), e sulla gestione dell´ordine
pubblico nel periodo nel quale Cossiga era ministro dell´Interno».
«Proporre ora una Commissione d´inchiesta sui fatti di Genova - ha
aggiunto Agnoletto - è semplicemente un atto provocatorio con la
consapevolezza della cattiva fede». Attualmente sono due le proposte di
legge per l´istituzione di una Commissione sul G8: una, a Palazzo Madama,
porta la firma del senatore del Pd Roberto Della Seta, l´altra, alla
Camera, è dei radicali eletti nel Pd, primo firmatario Maurizio Turco.
"Sono sereno penso solo a difendermi"
Parlò di "macelleria messicana", è stato condannato a due anni
ROMA - «Non sono un investigatore, ma un imputato. E in quanto tale, devo
pensare a difendere me stesso e non a formulare ulteriori impianti
accusatori». Così risponde il dirigente del Reparto Mobile di Roma,
Michelangelo Fournier, a chi gli chiede chi siano - per lui - i veri
responsabili delle violenze alla scuola Diaz durante il G8 di Genova.
Fournier, condannato a due anni, è il primo funzionario della polizia che
al processo descrisse quel che vide quando entrò alla Diaz con
un´espressione da quel momento assurta a simbolo della violenta irruzione
(«sembrava una macelleria messicana»). Giustificò di non aver parlato fino
al momento del dibattimento «per spirito di appartenenza «.
«Sette anni e mezzo - spiega Fournier - sono trascorsi con serenità .
Ritengo che la stessa serenità caratterizzerà anche questo ulteriore
sviluppo del processo, non escludendo anche la Cassazione. Bisogna essere
tranquilli, sereni, così come - parlo a titolo personale - lo sono anche
in servizio».
«Con l´impugnazione in appello e la rinuncia alla prescrizione - aggiunge
il dirigente - il nostro intento è unicamente quello di ricercare
quell´assoluzione che non siamo riusciti ad ottenere in primo grado. Non
cui sono ulteriori verità da raccontare. C´è solo da consolidare quanto
era già stato sviluppato dai nostri difensori».
(a. cus.)