Intervento della Senatrice Tana de Zulueta all'incontro dell'undici settembre a Genova

Il tema che affrontate oggi è di vitale rilevanza per l'evoluzione delle
democrazie e per l'affermazione dei diritti umani e della persona, proprio
nel momento in cui si assiste ad una sorta di revisione delle filosofie del
diritto, nazionale e internazionale, attraverso un cambiamento delle
regole, alle volte esplicitamente, ma più spesso con modalità striscianti,
che stanno progressivamente assumendo connotazioni di involuzione molto
allarmanti.

Il pensiero va immediatamente all'11 settembre, utilizzato, in Occidente, a
motivo scatenante per l'imposizione di politiche di guerra, di contrasto e
di repressione dei fenomeni terroristici, affermando, attorno ad esse, le
necessità di sicurezza globale.

Questa nuova realtà ha portato alla luce tutta la fragilità del diritto
internazionale che, seppure saldo nei suoi principi fondanti scritti sugli
orrori del secolo scorso, viene minato alle sue basi proprio da coloro che
ne dovrebbero essere i garanti e che, invece, lo disattendono o lo
dichiarano addirittura superato.

Se riuscite a reperirlo - lo trovate facilmente in internet - vi consiglio
la lettura di un fondo di Claudio Magris, pubblicato sul Corriere della
Sera dell'8 settembre scorso, dal titolo "Maestri e allievi a scuola di
tortura. L'Occidente liberale perde se rinnega se stesso affidandosi
all'orrore". Magris ci racconta del lavoro di intelligence, della tortura
assurta a metodo di interrogatorio "… in modo da ottenere sempre una
risposta", dai Lager nazisti ai Gulag staliniani, dall'Algeria di
Pontecorvo quella del film "La battaglia di Algeri" - alle più atroci
dittature latino americane di Argentina, Cile, Panama, ecc., dal Vietnam
all'Indocina e, perché no, all'Iraq di oggi, quando si scopre che il
Pentagono utilizza proprio il film di Pontecorvo come materiale di studio
per affrontare la guerriglia irachena. Magris ci avverte su
una "tranquilla abitudine" di ignavia, di non voler vedere, di
giustificare tutto, dove tutto è possibile e permesso e dove tutto può
diventare orribile.

Come immagino saprete, sono presentatrice di un disegno di legge che
introduce nel nostro ordinamento penale il reato di tortura. Prima ancora
di un'iniziativa legislativa si tratta, in realtà, di un atto dovuto, di un
adeguamento della normativa interna a quella sopranazionale per colmare le
lacune del diritto interno (gli atti di tortura che non provocano lesioni
gravi sono oggi punibili solo a querela di parte e rischiano quindi
l'impunità, così come le sottili torture psicologiche non rientranti nel
novero delle lesioni personali) e costituire norma di chiusura
dell'ordinamento a garanzia dei diritti umani di tutti cittadini.

Insieme ai numerosi colleghi parlamentari che hanno voluto sottoscriverlo
lo presentammo, e non a caso, nell'agosto del 2001, ovvero, subito dopo i
fatti accaduti durante il G8 di Genova e prima dell'11 settembre, quando
non erano ancora prevedibili quelle lacerazioni al diritto internazionale
prodotte dalla teorizzata e praticata unilateralmente guerra preventiva
all'Afghanistan e all'Iraq e dalla disattesa applicazione, in particolare,
ai combattenti, ma non solo, delle principali Convenzioni internazionali
in materia di conflitti (Convenzione di Ginevra) e di giurisprudenza
internazionale (a Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti
crudeli, inumani o degradanti).

Prima di entrare nello specifico nazionale, ovvero, nel tema del vostro
convegno, vorrei solo e brevemente fare un richiamo al terribile salto di
qualità e all'incertezza giurisprudenziale delle modalità di arresto,
detenzione, interrogatorio e di eventuale processo che, pressoché in
assenza di qualsiasi controllo o contrappeso democratico, vengono praticati
a Guantanamo Bay e negli altri carceri speciali allestiti dalle autorità
militari americane al di fuori di regole sia interne che internazionali.

Ricordate le prime immagini di Guantanamo dei detenuti ingabbiati
all'aperto in stie, incaprettati, bendati su occhi, bocca e orecchie?

La deprivazione sensoriale è tortura.
La privazione del sonno è un trattamento inumano e degradante.
E' tortura l'uso di farmaci o di sostanze psicotrope negli interrogatori
(circostanza, quest'ultima, peraltro pure ammessa per la prima volta dagli
Stati Uniti).
Sono trattamenti inumani la nudità e altre imposizioni degradanti.
Sono torture e trattamenti inumani e degradanti le botte, le
vessazioni anche verbali , il semplice trattenimento per ore in piedi e a
braccia alzate.

Questa situazione, questa nuova realtà, questa deriva autoritaria, va
contrastata con tutti i mezzi democratici, politici, culturali e sociali
possibili.
"Distratti dalla Libertà" è il titolo della denuncia scritta efficacemente
da Lorenzo Guadagnucci perché - prendo a prestito le sue parole - "non
possiamo lasciar perdere, né farci sopraffare da chi promuove
l'indifferenza e la rassegnazione.".

Occorre ritrovare la capacità di indignazione, perché fatti come quelli di
Genova, Napoli, Cosenza, Milano non abbiano a ripetersi.

C'è un regime di impunità che pesta in una sorta di zona grigia. La mancata
censura e punizione degli illeciti sembra iscriversi in una normalità di
indifferenza istituzionale; non riguarda mai gli agenti di polizia e delle
forze dell'ordine, né i funzionari e né i dirigenti con responsabilità di
comando e orientamento. Una super protezione odiosa che ha trovato
copertura politica nell'attuale governo e che, drammaticamente, accresce
la lontananza tra istituzioni e società civile.
Eppure avvisaglie importanti c'erano state e tutto ciò poteva essere
evitato. Sarebbe stato sufficiente prendere in considerazione i rilievi
fatti dal CPT (Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle
pene o trattamenti inumani e degradanti) che, nel suo rapporto sull'Italia,
aveva denunciato su tali comportamenti, rischi e derive.

C'è una battaglia politica, e soprattutto culturale, da fare in Italia
perché la promozione e protezione dei diritti umani divenga patrimonio
accettato e condiviso nella società e nelle sue articolazioni istituzionali
e amministrative. Non possiamo e non dobbiamo essere "distratti". Nulla
deve passare inosservato e in silenzio. Dobbiamo incalzare i nostri
rappresentanti politici a farsi carico della promozione e protezione dei
diritti umani e pretendere, da chi ha l'incarico di governo, risposte
chiare e comportamenti conseguenti.

Occorre che il nostro paese adegui il proprio ordinamento giuridico e
amministrativo recependo e adottando tutte le indicazioni maturate in
materia in ambito comunitario e internazionale a partire, per fare un
esempio, dal recepimento della risoluzione n. 48/134 del 1993
dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite che invita gli Stati membri a
dotarsi di istituzioni nazionale indipendenti per la promozione e
protezione dei diritti umani. Ovvero, occorre realizzare degli efficaci
contrappesi democratici in grado di proteggere i diritti dei più
vulnerabili e svantaggiati e dare voce uguale a tutti i membri della società.

Concludo il mio contributo con una frase a me cara del Segretario generale
delle Nazioni Unite Kofi Annan "… costruire forti istituzioni nazionali per
i diritti umani è ciò che a lungo termine assicurerà che i diritti umani
siano protetti e promossi in maniera forte e duratura". Sono d'accordo con
lui e credo che questa sia l'unica vera strada che possa condurci alla
costruzione di un mondo migliore.


Tana de Zulueta

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