Ordinanza Archiviazione Placanica
TRIBUNALE DI GENOVA
SEZIONE DEI GIUDICI PER LE INDAGINI PRELIMINARI
ORDINANZA EX ART. 409 C.P.P.
Il Giudice dr.ssa Elena Daloiso, letta la richiesta di archiviazione depositata dal Pubblico Ministero nel procedimento in intestazione nei confronti di
PLACANICA A Mario nato a Catanzaro il 13.8.1980
CAVATAIO Filippo nato a Carini (PA) il 3.9.1977
indagati del delitto di cui all'art. 575 c.p. commesso in Genova il 20 luglio 2001 in danno di Giuliani Carlo.
letto l'atto di opposizione alla richiesta di archiviazione depositato dai difensori delle persone offese Giu1iani Giuliano, Gaggio Adelaide e Giuliani Elena
a seguito dell'udienza in Camera di consiglio in data 17 aprile 2003, sciogliendo la riserva
OSSERVA
In data 20 luglio 2001, nel corso dei disordini che hanno funestato la
città di Genova durante il Vertice G8, si verificava la tragica morte
di uno dei manifestanti, identificato per Carlo Giuliani, colpito al viso
da un colpo di arma da fuoco esploso dalla pistola del carabiniere Mario
PLACANICA che si trovava, insieme ai colleghi Raffone e CAVATAIO, a bordo
di un "defender" che, rimasto bloccato in piazza
Alimonda, era stato assaltato da numerosi manifestanti.
Al fine di valutare la portata degli accadimenti e di esaminare la condotta delle persone coinvolte nell'evento, nonché la necessità di ulteriori indagini e le eventuali
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responsabilità degli indagati, deve essere ricostruito con la maggior precisione possibile quanto avvenuto il pomeriggio del 20 Luglio 2001 con particolare riferimento al contesto in cui si è verificata la morte di Carlo Giuliani.
La ricostruzione del fatto
A tal fine appare di notevole interesse la descrizione, acquisita agli atti, diffusa da un anonimo partecipante ai disordini su un sito internet (www.anarchy99.net), che fornisce un dettagliato racconto certamente aderente alla realtà per i particolari descritti che trovano riscontro nel materiale video fotografico e nelle testimonianze in atti e può dunque costituire la base per ricostruire con precisione gli eventi, sia con riferimento ai movimenti dei manifestanti nel luogo in cui ha trovato la morte Carlo Giuliani, che alla loro consistenza numerica ed alla condotta tenuta dagli stessi manifestanti e dalle Forze dell'Ordine nei momenti che hanno preceduto la morte del giovane.
Si riportano di seguito le parti del racconto che fanno riferimento ai disordini verificatisi in via Tolemaide e piazza Alimonda e a quanto dall'anonimo autore personalmente osservato nelle circostanze in cui si è verificata la morte di Carlo Giuliani:
"... Non credo che siamo stati in tanti di questo corteo ad andare fino al cuore della zona di scontro dove corso Gastaldi si restringe e diventa via Tolemaide..C'erano migliaia di persone in questa zona vicino agli scontri che si riparavano, si areavano dopo aver aver ricevuto dei gas lacrimogeni. Ho continuato a scendere verso via Tolemaide, c 'era tanta gente e le prime tracce di scontri iniziavano a farsi vive... C'era veramente tanta gente che portava equipaggiamento o elementi di equipaggiamento alla moda delle Tute Bianche. Ce n'erano centinaia e centinaia senza equipaggimenti particolari a parte diverse maschere per proteggersi dal gas Ho continuato a scendere c'era sempre tanta gente c'erano centinaia di persone nelle prime file dei tumultuanti. Poco dopo ho raggiunto le prime file, un grosso contrattacco dei manifestanti ha iniziato a scatenarsi centinaia di persone hanno iniziato ad avanzare contro gli sbirri. I lanci di proiettili sulle fila della polizia si sono intensificati a poco a poco: e' iniziata adesso una vera pioggia di pietre. Ce n'erano sempre di più che gli cadevano addosso. Ne prendevano tante sul muso e vedevano tutti che dietro le centinaia di persone che le attaccavano
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c' erano 1000/2000 più su nel corso che iniziavano a seguire
sempre più numerosi e rapidamente le prime file di tumultuanti diritti
su di loro. Le persone urlavano avanti! avanti!
Allora le file degli sbirri hanno cominciato a sfasciarsi
le persone
hanno tutte caricato urlando e lanciando tutto quello che potevano... Le
persone si precipitavano sui proiettili che erano sparsi a terra. Ad ogni
20 metri tutto quello che ero stato lanciato sugli sbirri era raccolto e
riutilizzato immediatamente. Il lancio di pietre ha preso forma di avvicendarsi
intensamente e rapidamente.
Leggerrnente indietro, decine dl persone correndo si portavano dietro contenitori
della
spazzatura, cassonetti, grate ecc.. e spostavano così le barricate
contamporaneamente
alla carica che avanzava a piccoli scatti che si succedevano rapidamente.
L'atmosfera
era furiosa. Il livello di violenza era veramente elevato.
Quello che è rimasto del dispositivo poliziesco ha iniziato o lanciare
granate furiosamente. Questo ci ha rallentato. I veicoli sono riusciti a
sbloccarsi. Gli sbirri hanno iniziato a ricomporre le loro file. Li avevano
farti indietreggiare di 200 metri credo. Hanno dovuto impiegare molto tempo
per recuperare questi 200 metri che gli abbiamo fatto perdere in 10 minuti.
Le persone hanno iniziato a radunare gli oggetti per un nuovo attacco (riportare,
fare riserve di proiettili, di oggetti, di barricate mobili da radunarsi
dietro alle prime file). Gli sbirri si erano appena presa una bella sberla
ed erano instabili sulla difesa. E' per questo motivo che hanno dovuto mandare
30 o 40 sbirri nella stradina laterale sulla sinistra delle prime file dei
manifestanti. Dovevano pensare che le prime file avrebbero avuto paura di
una carica sul fianco che li avrebbe separati dal restante gruppo dei manifestanti
(carica che sarebbe subito stata raggiunta da un'altra di fronte) e che
avrebbero indietreggiato leggermente in modo da diminuire la pressione sul
dispositivo poliziesco di via Tolemaide o forse che cercassero di dissuaderci
di allargarci nella stradina sulla sinistra e di espandere cosi' il perimetro
dei combattimenti.
Non so perche' abbiano fatto questo, in ogni caso non è stata una
buona idea perchè c'era tanta gente innervosita che arrivava per
spingere le prime file e conquistare lo spazio guadagnato durante la carica
dei manifestanti e alcune decine di sbirri sono stati presto caricati da
almeno 60/70 persone.
Gli sbirri sono indietreggiati verso una stradina perpendicolare. Abbiamo
continuato a caricarli, più indietreggiavano e più caricavamo.
Li abbiamo seguiti nella stradina perpendicolare. Uscendo dalla stradina
ci siamo ritrovati in una piazzetta con una chiesa. Gli sbirri hanno continuato
ad indietreggiare sotto i proiettili. Diversi manifestanti tenevano delle
sbarre di ferro o manici di zappa. Eravamo più numerosi di loro e
fuggivano il contatto. Gli sbirri sono andati a ricostruire le loro file
all'ingresso di una strada che dava su una piazza. Ripiegando hanno lasciato
a 20 o 30 metri dietri di loro due piccole macchine 4x4 dei carabinieri.
E' stato tutto violento, rapido e confuso e quindi sarò prudente.
Le due macchine hanno cercato di indietreggiare per un motivo che ignoro,
per lo meno la seconda non ce l'ha fatta. Il veicolo si è trovato
tagliato fuori dal resto del dispositivo poliziesco e a contatto dei manifestanti
che hanno iniziato a lapidarlo e a picchiarlo con le sbarre e con i manici.
Il finestrino di dietro si è rotto, non ho visto
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come pero' non c'era piu'. Ero a circa 10 metri dal veicolo un po'
a strapiombo in confronto a lui ( che era alla mia sinstra) perche' ero
sulla scalinata della chiesa. E in quel momento ho sentito la prima detonazione,
abbastanza forte, secca e vicina. Istintivamente mi sono piegato e ho pensato
che fosse uno sparo di arma da fuoco. Guardai di fronte a me il dispositivo
poliziesco che si trovava all' inizio della stradina per vedere che cosa
fosse successo, se erano loro che sparavano. O se caricassero.
C'era una nuvola di gas, erano a 30 metri circa, non vedevo granche'. Credo
che ci sia stata un'altra detonazione. Ho girato su me stesso, sempre piegato,
ho sceso 2 o 3 scalini verso il retro, ho fatto alcuni passi e mi sono accovacciato
dietro non so piu' che cosa fosse per ripararmi. Mi sono alzato un po'.
Dritto davanti a me, sempre circa a10 metri a mio giudizio, c'era il retro
del 4X4 dei carabinieri con il suo finestrino sfondato. Ho percepito dei
movimenti dentro. Mi sono abbassato. Ma quasi subito mi sono sollevato e
credo ( ma e' un po' confuso, non posso essere categorico) di aver visto
dal finestrino rotto, abbastanza distintamente due sbirri con il casco,
piegati o accovacciati stretti l'uno all'altro. Ho visto la "macchia
chiara" di una mano all'altezza del torso con il prolungamento di questa
mano una massa nera e luccicante. Ho immediatamente che non potesse trattarsi
che di un'arma a mano e che era da quest'arma che provenivano le detonazioni.
Ho pensato che avesse tirato in aria per sprigionarsi.
Gli sbirri (perche' mi sembrava che fossero due) sembravano agitati e guardavano
girandosi leggermente su loro stessi dal finestrino rotto se dei manifestanti
si avvicinassero. Non vedevo che cosa succedeva a terra. Dopo ho guardato
dietro di me che cosa succedeva, se i manifestanti avanzavano o indietreggiavano.
Quando ho guardato di nuovo davanti a me, la macchina dei carabinieri era
andata via. Mi sono rialzato. Ho avanzato. C'era un po' di gente davanti
a me. Ho avuto la sensazione che il rumore si fosse attenuato in modo considerevole
durante alcuni secondi. Dopo ci sono stati alcuni urli. Mi sono detto che
c'era un problema, che qualcosa di grave era successo.
Ho visto qualche persona correre e fermarsi a 6/7 metri sulla sinistra.
Mi sono avvicinato. C'erano 4/5 persone in cerchio, ho girato attorno a
loro. Ho visto qualcuno in terra. Un lacrimogeno ha rotolato vicino al nostro
gruppo. Ho tirato dentro per rinviarlo agli sbirri che non si muovevano
e che erano sempre a circa 30 metri. I suoi piedi erano vicini ai miei.
Ricordo la sua maglietta bianca e il suo cappuccio appiccicoso e luccicante
di sangue. Ho visto una pozza di sangue che si allargava vicino alla sua
testa. Ho notato che pisciava sangue dall'orbita sinistra. Ho capito che
e' stata una pallottola a fare questo e che gli spari non erano stati sparati
in alto. Ho fatto alcuni passi indietro tenendomi la testa. Quando mi sono
girato ho visto 2/3 giornalisti con telecamere e macchine fotografiche che
riprendevano il tizio a terra.
Gli sbirri hanno iniziato ad avvicinarsi lentamente. Un gruppo di 6/7 sbirri
si e' staccato dalle loro fila e dietro a 3 o 4 scudi sono venuti avanti
su di noi abbastanza lentamente e tranquillamente a quanto mi e' sembrato.
Due ragazzi hanno iniziato a sollevare il tizio da terra. Mi sono avvicinato
per aiutarli, ma un altro manifestante e' venuto dicendo che il tizio era
ferito grave e di non toccarlo. Allora i due ragazzi lo hanno ripoggiato.
Nessuno pensava che fosse infatti gia' morto. Il gruppetto dei 6/7 sbirri
si era ancora avvicinato. Erano a 10 metri forse. Abbiamo indietreggiato
e la
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fila di sbirri che seguiva il gruppetto di testa a distanza si e' messo
a caricare, allora siamo scappati di corsa. Non sapevamo che cosa fare perche'
pensavamo che il tizio aterra fosse gravemente ferito ma non morto. Non
abbiamo verificato se il cuore o il suo polso battevano ancora. Se avessimo
capito che era gia' morto ovviamente non avremmo mai lasciato il suo corpo
tra le mani degli sbirri e lo avremmo trasportato fino a via Tolemaide dove
avremmo acciuffato un'ambulanza ( non oso immaginare l'effetto che questo
avrebbe fatto sui centinaia e centinaia di persone che si trovavano la').
Tant'e' che gli sbirri hanno caricato e la piazza si e' svuotata, gli ultimi
manifestanti hanno raggiunto la parte grossa del gruppo a cui hanno riferito
che un tizio si era preso una pallottola e che forse era morto. Le persone
hanno lanciato urla di collera. Gli sbirri dopo aver vuotato la piazza si
sono presentati nella stradina da dove le persone stavano iniziando ad andarsene
verso via Tolemaide. Quando li hanno visti arrivare la gente gli e' andata
incontro urlando "assassini" e hanno fatto rifluire gli sbirri
nella piazzetta.
Di fronte a me c'era una strada dove la gente caricava cerso la piazza e
alla mia destra la strada che sbuava su via Tolemaide. Ho visto in fondo
a questa via un piccolo veicolo blindato che risaliva di corsa via Tolemaide
sfondando tutti gli ostacoli. Spero che nessuno si trovasse sulla sua strada
perche' il blindato si avventava dritto a tutta velocita'.
Ho incontrato un giornalista che aveva assistito alla morte del manifestante,
parlava francese e mi ha detto a me e ad un altro francese che si trovava
la' che non c'era da illudersi, il tizio era morto. Ha detto che bisognava
mandare le immagini. Ho raggiunti via Tolemaide da una stradina piu' su
dalla zona dove ho avvistato il blindato. La notizia comincio' a spandersi
tra le prime file dei tumultuanti e le persone hanno attaccato gli sbirri
furiosamente.
Io ho iniziato a risalire lentamente, in senso contrario. La notizia funesta
risaliva il corteo anche lei
.
Dopo ho accelerato e gridato durante un lasso di tempo continuando a camminare
veloce, in diverse lingue che c'era un morto con una pallottola in testa.
Ho informato la S.O. della LCR della notizia. Dopo ho continuato ancora
per un po' a risalire la manifestazione annunciando la notizia. La testa
del corteo era schifata dalla notizia e quindi lasciava i luoghi. Fine del
racconto
.
Un anarchico da qualche parte in Francia - fine. luglio 2001
Quanto descritto dall'anonimo partecipante ai disordini trova piena rispondenza
nel contenuto delle comunicazioni di notizie di reato e nei risultati delle
indagini immediatamente avviate che danno atto che verso le ore 17,00 un
gruppo di dimostranti si era attestato in via Caffa all'incrocio con la
via Tolemaide innalzando barricate con cassonetti per la spazzatura, carrelli
di supermercati e quant'altro era riuscito a reperire sul posto. Da tale
barricata il gruppo aveva iniziato un fitto lancio di pietre e corpi contundenti
all'indirizzo di un contingente dei Carabinieri che, inizialmente
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posizionato in piazza Alimonda all'angolo con via Caffa, aveva iniziato
ad avanzare allo scopo di fermare i manifestanti il cui gruppo era nel frattempo
numericamente aumentato per l'arrivo di altri manifestanti giunti da via
Tolemaide.
Erano pertanto giunti in ausilio al contingente appiedato due "defender"
dei Carabinieri, uno dei quali guidato dal Carabiniere CAVATAIO, sul quale
prendevano posto i Carabinieri Raffone e PLACANICA.
All' improvviaso i manifestanti avevano posto in essere una violentissima
carica che aveva costretto il contingente dei Carabinieri a ripiegare percorrendo
a ritroso via Caffa per guadagnare una posizione relativamente sicura; le
due jeep avevano iniziato di conseguenza una manovra di retromarcia fino
a raggiungere la piazza Alimonda dove, mentre una riusciva ad invertire
la marcia in direzione di piazza Tommaseo, quella condotta dal Carabiniere
CAVATAIO nell'effettuare la manovra di svolta andava a sbattere con il frontale
del veicolo contro un cassonetto della spazzatura senza riuscire ad effettuare
una subitanea manovra di retromarcia.
Nel volgere di pochi attimi il veicolo era stato circondato da un gran numero
di manifestanti che lo accerchiavano prendendolo d'assalto e colpendolo
con mezzi di ogni genere ( tubi, pali della segnaletica stradale, assi di
legno ecc.), mentre da parte dei manifestanti che si trovavano sia nei pressi
della camionetta che in zone piu' distanti continuava una fitta sassaiola.
I numerosi filmati scattati sul luogo mostrano la violenza dell'attacco
portato al contingente die Carabinieri ed in particolare nel filmato realizzato
da "Luna Rossa Cinematografica" si nota il violentissimo assalto
al "defender" rimasto bloccato all'angolo di piazza Alimonda,
contro cui i manifestanti si accanivano, sfondandone i vetri con pietre,
spranghe e bastoni.
Le immagini estrapolate dai filmati e le fotografie scattate nell'imminenza
del fatto e raccolte nell'album della Squadra Mobile contenente 34 fotografie
danno una precisa sequenza dei fatti mostrando il reparto appiedato dei
Carabinieri schierato nel tratto di via Caffa che congiunge piazza Alimonda
a via Tolemaide, mentre fronteggia numerosi manifestanti che, armati di
spranghe e bastoni, lanciano sassi da una barricata
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Eretta all' incrocio con la via Tolemaide dietro la quale si nota, nella
foto nr.1. anche Carlo Giuliani nell'atto di lanciare una pietra contro
i Carabinieri.
Le fotografie da 3 a 7 mostrano i manifestanti che avanzano verso il contingente
dei Carabinieri seguito dalle jeep, armati di spranghe e bastoni, nonche'
di numerose pietre che lanciano all'indirizzo dei Carabinieri come evidente
nella fotografia nr.4.
Le successive immagini mostrano la ritirata del contingente dei Carabinieri
preceduto dalle jeep che viaggiano in retromarcia, "inseguito"
da moltissimi manifestanti ( fra i quali si distingue nelle foto nr.10 Massimiliano
Monai che corre imbracciando una trave), essendosi aggiunto a quelli che
gia' si trovavano in via Caffa un gran numero di altri manifestanti provenienti
da via Tolemaide.
Il contingente appiedato riusciva ad attraversare di corsa la piazza ritirandosi
in direzione di piazza Tommaseo sempre inseguito dai manifestanti e le jeep
iniziavano una rapida manovra di inversione della marcia, venendo pero'
raggiunte dai manifestanti che tentavano di assalirle entrambe, come evidente
nelle fotografie nr.13 e 14. Uno dei mezzi riusciva a completare la manovra
abbandonando la piazza, mentre l'altro nell'effettuare la manovra andava
a sbattere con la parte anteriore contro un cassonetto dei rifiuti rimanendovi
incastrato anche perche', come si vedra', il motore si spegneva piu' volte.
Mentre alcuni manifestanti continuavano a lanciare sassi anche contro il
contingente appiedato ormai lontano e contro il "defender" che
si stava allontanando, la jeep condotta dal Carabiniere CAVATAIO, sulla
quale prendevano posto i Carabinieri Raffone e PLACANICA, veniva immediatamente
accerchiata dai manifestanti che si accanivano sul mezzo sfondandone i vetri
e colpendo l'equipaggio con sassi, tubi di ferro ed assi che piu' volte
introducevano attraverso i finestrini.
L'accanimento dei manifestanti contro il mezzo, quale risulta dal materiale
video fotografico in atti, e' impressionante; vengono lanciate al suo indirizzo
pietre, alcune delle quali come si vedra' colpiscono i Carabineri al volto
ed alla testa, e si nota distintamente Massimiliano Monai, ancora armato
della lunga trave di legno, mentre la infila nel finestrino laterale destro
cagionando in tal modo al Carabiniere Dario Raffone,
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fra le altre "contusioni escoriate in sede scapolare destra"
che evidenzieranno, alla consulenza medico legale disposta dal P.M., caratteristiche
di compatibilita' con un colpo inferto proprio con tale mezzo ( foto da
16 a 22 ).
Nella foto nr.18 si nota che dal vetro posteriore totalmente infranto sporge
il piede di uno dei Carabinieri che si trovano a bordo nell'atto di respingere
un estintore che viene lanciato verso l'interno del mezzo e che potrebbe
essere l'oggetto che ha determinato la "forte contusione alla gamba
destra con edema diffuso a tutta la gamba" riportata dal Carabiniere
PLACANICA il quale, nel corso del suo interrogatorio, riferiva infatti di
essere stato colpito anche alla gamba da un oggetto "estremamente pesante
e metallico".
Mentre il lancio di oggetti continua all'indirizzo del "defender"
ed i suoi assalitori non si staccano dal mezzo, uno dei Carabinieri all'interno
dell'autovettura impugna con la mano destra una pistola; cio' e' chiaramente
visibile nelle foto 18, 19, 20, 21 e 22 che mostrano una mano che dall'interno
impugna una pistola al limite superiore della sagoma della ruota di scorta
posta sul portellone posteriore; mentre l'aggressione continua un giovane
si china a terra e raccoglie un estintore che alza verso il lunotto posteriore
della jeep come nell'atto di scagliarlo.
Dall'interno partono due spari in rapida successione. Il giovane con l'estintore
si accascia al suolo e il suo corpo rotola arrestandosi contro la ruota
posteriore sinistra del mezzo; di fianco ad essa, sopravanzando il corpo,
e' rotolato l'estintore.
Qualche istante dopo il "defender" riesce ad ingranare la retromarcia
arrotando con la ruota posteriore sinistra il corpo del giovane e poi nuovamente
investendolo mentre avanza imboccando la via Caffa in direzione di piazza
Tommaseo, fermandosi quasi subito all'angolo con una via laterale.
Sul selciato resta il corpo esanime di un giovane con il capo coperto da
un passamontagna, che verra' identificato in Carlo Giuliani.
Accanto al corpo viene recuperato un estintore, sottoposto a sequestro unitamente
ad una pietra sporca di sangue e ad un bossolo cal.9.
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Non vi e' alcun dubbio che la morte del giovane Giuliani e' stata cagionata
da uno dei colpi esplosi dalla pistola di Mario PLACANICA e che il "defender",
nell'effettuare la manovra di retromarcia per lasciare la zona, ha arrotato
il corpo del giovane che, dopo essere stato colpito dal proiettile, si era
accasciato contro la ruota posteriore della camionetta.
Depongono in tal senso tutte le risultanze delle indagini, le complesse
perizie tecniche i cui risultati verranno nel seguito esaminati, e le stesse
dichiarazione del Carabiniere Mario PLACANICA il quale, interrogato quella
stessa notte, dichiarava fra l'altro:
"
Nel pomeriggio ci trovavamo schierati in una zona della
citta' dovevi erano stati violenti scontri nel corso dei quali e' rimasto
bruciato anche un blindato dei Carabinieri
con tutto il plotone ci
muovevamo a piedi seguiti dai due defender e cioe' 2 Land Rover, una con
a bordo il colonnello che ci coordinava e l'altra con a bordo un altro ufficiale.
In quanto addetto a sparare lacrimogeni, a causa del fumo, dopo ripetuti
lanci
avevo occhi e viso in fiamme
mi sono avvicinato al defender
ed ho chiesto soccorso e sono salito sul mezzo su cui ho iniziato a sentirmi
male vomitando. Il mezzo su cui sono salito era quello guidato dall'autista
Cavataio. Dopo che sono salito sul mezzo il plotone ha seguito una carica
di numerosi manifestanti, carica che e' stata respinta; a bordo del Land
Rover abbiamo seguito il plotone.. la situazione si e' tranquillizzata ed
allora il personale del plotone, per prendere aria, si e' tolto la maschera
antigas, a questo punto sul mezzo in cui mi trovavo in compagnia del solo
autista e' salito un altro collega di cui al momento non ricordo bene il
nome che aveva avuto dei problemi con i lacrimogeni come me.
A questo punto pero' i dimostranti si sono avvicinati ed i Carabinieri li
hanno caricati per respingerli: la carica dei Carabinieri e' stata pero'
respinta dai manifestanti - la confusione era moltissima - l'autista della
vettura ha cercato di fare retromarcia, circondato dai manifestanti che
avevano rotto il blocco del plotone, ma e' rimasto bloccato da un cassonetto
della spazzatura ribaltato aterra dai manifestanti e pieno; se fosse stato
vuoto la Land Rover sarebbe stata in grado di superare l'ostacolo: a questo
punto io e il collega dietro ci siamo impauriti anche perche' i manifestanti
hanno continuato a lanciare pietre di grosse anzi enormi dimensioni. Il
vetro della Land Rover, quelli laterali e posteriori (il Land Rover ha vetri
protetti da griglia metallica solo sul davanti) erano stati nel frattempo
mandati in frantumi dal lancio di pietre.
Io mi sono messo a gridare dicendo all'autista di scappare ed urlandogli
che ci stavano ammazzando eravamo infatti circondati dai manifestanti ed
io ho inteso che ce ne fossro centinaia; in quel momento ho visto in difficolta'
il mio collega ed ho pensato che dovevo difenderlo; l'ho abbracciato per
le spalle ed ho cercato di farlo accucciare sul fondo della jeep; io scalciavo
perche' i manifestanti mi tiravano per una gamba che mi veniva afferrata
dall'esterno per tentare di tirarmi fuori dalla macchina;
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hanno anche tirato oggetti pesanti che non ho neanche capito di cosa
si trattasse, mi è stato dato un colpo con qualcosa di estremamente
pesante e metallico
Mentre eravamo accucciati e ci difendevamo dagli assalti che ho descritto
continuavano ad arrivare nella vettura pietre. Il mio amico è rimasto
colpito da una pietra sotto l'occhio all'altezza dello zigomo, a questo
punto sempre più terrorizzato urlavo all'autista di muoversi che
non ce la facevo più; dopo aver gridato mi hanno colpito con una
grossa pietra in testa di colore bianco con i lati taglienti; mi hanno colpito
con la pietra che non veniva lanciata, per ben due volte la pietra mi ha
colpito in testa ferendomi; alla vista del sangue e del mio amico ferito
ho messo il colpo in canna alla pistola che tenevo in una fondina a coscia,
rimettendo poi però la sicura. Nel frattempo intimavo ai manifestanti
di finirla perché sennò avrei sparato, loro imperterriti hanno
continuato a colpire ed a lanciare pietre.
Nell'agitazione ho cercato di difendermi, mi sono accorto a posteriori che
con la mano avevo inavvertitamente levato la sicura.
Il lancio di pietre è continuato ed io ho sentito la mia mano contrarsi
e partire dalla mia pistola due colpi di arma da fuoco: io ero in posizione
accucciata con la mano alzata ed armata, la mia mano con la pistola era
quella che spuntava dalla camionetta:
ADR alla mia vista nel momento in cui puntavo la pistola non avevo persone,
percepivo che vi erano aggressori ma non li vedevo percependo solo il continuo
lancio di pietre.
Ero convinto che vedendo l'arma avrebbero desistito ed invece hanno continuato
Anche dopo che sono partiti i due colpi il lancio delle pietre è
continuato, nessuno ha urlato, nessuno ha detto nulla in merito alla possibilità
che avessi colpito: io ero accucciato e non ho fatto caso se avessi colpito
qualcuno.
Nel frattempo l'ostacolo rappresentato dal bidone è stato superato
ed ho potuto sentire che la camionetta si metteva in moto, eravamo stremati.
Ho sentito l'automezzo spostarsi in avanti l'ho sentito fermarsi per far
salire un'altra persona; questo collega ci ha offerto copertura con lo scudo,
sistemandolo come lunotto posteriore perché il lancio di pietre continuava.
Io perdevo sangue ed ero in preda al panico anche perché sentivo
che stavo per perdere i sensi, sull'automezzo nel frattempo è salito
un altro maresciallo; io ero nel panico preoccupatissimo per me e per il
mio amico
voglio ancora precisare che ero impaurito per tutto quello
che nel corso della giornata ed in particolare in quel frangente, avevo
visto lanciare, ed in particolare temevo che venissero lanciate sulla camionetta
anche bombe molotov". (interrogatorio PLACANICA al PM in data
20 luglio 2001 ore 23.00).
Tali dichiarazioni venivano integralmente confermate dall'indagato nell'interrogatorio in data 11 settembre 2001 e trovano riscontro nelle pur scarse dichiarazioni dell'autista Filippo CAVATAIO il quale, quella stessa notte, dichiarava che mentre si trovava in corso Torino nei pressi del blindato che era stato dato alle fiamme dai manifestanti che lo avevano assaltato, aveva fatto salire sul "defender" su
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cui era rimasto solo, due colleghi che stavano male, uno dei quali era
PLACANICA mentre dell'altro non ricordava il nome.
Dichiarava CAVATAIO che arrivati in un vicolo nei pressi di piazza Alimonia
aveva cercato di ritornare sui suoi passi perché il plotone indietreggiava
sotto la spinta dei manifestanti che avevano posto in essere una fitta sassaiola,
ma aveva trovato la strada bloccata da un cassonetto per i rifiuti che non
riusciva a spostare in quanto pieno e gli si era anche spento il motore
della vettura, mentre sentiva il collega PLACANICA urlare che lo avevano
colpito alla testa e l'altro collega urlava invocando aiuto ed
"intorno era tutto un lancio di blocchi di marmo. A questo punto
ho pensato solo a fare una manovra che mi allontanasse dal contatto con
questi manifestanti
non ho sentito colpi d'arma da fuoco, non ho sentito
nulla se non le urla dei colleghi. Sono riuscito a fare manovra e ad allontanarmi.
Non mi sono accorto di ostacoli sul mio cammino
Ho fatto retromarcia
e non ho sentito nessuna resistenza; anzi ho sentito un sobbalzo dalla ruota
sulla sinistra, ho pensato ad un cumulo di immondizia visto che era stato
rovesciato il cassonetto, ed ho pensato solo ad allontanarmi da quello sfacelo";
ed alla contestazione secondo cui avrebbe riferito al M.llo Amatori, che
era poi giunto in suo aiuto, di aver sentito invece gli spari mentre cercava
di fare manovra, onestamente dichiarava "Non ricordo di aver riferito
questa circostanza al maresciallo, tenete presente che ero nel panico".
Anche il carabiniere Raffone, sentito dal Pubblico Ministero in data 21 luglio, descriveva la violentissima aggressione posta in atto dai manifestanti contro il mezzo sul quale aveva preso posto sul sedile posteriore di fronte ad un collega (poi identificato in PLACANICA):
"Gli aggressori si accanivano contro di noi lanciandoci pietre ed altro e riuscendo in tal modo a frantumare i finestrini laterali e posteriori, io fui colpito alla schiena e al volto da delle pietre e cominciai a perdere sangue. Cercai di proteggermi coprendomi il volto mentre il Carabiniere che mi stava davanti cercava a sua volta di rannicchiarsi sopra di me e di proteggerci. A quel punto non vedevo più niente ma sentivo le urla e i rumori dei colpi degli oggetti che arrivavano nell'abitacolo. Sentii distintamente il mio commilitone urlare agli aggressori "Finitela, andatevene!" e subito dopo percepii due colpi di arma da fuoco. Io continuavo a tenermi coperto il volto per evitare di essere ulteriormente ferito. Immediatamente dopo il mezzo riusciva a rimettersi in moto e a fare retromarcia e riuscivamo a sganciarci. Sono stato curato presso l'ospedale Galliera dove mi è stato diagnosticato un forte ematoma allo zigomo destro ed ecchimosi varie".
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Negli stessi giorni venivano assunte le dichiarazioni di numerose persone, sia militari in servizio che persone che avevano assistito ai fatti dalle abitazioni situate proprio in piazza Alimonda; ed in particolare questi ultimi riferivano dell'avvenuta aggressione alla jeep da parte di numerosi giovani che bersagliavano il mezzo con lancio di pietre e lo colpivano con corpi contundenti distruggendone i vetri, tentando di aprire il portellone posteriore e scrollando il mezzo come a volerlo ribaltare; descrivendo altresì una persona che indossava un passamontagna, una canottiera bianca ed una felpa arrotolata alla vita (identificabile in Carlo Giuliani) che alzava un estintore rosso sopra la testa nel tentativo di lanciarlo contro il vetro posteriore della jeep, sentendo contemporaneamente il rumore di due colpi d'arma da fuoco ravvicinati e vedendo il giovane cadere a terra (vedi s.i.t alla Questura di Genova di Trimagni Giuseppina, Re Attilio, Fiocchi Giuliana, Federici Zita, Di Consiglio Roberta, Cardella Fabio).
Anche il M.llo Piergiorgio Amatori, che il pomeriggio dei fatti si trovava
nell'altra camionetta guidata dal M.llo Primavera che seguiva il plotone
appiedato schierato in via Caffa e sulla viaggiavano il ten. Col. Truglio
ed il collega Cirasino, dichiarava che ad un tratto il contingente appiedato
era stato fatto oggetto di un fitto lancio di oggetti contundenti da parte
di numerosi manifestanti ed aveva pertanto iniziato a ripiegare verso piazza
Alimonia dirigendosi verso le camionette che nel frattempo stavano arretrando.
Aveva notato che una delle due camionette era ostacolata nel suo procedere
da un cassonetto per i rifiuti ed era stata immediatamente circondata da
un numero consistente di manifestanti
"sicuramente più di una ventina, che hanno cominciato manovre di sfondamento dei vetri con corpi contundenti. In particolare ho notato un estintore scagliato da un manifestante contro il vetro posteriore della camionetta. Quasi contemporaneamente ho avvertito distintamente due colpi d'arma da fuoco e ho visto un manifestante cadere al suolo. Poco dopo la stessa camionetta ha iniziato una manovra in retromarcia per riuscire a liberarsi dal cassonetto e ho notato che la stessa investiva il manifestante caduto sicuramente con la ruota posteriore sinistra e quindi nuovamente partendo in avanti passava di nuovo sul corpo del manifestante a quel punto ho notato la stessa camionetta di prima ferma presso l'imbocco di una via
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laterale di piazza Alimonda. Mi sono avvicinato ed ho notato che l'autista era sceso ed era visibilmente agitato, mi ha chiesto aiuto. Nel frattempo ho notato il Carabiniere seduto dietro il posto di guida che si teneva la testa sanguinante. A quel punto mi sono messo io alla guida della camionetta e mi sono diretto verso il mare. Prima che iniziassi la manovra è salito a bordo un altro Carabiniere che inizialmente non si trovava sulla camionetta. In quel frangente il Carabiniere ferito perdeva molto sangue, si lamentava e chiedeva soccorso. L'autista era molto spaventato ed in preda al panico mi diceva che se l'era vista brutta e che il motore della camionetta si era anche spento una volta. Gli altri due Carabinieri non parlavano ed io girandomi ho notato che quello ferito aveva una pistola in pugno tanto che gli ho detto di mettere la sicura. Ho subito pensato che fosse stato lui ad esplodere quei colpi che avevo inteso poco prima ma non ne ho neanche avuto modo di parlargliene vista la condizione generale in cui si trovava. Durante il viaggio verso il primo ospedale cittadino indicatomi da una pattuglia della Polizia incontrata nel tragitto non ho avuto modo di parlare dello sparo. Successivamente l'autista mi ha detto che stando a bordo della camionetta nel corso dell'aggressione, mentre lui cercava di fare la manovra aveva solo sentito gli spari. Né io ho chiesto né mi è stato detto come si era arrivati alla decisione di sparare " (verbale s.r.t. al P.M. in data 20.7.2001 ore 21.00).
Visitato presso il PS dell'Ospedale Galliera, PLACANICA risultava aver
riportato contusioni diffuse all'arto inferiore destro con escoriazioni
e trauma cranico con ferita lacero contusa al vertice; il carabiniere RAFFONE
contusioni escoriate al naso e allo zigomo destro, contusioni alla spalla
sinistra ed al piede sinistro, mentre CAVATAIO risultava aver riportato
una sindrome soggettiva post traumatica giudicata guaribile in gg. 15.
Le consulenze medico legali disposte per stabilire la precisa natura ed
entità di tali lesioni e la loro compatibilità con l'aggressione
subita dagli occupanti del "defender" portavano alla conclusione
che il Carabiniere RAFFONE aveva riportato contusioni escoriate alla metà
destra del viso, contusione escoriata in sede scapolare destra e contusioni
varie agli arti superiori; e che la lesione al viso era compatibile con
una pietrata e quella alla spalla con un colpo inferto con una tavola.
Le lesioni riportate da PLACANICA alla sommità del capo erano giudicate
compatibili con una pietrata, le contusioni all'avambraccio e la forte contusione
alla gamba destra con edema diffuso su tutta la gamba, non presentavano
invece caratteristiche tali da poterne definire l'origine.
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Quanto alle cause e modalità della morte di Carlo Giuliani, le consulenze medico-legali hanno concluso che "la morte fu prodotta da lesioni cranio-encefaliche secondarie ad un colpo d'arma da fuoco a proiettile singolo, trapassante... esploso ad una distanza superiore ai 40-50 cm., che ha attinto il soggetto in regione orbitaria sinistra ...ed ha avuto tramite intracranico dal davanti all'indietro, da destra verso sinistra e dall'alto verso il basso, fuoriuscendo dal corpo in regione occipitale sinistra. Il feritore si trovava di fronte alla vittima e leggermente spostato verso destra. Non sono emersi elementi medico-legali riferibili a colluttazione"; affermando altresì che le lesioni cranio encefaliche hanno determinato la morte del soggetto nell'arco di pochi minuti in modo diretto e conclusivo, prescindendo da qualsiasi ipotetica altra lesione presente a livello toracico addominale e dovuta a fenomeni compressivi e o contusivi da arrotamento che non hanno determinato alcuna lesione interna apprezzabile, ma solo piccole contusioni escoriate ed ecchimotiche in corrispondenza dei punti di appoggio al suolo del soggetto, lesioni di assoluta modestia dovuta all'elasticità dei tessuti e delle articolazioni propri della giovanissima età della vittima.
Sgomberato il campo dalla ipotesi avanzata dai Difensori della p.o. E che non trova alcun riscontro negli atti del procedimento, che il colpo che ha determinato la morte di Carlo Giuliani sia stato esploso da un'arma diversa da quella impugnata dal Carabiniere PLACANICA (in considerazione delle dichiarazioni dello stesso indagato, dalle riprese videofotografiche, dalle consulenze balistiche effettuate sui bossoli in sequestro e dalle dichiarazioni assunte da numerose persone presenti), ed al fine di una corretta interpretazione dei risultati cui sono pervenuti i consulenti del Pubblico Ministero e delle persone offese, la necessaria minuziosa ricostruzione del teatro dei fatti non può prescindere dal racconto che, degli attimi che hanno preceduto la morte di Carlo Giuliani, hanno fornito anche alcuni di coloro che, insieme al predetto, direttamente hanno partecipato all'assalto della camionetta rimasta in panne. Ci si riferisce in particolare alle dichiarazioni rese nel procedimento nr. 14787/2001, che li vede indagati dei reati di devastazione, saccheggio e resistenza aggravata con incendio
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di un blindato dei Carabinieri in c.so Torino, da Eurialo Predonzani, Massimiliano Monai e Luca Finotti, presentatisi spontaneamente al Pubblico Ministero.
Le consulenze disposte dal Pubblico Ministero hanno infatti trattato aspetti medico legali, balistici e topografici al fine di ricostruire con la maggiore aderenza possibile le posizioni relative e lo stato dei luoghi al momento dello sparo e risulta dalle relazioni in atti che i consulenti hanno avuto a disposizione l'album fotografico della Questura di Genova contenente 34 fotografie, la videocassetta VHS realizzata dalla Questura di Genova contenente 7 filmati di provenienza Mediaset, Polizia Scientifica e Luna Rossa Cinematografica, nonché la videocassetta di rilievi sul "defender", oltre ovviamente i bossoli e l'estintore in sequestro.
Ma le dichiarazioni di cui si è parlato, pur assunte dallo stesso Pubblico Ministero in data antecedente al momento in cui, a distanza di mesi, conferiva l'incarico di "ricostruire, anche se in forma virtuale, la condotta di Mario Placanica e di Carlo Giuliani nel periodo immediatamente precedente e successivo a quello in cui Giuliani è stato colpito, le distanze fra i due, i rispettivi angoli di visuale e, per quanto riguarda Placanica, lo spettro visivo che lo stesso aveva all'interno del "defender" nel momento in cui lo stesso ha sparato", non risulta siano state poste a conoscenza dei consulenti, essendo state acquisite a questo procedimento in data successiva al conferimento dell'incarico peritale.
Si tratta invece, ad avviso di questo Giudice, di dichiarazioni di estrema importanza non solo per chiarire quale fosse la situazione ambientale in cui si è verificata la morte di Carlo Giuliani, ma soprattutto per l'indagine relativa alla direzione dei colpi sparati dalla pistola di PLACANICA, problema intimamente connesso alla distanza relativa fra il predetto e Carlo Giuliani, che ha determinato notevoli discussioni fra i consulenti delle parti e ancora costituisce uno dei principali argomenti dell'atto di opposizione all'archiviazione presentato dai Difensori della famiglia di Carlo Giuliani.
Proprio al fine di raggiungere un risultato di massima certezza e di non trascurare alcuna ipotesi, il Pubblico Ministero ha conferito le consulenze tecniche
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utilizzando l'art. 360 c.p.p. Per consentire ai consulenti degli indagati e delle persone offese di partecipare agli accertamenti.
Di ciò ha dato atto nella richiesta di archiviazione, precisando di avere a questo scopo "forzato la norma" trattandosi indubbiamente di accertamenti non irripetibili, ma costrettovi da un precedente diniego di incidente probatorio da parte di questo Giudice. In effetti era stata respinta la richiesta di procedere con incidente probatorio a consulenza balistica sull'arma di PLACANICA, trattandosi pacificamente di accertamento non irripetibile e tale da non determinare una sospensione del dibattimento superiore a 60 giorni.
Diverso accoglimento avrebbe avuto naturalmente la richiesta di procedere con incidente probatorio alla ricostruzione balistica di quanto avvenuto in Piazza Alimonda, trattandosi di accertamento di maggiore complessità e prevedibile durata che legittimava l'assunzione della prova con le piene garanzie del contraddittorio.
Ma a parte le divergenti opinioni sull'utilizzo degli strumenti processuali, le modalità di indagine scelte dal Pubblico Ministero hanno comunque raggiunto la finalità di consentire alle parti di partecipare pienamente agli accertamenti disposti e sorprendono oggi alcune richieste di integrazione di indagini avanzate dagli opponenti, per i motivi di cui in seguito più diffusamente si tratterà.
Accertamenti medico legali e balistici
Le consulenze tecniche disposte dal Pubblico Ministero hanno accertato che i colpi sparati dalla pistola di Mario PLACANICA, sono stati due in rapida successione, come si ricava con evidenza dalla visione dei filmati in atti; e che Carlo Giuliani morì per una ferita d'arma da fuoco alla testa e fu colpito da un solo proiettile che penetrò nell'orbita sinistra fino ad uscire dall'osso occipitale che risulta aver trattenuto, in prossimità del foro d'uscita, un frammento di camiciatura di ottone del proiettile, come emerso dalle radiografie eseguite prima dell'autopsia.
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Tale circostanza, unitamente alle caratteristiche dei fori di ingresso ed uscita del proiettile, ha fatto ipotizzare che il proiettile prima di colpire il volto di Carlo Giuliani, abbia incontrato un ostacolo che lo ha deformato modificandone la traiettoria. La ferita di ingresso presenta infatti una forma molto irregolare ed il foro di uscita è di dimensiomi ridotte, come quelle solitamente prodotte da proiettili la cui energia sia stata diminuita o che si siano già frammentati.
Il rallentamento del proiettile con conseguente perdita di energia non è compatibile con le caratteristiche di quello che era in dotazione alla pistola di Mario Placanica e che ha attinto il volto di Giuliani. Si trattava infatti di un proiettile blindato cal.9 esploso da una cartuccia parabellum e dunque di particolare potenza, che ha attraversato ossa di consistenza modesta come il pavimento dell'orbita e l'osso sfenoide, la parte mediana della rocca petrosa e la squama occipitale, e dunque ossa di non particolare durezza o che presentano cavità.
Tali osservazioni avvalorano l'ipotesi che il proiettile, prima di penetrare nel volto di Carlo Giuliani, ha incontrato un bersaglio intermedio che ne ha ridotto la velocità, danneggiandone la camiciatura ed esponendone il nucleo di piombo; conclusione che trova conferma, oltre che nella presenza del frammento metallico in prossimità del foro di uscita del proiettile, nelle tracce che sono state trovate sul passamontagna che Carlo Giuliani indossava nel momento in cui fu attinto dal colpo mortale.
Nella busta che conteneva il passamontagna è stato infatti rinvenuto un piccolissimo frammento metallico di piombo, compatibile con il nucleo dei prioettili in dotazione al carabiniere Placanica. Su tale frammento risultano infisse piccole schegge ossee catturate dal nucleo di piombo del proiettile che evidentemente, quando ha colpito l'osso, non era più protetto dalla camiciatura.
Infatti le tracce rilevate sulla parte interna del passamonttagna, attorno al foro di uscita del proiettile, evidenziano tracce di piombo e di osso ``sporco'' di piombo; e ciò prova che quando il proiettile fuoriuscì dal capo di Giuliani aveva il nucleo di piombo almeno parzialmente scoperto.
L'ipotesi dell'impatto del proiettile contro un bersaglio intermedio che ne ha danneggiato la blindatura è vieppiù avvalorata dalla considerazione che i frammenti di
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piombo sono stati rinvenuti anche nelle fibre della parte anteriore del passamontagna unitamente a minute schegge di osso provenienti dalla frattura del pavimento dell'orbita; segno inequivoco che, già nel momento dell'impatto cotro il volto di Giuliani, parte del nucleo di piombo del proiettile non era coperta dalla camiciatura.
Al fine di individuare quale sia stato il possibile bersaglio intermedio che ha certamente danneggiato la camiciatura del proiettile, sono state effettuate prove di sparo sugli oggetti che più verosimilmente si potevano trovare sulla sua traiettoria, ed in particolare sull'estintore che Giuliani sollevava quando è stato attinto dal colpo mortale.
Le prove di sparo effettuate hanno escluso che l'estintore possa essere stato il bersaglio intermedio contro il quale ha urtato il proiettile esploso da Placanica prima di colpire Giuliani al volto. Infatti i proiettili utilizzati per le prove di sparo, identici a quelli indotazione a Placanica ed esplosi naturalmente da una pistola Beretta, hanno evidenziato che, dei proiettili che hanno attinto l'estintore senza penetrarvi (come nel caso dell'estintore sequestrato in piazza Alimonda), solo uno, sparato con angolo di incidenza di 7 gradi, è risultato frammentato ed aver cagionato una vistosa deformazione ed abrasione sulla superficie del metallo; mentre gli altri colpi hanno determinato deformazioni dei proiettili che hanno solo danneggiato la camiciatura senza però romperla e creato vistosissime tracce di abrasione sul metallo che non sono invece state rilevate sull'estintore sequestrato in piazza Alimonda; infatti l'estintore in sequestro presentava solo scalfitture e lievi deformazioni che hanno interessato principalmente lo strato di vernice.
Se dunque la camiciatura del proiettile sparato dalla pistola di Placanica si fosse danneggiata contro la superficie dell'estintore sollevato da Carlo Giuliani, il proiettile avrebbe certamente prodotto vistose deformazioni della superficie dell'estintore con asportazione della vernice.
Le prove eseguite consentono dunque di escludere che il bersaglio intermedio sia stato costituito dall'estintore.
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Ulteriori prove sono state effettuate mediante spari su strutture ossee, sebbene l'esperienza relativa ad azioni suicidarie abbia dimostrato che i proiettili cal. 9 mm. Nato, avendo spiccata resistenza meccanica, non vengono frammentati da impatti anche ravvicinati con ossa craniche di spessore ben maggiore di quelle che hanno costituito il tramite intercranico interessato dal proiettile che ha attinto Carlo Giuliani, determinando al massimo fessurazioni senza perdita di piombo e senza asportazione di camiciatura.
Si può dunque escludere che la frammentazione del proiettle sia avvenuta per l'impatto sulle ossa del volto di Giuliani.
Tale ulteriore conclusione, letta unitamente ai risultati delle prove di sparo effettuate sull'estintore ed alle risultanze delle tracce rilevate sul frammento di piombo e sulle fibre del passamontagna indossato dalla vittima, fornisce dunque la certezza che il danneggiamento del proiettile è avvenuto a causa dell'impatto con un bersaglio certamente intermedio diverso dall'estintore che Giuliani aveva nelle mani.
Al fine di individuare la natura di tale ``bersaglio intermedio'', va rilevato come sul frammento di piombo sono state trovate infisse numerose particelle di sostanze non presenti nelle cartucce, ma di frequente composizione nei materiali per edilizia; il che induce a riitenere che proprio un oggetto con tale composizione possa aver costituito il bersaglio intermedio che ha interferito con la traiettoria originaria del colpo sparato da Placanica.
Si è infatti osservato che l'aggressione dei manifestanti consisteva nel lancio di oggetti contundenti e soprattutto di pietre e calcinacci, molti dei quali si notano attraversare il teatro degli scontri nelle fasi più violente e ravvicinate di assalto al ``defender'' rimasto bloccato, la cui carrozzeria è infatti risultata in alcune parti ammaccata.
Le immagini videoregistrate mostrano chiaramente il comportamento anomalo di uno solo delle decine di tali corpi contundenti che da più parti attraversavano l'aria diretti contro le Forze dell'Ordine ed in particolare contro il ``defender'' in panne.
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La visione del filmato di ``Luna Rossa Cinematografica'' che documenta nel modo più completo le fasi dell'assalto al ``defender'', mostra chiaramente nel fotogramma 01:03:23:05 un ``sasso'' che entra in campo sulla destra dell'immagine in corrispondenza della parte finale della scritta ``Carabinieri'' posta sulla parte posteriore del tetto della camionetta\footnote{I numeri indicano in sequenza l'ora, i minuti, i secondi e i centesimi di secondo trascorsi dall'inizio della registrazione.}. I fotogrammi successivi evidenziano, nella stessa posizione, una nuvola di materiale polveroso che si disperde lanciando frammenti in varie direzioni.
Poiché il fotogramma 01:03:23:17 mostra il corpo di Giuliani che rotola per terra verso la ruota posteriore del defender, ``l'esplosione'' dell'oggetto che si nota nelle immagini sembra essere in esatta coincidenza temporale con la prima esplosione dell'oggetto la cui natura non è in questo momento ancora identificata.
Sulla coincidena fra il momento di visualizzazione dello sfarinamento del ``sasso'' e la registrazione del rumore dello sparo, vi è stata notevole discussione fra i consulenti delle parti, sostenendo quelli delle persone offese che lo sfarinamento del sasso si è prodotto per l'impatto dell'oggetto contro il tetto del ``defender'' e che dunque si è trattato di un fenomeno del tutto indipendente dallo sparo.
Come si è detto la visione del filmato dà la sensazione della coincidenza fra i due fenomeni e pertanto appare condivisibile la tesi sostenuta dai consulenti del Pubblico Ministero che hanno concluso che lo sfarinamento dell'oggetto è stato cagionato proprio dall'impato contro il proiettile sparato da Placanica.
Appare infatti convincente tale ricostruzione quando mette in rapporto le immagini video che sono state registrate con la registrazione dei suoni associata.
E' pur vero che può apparire non in linea con la ricostruzione effettuata il fatto che la percezione del rumore dello sparo sia avvenuta in coincidenza con la visualizzazione del danno cagionato (lo sfarinamento), posto che è dato incontestabile di comune esperienza che l'azione che cagiona il danno, e dunque il suo rumore, avviene prima del suo effetto.
Occorre però tener presente altri fattori, ed in particolare la distanza alla
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quale si trova colui che registra l'azione, posto che tale distanza è in stretta correlazione con la registrazione del suono. Infatti più l'operatore si trova lontano, più sarà ritardata la registrazione del suono, con la conseguenza che la sua percezione potaà coincidere con la visualizzazione del fenomeno che a quel rumore è conseguente.
Fatte queste premesse, ed osservato che la distanza alla quale si trovava
l'operatore che ha ripreso l'assalto al ``defender'' appare correttamente
stimata sulla base dei riferimenti spaziali evidenziati dalle riprese, si
spiega come nel momento in cui si nota lo sfarinamento del sasso si oda
contemporaneamente il rumore di uno sparo indubbiamente avvenuto poco prima.
Come si è detto , la maggior parte degli oggetti lanciati contro
il "defender" erano pietre e pezzi di materiale per costruzione
ed è stato accertato che il primo proiettile esploso da PLACANICA
ha colpito il volto di Giuliani quando la sua camiciatura era già
stata lacerata, come risulta dagli accertamenti compiuti sul nucleo del
proiettile e sui frammenti di ossa rinvenuti sul passamontagna che la vittima
indossava.
Si è pertanto ipotizzato che l'oggetto che nelle riprese video si nota ``sfarinarsi'' e che può aver determinato il danno alla blindatura del proiettile, potesse essere un ``calcinaccio'' e che dunque proprio uno dei calcinacci che da più parti venivano lanciati contro il ``defender'' sia bersaglio intermedio che ha determinato la deviazione del proiettile.
Sono state pertanto effettuate prove di sparo su blocchi di calcinacci di diversa consistenza, durezza e finitura superficiale, al fine di valutare il comportamento di questo tipo di bersaglio nel momento in cui fosse colpito da un proiettile, nonché le eventuali deformazioni da questo subite e le possibili variazioni nella sua traiettoria.
Le prove effettuate hanno confermato che il ``bersaglio intermedio'' colpito dal primo proiettile esploso da Placanica è stato proprio un ``calcinaccio'': si è potuto notare infatti durante le prove di sparo che i calcinacci colpiti dal proiettile mostrano una sequenza di rottura analoga a quella visibile nel filmato di piazza Alimonda, con ``esplosione'' del materiale seguita da notevole e densa proiezione di detriti.
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Tanto più tale conclusione è avvalorata quando si consideri che tutti i calcinacci alla cui rottura è seguito lo "sfarinamento" hanno cagionato evidenti danni alla camiciatura del proiettile, analogamente a quanto è avvenuto per il proiettile che ha attinto il volto di Carlo Giuliani.
Quanto all'ipotesi che invece lo sfarinamento del calcinaccio sia conseguente all'impatto con la struttura del ``defender'', come ipotizzato dai Difensori delle persone offese, la prove di lancio hanno escluso tale possibilità: evidenziando che calcinacci di diversa consistenza subiscono nell'impatto contro la struttura del ``defender'' rotture in cui la produzione di polvere è successiva alla frantumazione; mentre nel caso del calcinaccio di piazza Alimonda la produzione pulvirulenta, notevolmente più abbondante, precede la rottura del calcinaccio e dunque è visibile in uno con la stessa.
Alla luce delle prove effettuate si può dunque escludere che il calcinaccio abbia incontrato la superficie del tetto del ``defender'', nonostante i numerosi segni di impatto di altri oggetti aventi le stesse caratteristiche di composizione chimica, che sono stati rilevati sul mezzo. Tanto più che, come evidente dalle immagini ed emerso dalle dichiarazione delle numerose persone presenti, il ``defender'' era stato fatto oggetto di una fitta sassaiola.
A questo punto, accertato che il primo dei proiettili esplosi dalla pistola di Mario PLACANICA ha incontrato sulla sua traiettoria un calcinaccio prima di colpire il volto di Giuliani, occorre determinare quale fosse la direzione in cui il colpo è stato esploso.
Dalla pistola di PLACANICA sono stati esplosi due colpi in rapida successione.
Mentre il primo ha colpito il volto di Carlo Giuliani, del secondo è stata trovata traccia sul muro perimetrale della chiesa ubicata in piazza Alimonda. Tale traccia si trova all'altezza di m. 5,30 dal piano stradale nel punto in cui si trovava il defender ed ad una distanza di m. 21,22 misurata in linea retta dal portello posteriore del veicolo, con angolo verticale verso l'alto di circa 10 gradi.
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La consulenza balistica ha concluso che non è stato possibile determinare
quale sia stata l'originaria direzione del colpo che ha attinto Giuliani.
Come si è detto, i filmati mostrano il calcinaccio poi sfarinatosi,
che appare da destra poco al di sopra del limite superiore del tetto del
"defender" più o meno in corrispondenza delle lettere finali
della scritta "CARABINIERI".
Tenendo conto che il "defender" è alto cm.196, i consulenti
del Pubblico Ministero, tenuto conto dell'equipaggio a bordo, hanno stimato
in circa 190 centimetri l'altezza del calcinaccio quando è entrato
nel campo visivo della telecamera.
Su tale base hanno effettuato prove di sparo ponendo l'arma alla distanza
di circa m. 1,30 dal calcinaccio sospeso all'altezza di m 1,90. Tutti i
colpi sparati hanno evidenziato che il proiettile, dopo aver colpito il
calcinaccio ed aver subito la rottura della camiciatura, veniva deviato
verso il basso forando la cassetta di recupero ad altezze variabili fra
m 1,10 e m 1,80.
La cassetta di recupero dei proiettili è stata posta alla distanza
di m 1,75 dal portellone posteriore del veicolo. Infatti i consulenti del
Pubblico Ministero, sulla base dei riferimenti spaziali che appaiono nelle
fotografie, hanno ipotizzato che Carlo Giuliani potesse trovarsi alla distanza
di circa 3 metri dal "defender" nel momento in cui si dirigeva
vero il mezzo sollevando l'estintore sul capo, con la gamba sinistra alzata;
e che abbia pertanto coperto l'ulteriore spazio di circa m 1,50 prima di
essere colpito.
Tale ricostruzione è d'altra parte in accordo con le dichiarazioni
rese al Pubblico Ministero da alcune delle persone che direttamente hanno
partecipato all'assalto della camionetta e che conoscevano Carlo Giuliani;
si tratta come si è detto di dichiarazioni non note ai consulenti
nel momento dell'espletamento dell'incarico, che sono invece molto importanti
non solo per la ricostruzione complessiva delle fasi di assalto al "defender",
ma perché costituiscono importante riscontro che avvalora la ricostruzione
effettuata dai tecnici sulla base del solo materiale video fotografico in
atti.
Eurialo Predonzani , infatti, presentatosi spontaneamente al PM in data
6 settembre 2001 con la presenza del difensore, rendeva dichiarazioni di
cui si riportano alcuni passi, confermando il contenuto di una intervista
rilasciata al Corriere della Sera del 31 luglio 2001, che gli veniva riletta
e nella quale aveva affermato:
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" la situazione era incandescente e dopo le ripetute cariche delle forze dell'ordine si è scatenata una furia collettiva, allora non ci è parso vero di aver guadagnato il campo accerchiando la jeep le camionette erano due,una si sfila e resta l'altra, la accerchiamo, ormai il clima è di battaglia, raccogliamo da terra tutto ciò che ci capita a tiro e lo scagliamo contro quella jeep rimasta da sola, dentro ci sono 3 uomini, qualcuno di noi riesce a sfondare il lunotto posteriore, credo con un bastone, eravamo tesissimi e infuriati, ma nessuno ha cercato di tirare fuori i carabinieri, nessuno lo ha tirato per una gamba come lui ha raccontato ai magistrati, non era possibile non c'è stato alcun contatto fisico diretto. Vedo il carabiniere semidisteso nella jeep che punta la pistola verso l'esterno e grida - Bastardi vi ammazzo tutti - l'arma è puntata contro un ragazzo in grigio che mi sta accanto, quindi si sposta verso un altro. Continuano a piovere sassi. Intorno a noi ci sono alcuni uomini della forze dell'ordine che non intervengono subito. A questo punto "andiamo via" dallo sparo. Un attimo prima di fuggire vedo l'estintore a terra, è tozzo, bombato e di colore arancione, vedo un ragazzo che barcolla che si trova a non più di 2 metri dalla jeep. Sento 2 colpi ravvicinati, poco dopo un terzo. Io sono salvo un po' più in su in una strada adiacente. Il morto giace sull'asfalto in un lago di sangue. Scoprirò poi che è il mio amico Carletto Giuliani".
Ulteriormente illuminanti sono le dichiarazioni rese in data 15 febbraio2002
al Pubblico Ministero da Luca Finotti, anch'egli spontaneamente comparso
con il Difensore, che ha dichiarato:
"
All'inizio del pomeriggio mi trovavo in corso Gastaldi
quando assistetti alla prima carica dei carabinieri contro la manifestazione
delle tute bianche. Ritengo si sia trattato di una vera e propria aggressione,
come ho detto durante l'intervista. Dopo un periodo do smarrimento cominciai
a farmi prendere dalla rabbia e partecipare alle cariche contro cariche
avvenute in quelle ore nel perimetro vicino a corso Gastaldi e piazza Alimonia.
Ero anche presente nel momento in cui un blindato dei carabinieri si fermò
in corso Torino. Insieme ad altri manifestanti lo circondavamo e ammetto
di aver lanciato alcune pietre
nei momenti successivi continuarono
gli scontri nelle vie limitrofe ed io mi trovavo in corso Gastaldi quando
vidi la folla prendere la ricorsa nell'angolo. Non ero nelle prime file
ed io seguii la gente che correva senza vedere cosa avveniva davanti. Mi
trovai improvvisamente a fianco del defender e con una pietra in mano che
lanciai contro il mezzo. Mi sembra di aver colpito il finestrino con la
grata. Ricordo che più avanti vi era un ragazzo con una trave. Tutto
questo avvenne in uno spazio di tempo molto ridotto. Vidi con certezza che
all'interno del mezzo vi erano tre carabinieri: uno alla guida e due nella
parte posteriore
Improvvisamente sentii un colpo e vidi un ragazzo
cadere poco lontano da me
Ribadisco di ricordare di aver sentito urlare
dall'interno del mezzo la frase detta in tono deciso "andate via, andate
via". Poi vi fu un colpo."
Fine pag 24
Entrambe queste dichiarazioni sono state rese da persone che sono attualmente
indagate nel procedimento nr.13024/2001 R.G. PM, per gravi episodi di devastazione,
saccheggio, incendio e resistenza aggravata posti in essere in varie zone
della città di Genova; all'assalto del blindato rimasto in panne
in corso Torino che veniva poi incendiato, nonché alle cariche avvenute
proprio in piazza Alimonia ove, insieme a Massimiliano Monai, partecipavano
all'assalto del "defender" dei Carabinieri a seguito del quale
trovava la morte Carlo Giuliani.
I filmati o le fotografie in qui li ritraggono infatti a lato del "defender"
durante la fase più violenta dell'aggressione ed in particolare Predonzani
si è riconosciuto nella fotografia che lo ritrae a viso scoperto
con indosso un casco ed un giubbotto salvagente, vicino a Carlo Giuliani;
e Finotti ha dichiarato di essersi trovato a fianco del "defender"
con una pietra in mano che lanciava contro il mezzo; mentre Monai, anch'egli
spontaneamente presentatosi al Pubblico Ministero il 30 agosto 2001, si
riconosceva nella fotografia che lo ritrae con una trave che infila attraverso
il vetro posteriore destro del "defender" già frantumato,
ammettendo di aver colpito al cosato uno dei Carabinieri che si trovavano
nella parte posteriore della camionetta.
Tali dichiarazioni, che collocano Carlo giuliani a circa 2 metri dal "defender",
sono pertanto in pieno accordo con la ricostruzione tecnica degli spazi
effettuata dai consulenti del Pubblico Ministero che, nelle planimetrie
in atti, pongono Carlo Giuliani alla distanza di circa m 1,75 dal portellone
posteriore del "defender" dal cui interno è stato esploso
il colpo di pistola, concludendo che i corpi esplosi dalla pistola di Mario
PLACANICA furono esplosi verso l'alto, secondo una traiettoria che escludeva
la sagoma di Carlo Giuliani. Il giovane infatti era alto m 1,65 mentre il
primo colpo esploso dalla pistola di Mario PLACANICA incontrò il
bersaglio intermedio costituito dal calcinaccio quando questo si trovava
ad una altezza di circa m 1,90 dal suolo e dunque fu esploso con una direzione
più elevata rispetto all'altezza di Giuliani; raggiungendolo peraltro
al volto perché deviato verso il basso proprio dall'urto contro il
calcinaccio.
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Cio' e' in accordo anche con la traccia del secondo colpo immediatamente sparato da PLACANICA, che e' stata individuata sul muro perimetrale della chiesa ad una altezza di m 5,30 dal piano stradale ove si trovava il "defender", secondo un andamento verticale della linea di tiro spostato verso destra di circa 9 gradi rispetto al lato di provenienza di Carlo Giuliani e quindi certamente non diretto verso quest'ultimo.
I risultati della indagine balistica sulla direzione dei colpi esplosi
da PLACANICA trovano riscontro nella ricostruzione dell'angolo visuale che
l'indagato aveva dall'interno della camionetta.
In proposito i consulenti del Pubblico Ministero hanno considerato varie
ipotesi, non senza precisare che la individuazione del punto di vista di
PLACANICA e' comunque aleatoria.
Se PLACANICA si fosse trovato in una posizione compresa fra la mezzeria
della camionetta ed il montante piu' interno del lunotto psteriore destro
ad una altezza, considerate le misure interne del "defender",
di circa 172 centimetri da terra corrispondente al busto di una persona
seduta in posizione quasi eretta, tenuto conto della distanza che e' stata
stimata avere Giuliani dal mezzo PLACANICA avebbe potuto intravederne la
sagoma quando il giovane si trovava alla distanza di circa 3 metri dal mezzo,
aumentando la sua visibilita' nel momento in cui Giuliani avanzava.
Trattasi invero di posizione eretta sui sedili ritenuta poco verosimile,
ed e' piu' probabile che la visuale di PLACANICA fosse al limite di traguardamento
della sagoma della ruota di scorta.
La difficolta' di individuare con grado di certezza apprezzabile la visuale
di PLACANICA e' d'altra parte in accordo con il materiale video fotografico
in atti.
Infatti in nessuna delle immagini e' dato intravedere il volto del Carabiniere,
mentre si distingue nitidamente la mano che impugna la pistola.
E' certo, perche' chiaramente visibile, che PLACANICA non si trovava sulla
parte sinistra dell'abitacolo, di cui si vedono i sedili vuoti ed il retro
del poggiatesta del guidatore. Ma il suo corpo non e' visibile neppure nella
parte posteriore destra del
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veicolo, attraverso il cui finestrino rotto Monai introduce la trave che
colpisce alla spalla il Carabiniere Baffone.
Ciò che chiaramente si nota invece, in particolare nelle foto 18,
20 e 21 dell'album fotografico della Questura, è una gamba, verosimilmente
la destra, sulla quale appoggia in posizione rovesciata, la fondina a coscia.
Tali immagini fanno ritenere che PACANICA si trovasse in posizione semidistesa,
il che giustificherebbe il fatto che la fondina appaia non aderente alla
gamba, ma rovesciata all'indietro e che dunque da tale posizione abbia esploso
i colpi di pistola.
Tale posizione è in linea con quanto dichiarato dallo stesso PLACANICA
e dal collega Raffone circa la posizione rannicchiata che entrambi avevano
assunto per evitare di essere ulteriormente colpiti; ma soprattutto con
le dichiarazioni rese da Eurialo Predonzani che, nell'interrogatorio prima
citato dichiarava fra l'altro:
" Vedo il Carabiniere semidisteso nella jeep che punta la pistola verso l'esterno e grida - Bastardi vi ammazzo tutti. L'arma è puntata verso un ragazzo in grigio che mi sta accanto, quindi si sposta verso un altro "
Tale dichiarazione è perfettamente in accordo con le immagini in
atti, che non consentono mai di vedere né il volto né, con
sufficiente chiarezza, la sagoma di PLACANICA che dunque era verosimilmente
in posizione semidistesa ed arretrata verso i sedili anteriori; e dunque,
per la posizione rialzata del pianale del "defender" rispetto
al piano stradale, non era in grado di vedere le persone che erano in prossimità
del portellone posteriore, al di sotto del limite superiore della ruota
di scorta.
Ciò, come detto, conferme quanto dichiarato dall'indagato nel corso
dell'interrogatorio avvenuto nella immediatezza del fatto e non smentito
dal successivo interrogatorio, avendo PLACANICA sostenuto di essersi messo
in posizione accucciata e che
" alla mia vista nel momento in cui puntavo la pistola non avevo persone, percepivo che vi erano aggressori ma non li vedevo percependo solo il continuo lancio di pietre. Ero convinto che vedendo l'arma avrebbero desistito ed invece hanno continuato. Per quello che posso ricordare mi pare di aver tenuto la pistola in mano con le modalità riferite, per circa un minuto."
La posizione descritta, accucciata o semidistesa, consente di ritenere
che effettivamente PLACANICA non abbia potuto vedere la sagoma di alcuna
persona
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dietro il portellone del "defender" e che dunque egli abbia
sparato per intimorire, con la massima inclinazione verso l'alto che la
posizione assunta gli consentiva.
Tale ricostruzione è d'altra parte in accordo con la traiettoria
del bersaglio intermedio e con l'altezza del secondo colpo esploso, il cui
impatto è stato trovato sul muro della chiesa all'altezza di m 5,30
dal punto in cui si trovava il "defender"; nonché con le
risultanze delle indagini che sono state compiute circa l'origine del danno
alla blindatura del proiettile e l'esistenza di tracce di materiale edilizio
sulle ossa del cranio di Giuliani.
Considerazioni in diritto sulla condotta degli imputati.
Mario PLACANICA
Le premesse fatte consentono di valutare la condotta tenuta da Mario PLACANICA,
di ricostruire con esattezza quale fosse la situazione nella quale lo stesso
si è risolto ad usare l'arma e se siano ravvisabili nella sua condotta
cause di giustificazione che ne scriminino il comportamento rispetto all'evento
lesivo causato a Carlo Giuliani.
Le valutazioni giuridiche effettuate dal Pubblico Ministero nella richiesta
di archiviazione prendono le mosse dalla distinzione fra la legittima difesa
e l'eccesso colposo.
Quanto poi all'esame del fatto specifico ed alla condotta tenuta da PLACANICA
il Pubblico Ministero afferma che "non vi è dubbio che sussistano
i requisiti della offesa ingiusta portata ad un bene (l'incolumità
personale) di cui gli occupanti del "defender" erano titolari.
Altrettanto pacifico è che la condotta difensiva è stata posta
in essere quando il pericolo era attuale."
Quanto al problema della sussistenza della proporzione fra offesa e difesa,
il Pubblico Ministero argomenta che la vicenda va valutata non immaginando
uno scontro tra
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Giuliani e PLACANICA, "ma contestualizzando le condotte di entrambi"
e considera due possibilita':
1) che PLACANICA abbia sparato il piu' in alto possibile con il solo intento
di impaurire gli aggressori; ritenendo che in tal caso sia applicabile l'art.
586 c.p. e che dunque PLACANICA debba rispondere di omicidio colposo
2) che PLACANICA abbia sparato senza mirare specificamente a qualcosa o
a qualcuno ma con l'intento di fermare l'aggressione; i colpi sono partiti
con una traiettoria verso l'alto e dunque nella condotta di PLACANICA sarebbe
ravvisabile la fattispecie dell'omicidio doloso a titolo di dolo eventuale
avendo comunque l'agente accettato il rischio di colpire qualcuno degli
aggressori.
Conclude il Pubblico Ministero che in entrambe le ipotesi la scriminante
della legittima difesa e' applicabile alla condotta di PLACANICA e che la
stessa non e' censurabile ai sensi dell'art. 55 c.p.
Ad avviso di questo Giudice la prima delle due fattispecie non appare
ipotizzabile.
Non va infatti dimenticato che si e' accolta la tesi dei consulenti che
la traiettoria del proiettile sia stata deviata dall'urto contro il bersaglio
intermedio costituito dal calcinaccio
Se dunque PLACANICA, come ipotizza il Pubblico Ministero, ha sparato i colpi
il piu' in alto possibile con il solo intento di impaurire gli aggressori
in una situazione quale quella descritta a cui lo stesso era comandato in
servizio di Ordine Pubblico, non potra' rispondere della morte di Giuliani
a titolo di "aberratio delicti", posto che la condotta relativa
all'evento voluto (l'uso dell'arma) e' certamente scriminata dall'art. 53
c.p.; e comunque il nesso di causalita' materiale sarebbe stato interrotto
dall'intervento di un fattore eziologico sopravvenuto, certamente imprevedibile
ed al di fuori di ogni possibile sfera di controllo, costituito dall'interferenza
del proiettile contro un bersaglio intermedio, e dunque idoneo ad interrompere,
per la sua particolarita' sotto il profilo della assoluta imprevedibilita',
il nesso causale pur non essendo completamente
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autonomo del fattore causale più remoto di cui ha peraltro costituito
semplice occasione.
Quanto alla seconda ipotesi, secondo cui PLACANICA avrebbe sparato senza
mirare ad alcuno, con l'intento di fermare l'aggressione ma accertando il
rischio di colpire qualcuno e comunque essendo il suo comportamento scriminato
da una situazione di difesa legittima, occorre ricostruire i fatti in modo
più approfondito verificando, alla luce delle risultanze processuali,
se nella condotta del Carabiniere ricorressero gli estremi di cause di giustificazione
ed in particolare dell'uso legittimo delle armi o della legittima difesa.
L'uso legittimo delle armi
La morte di Carlo Giuliani, attinto dal un proiettile di un Carabiniere
che nel corso di una manifestazione ha fatto uso delle armi, impone prima
di tutto di valutare se la condotta di PLACANICA sia scriminata dall'art.
53 c.p. che stabilisce la non punibilità per "il pubblico ufficiale
che al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina
di fare uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica, quando vi è
costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere
una resistenza all'Autorità".
Non si tratta della legittima difesa ma di un potere più ampio, in
cui la legittimità della reazione non è subordinata al limite
della proporzione con la minaccia, purché non si eccedano i limiti
della "necessità", perché se questi vengono varcati
ricorreranno gli estremi dell'art. 55 c.p. che punisce l'eccesso colposo,
atteso che anche per i pubblici ufficiali l'uso delle armi costituisce una
"estrema ratio" e dunque deve essere sempre preferito il mezzo
meno dannoso. Ma quando l'uso delle armi sia ritenuto legittimo nel rispetto
della proporzione, il verificarsi di un evento più grave non voluto
non può essere posto a carico del pubblico ufficiale in quanto la
prevedibilità di tale evento è intrinsecamente collegata alla
componente di rischio insito nell'uso dell'arma da fuoco, unica in dotazione
del pubblico ufficiale, e il .
Fine pag 30
suddetto rischio potrebbe scongiurarsi solo rinunciando all'uso dell'arma,
normativamente autorizzato (Fattispecie in cui, riconosciuto leggittimo
l'uso delle armi da parte dei Carabinieri che avevano mirato alle ruote
per fermare un'auto in fuga, è stato escluso che essi potessero rispondere
ex art. 55 c.p. della morte non voluta degli occupanti de l'autovettura
Cass 22.9.200 - Brancatelli).
L'uso di armi o di altro mezzo di coazione fisica (consistente cioè
in una violenza materiale alla persona) non è punibile
- quando il fatto è commesso al fine di adempiere un dovere del proprio
ufficio e per la necessità di respingere una violenza o resistenza
all'Autorità
- quando è autorizzato in modo specifico da una norma giuridica.
In via generale, e dunque senza la necessità di particolari autorizzazioni
legislative, la punibilità è esclusa quando si agisca per
la necessità di respingere una violenza o una resistenza : l'Autorità,
si tratti o no di violenza o resistenza costitutiva di uno dei reati di
cui agli artt. 336 e ss. c. p.
L'art 53 c. p. fa comunque salve, anche nei confronti dei pubblici ufficiali,
le disposizioni di cui agli artt. 51 e 52 c.p. e giustifica il comportamento
del pubblico ufficiale anche quando non sia diretto a reagire al pericolo
di un'offesa ingiusta contro lo stesso pubblico ufficiale, trovando nell'art.
53 c.p. una esimente speciale in virtù anche del fine di adempire
ad un dovere d'ufficio che qualifica la sua condotta.
Si tratta dunque di una disposizione che completa quelle di cui agli artt.
51 e 52 c.p., conferendo una autonoma disciplina all'uso delle armi ed eliminando
qualsiasi dubbio sui requisiti richiesti dalla legge perché il pubblico
ufficiale o il privato non siano punibili.
Trattasi, come si è detto, una scriminante più ampia della
legittima difesa che trova più frequenti applicazioni in ipotesi
di resistenza più che di violenza diretta nei confronti del pubblico
ufficiale, ma è indubbio che il confine tra le due figure giuridiche,
quando l'autore dell'evento lesivo sia appunto un pubblico ufficiale, può
diventare labile.
Non c'è dubbio, sulla base della ricostruzione dei fatti minuziosamente
effettuata, che PLACANICA, comandato in servizio di ordine pubblico, fosse
Fine pag 31
pienamente legittimato a fare uso delle armi quando ricorressero i presupposti
della necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza
all'Autorità. E non vi è parimenti dubbio che la situazione
in cui PLACANICA si è trovato ad agire fosse di estrema violenza
volta a destabilizzare l'ordine pubblico ed in atto nei confronti delle
stesse Forze de l'ordine, la cui incolumità era direttamente messa
in pericolo.
Infatti nel caso in esame non si profilava la necessità di vincere
una violenza secondo un concetto genericamente inteso che ricomprende anche
il mancato rispetto dell'Autorità, bensì della necessità
di difendersi contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta che veniva
portata direttamente alla persona di PLACANICA e di coloro che con lui si
trovavano.
Certamente per il numero dei manifestanti e per le modalità complessive
dell'azione la violenza posta in essere nei confronti di PLACANICA e dell'equipaggio
del "land rover" su cui lo stesso si trovava lo esponeva al pericolo
di gravi danni fisici, come è evidente dalle lesioni riportate dallo
stesso PLACANICA e dal Carabiniere Raffone che sono stati attinti alla testa
ed al volto da grossi pezzi di pietre nonché in altre parti del corpo
mediante l'utilizzo di tavole, travi e bastoni che venivano violentemente
introdotte attraverso i vetri rotti della camionetta.
Si trattava dunque di una situazione di grave pericolo che trova indubbio
riscontro non solo nella documentazione video fotografica agli atti, ma
altresì nelle dichiarazioni degli stessi partecipanti all'aggressione.
Basta ricordare la descrizione che di quegli attimi è stata fatta
dall'anonimo anarchico, nonché le parole di alcuni dei diretti aggressori
del defender:
"
io tentando di fuggire da una via laterale, mi trovo con
circa 400 persone nel tratto di strada che conduce a piazza Alimonda, nella
quale speravo che la situazione fosse più tranquilla e di riprendere
fiato
appena entrati nella via laterale ci troviamo di fronte una cinquantina
di Carabinieri che vedendoci arrivare di corsa, stavamo scappando, si spaventano
correndo via dopo aver spruzzato contro di noi le bombolette con lo spray
urticante.
Continuiamo a correre i carabinieri davanti, noi dietro fino a piazza Alimonda.
Qui inseriscono tra noi e loro due camionette dei Carabinierei che ci fermano
e proteggono la corsa degli agenti.
Delle due camionette giunte sul posto, una si muove subito per raggiungere
il cordone di polizia e carabinieri che si trovava nel tratto di via Caffa
vicino a piazza Alimonda,
Fine pag 32
l'altra incredibilmente si dirige con il lunotto posteriore già
rotto, contro un cassonetto che si incastra fra la jeep e il muro.
A quel punto io sono a lato della camionetta: sul mezzo vedo accalcarsi
diversi manifestanti che sfogano 4 ore di paura ed esasperazione contro
la lamiera
Guardando cosa succede intorno alla camionetta, mi rendo conto che il carabiniere
seduto dietro, sta puntando la pistola e sento che urla "vi ammazzo
tutti porci bastardi!". Mi volto e grido che ha una pistola e sta cercando
di avvisare gli altri del pericolo. In quel momento Carlo Giuliani che ancora
non riconosco è accanto a me e sta guardando per terra. Mentre corro
verso la strada suddetta, sento gli spari, mi volto e vedo il corpo di un
ragazzo a terra, gli altri che si trovano a lato del mezzo di fermano e
si allontanano
La mia impressione è che dal momento in cui
vedo la pistola a quello in cui sento gli spari, siano trascorsi diversi
secondi in cui il carabiniere continuava ad urlare "vi ammazzo tutti".
Preciso inoltre che prima di sparare, a quello che poi saprò essere
Carlo Giuliani, il carabiniere aveva puntato l'arma verso altre persone,
soprattutto verso il ragazzo con la felpa e con il casco nero, che essendosi
accorto della pistola come me, scappa sottraendosi alla mira"e nel
seguito dello stesso interrogatorio ribadisce "cercavamo di passare
da quella parte dicendo "non c'è nessuno", in effetti qua
in via Caffa c'erano 40 carabinieri, stranissimo sembrava che si fossero
persi
saranno stati 50 metri prima dell'imboccatura di piazza Alimonda:
loro erano in 40, noi 400-500 persone che appena ci hanno visto ci hanno
spruzzato con le bombolette in tre, tutto per aria
a quel punto questi
qua scappano, noi siamo a 15-20 metri
Io non ho preso a mazzate la
camionetta non ho preso a sprangate la camionetta
ho tirato un sasso,
forse da 50 metri di distanza
posso anche aver dato dei calci alla
camionetta, ma che io abbia preso qualcosa, ecco un pezzo di ferro ed abbia
dato delle mazzate alla camionetta, ecco io questo non l'ho fatto
può essere che abbia lanciato un sasso, non lo so, non certo comunque
con l'intenzione di volere fare del male a qualcuno, era un momento di paura
prima di tutto
sa se uno mi arriva con la pistola puntata, lo posso
anche capire che prenda l'estintore per togliergli la pistola, ad esempio,
lo posso capire, lo posso concepire
non sono andato li con l'intenzione
di assaltare la jeep
non credo di essere stato intorno a quella jeep
per più di 15-20 secondi, cioè il tempo di vedere questo Carabiniere
sia lateralmente che poi girando che poi sì, prima di questa foto
io ero girato che stavo guardando in direzione di questo ragazzo con la
felpa viola che parla inglese. Tempo di guardarlo, mi sono tolto il fazzoletto
e ho iniziato a gridare di scappare e dopo 15 secondi che la foto è
stata scattata, ho sentito gli spari
insieme a me sono venuti via
una quindicina di persone, tutti gli altri sono rimasti intorno
E'
arrivata con il muso contro il cassonetto dell'immondizia, già con
il finestrino sfondato e già con questa persona comunque stesa all'interno
della camionetta con il braccio con lo scudo verso il finestrino laterale
che guardando la camionetta è il finestrino di sinistra, e con la
pistola in mano
Allora le dico abbiamo visto la camionetta e probabilmente
, le dico probabilmente perché io non posso ricordare cosa mi è
passato nella mente in quel momento perché non me lo ricordo. Se
pensassi con la mia testa di adesso le dico "stavo scappando",
con la testa di quel momento probabilmente, anche perché c'erano
gli altri, pensavo ci fosse molta meno gente, ho visto il nemico nella camionetta,
nella jeep dei carabinieri e gli avrò tirato due pietre
Fine pag 33
Se io avessi voluto fare del male a qualcuno, prendevo assi di legno che sono riuscito a trovare, bastoni, mazze ecc e mi mettevo qua dietro a dare delle mazzate, qua dove c'era il carabiniere dal lunotto come ha fatto questo qua che ha cercato di tirargli la pietra in faccia, io questo non l'ho fatto... se io fossi una persona che comunque ha l'intenzione da quando e' scesa in strada dall'una del pomeriggio, a fare male a qualcuno, in questo caso alle forze dell'ordine, io ne ho avuto possibilita' molto buone, avrei avuto una possibilita' ottima per fare del male a qualcuno e questo non e' successo..." (interrogatorio Predonzani al P.M. in data 6 settembre 2001).
Di ulteriore utilita' per comprendere quanto realmente accaduto in piazza
Alimonda sono le dichiarazioni rese da Monai Massimiliano, presentatosi
spontaneamente al Pubblico Ministero in data 30.8.2001 il quale, a proposito
dell'assalto alla camionetta che ha preceduto la morte di Carlo Giuliani,
ha dichiarato:
"... Durante gli scontri, durante il casino, quando ci caricavano
e caricavano, a quel punto li, siamo al punto di Carlo, io principalmente
ero dalla parte dell'Ottavio Barbieri... io ero li... a cercare di fare
qualcosa, di scappare indietro, oppure di andare avanti, pero' non potevi
andare da nessuna parte: Avanti c'erano loro. Dietro c'era belin un casino
di gente che tirava le pietre. A quel punto cosa e' successo eravamo tuti
li con un po' di gente che io non conosco, un po' perche' aveva il passamontagna,
chi aveva quello chi aveva il fazzoletto, abbiamo visto i carabinieri andare
indietro... Io ho visto la gente che tirava le pietre contro i carabinieri.
I carabinieri andavano indietro, c'era un gruppo che andava avanti e un
gruppo che li voleva chiudere... siamo andati in giu' tirando delle pietre...
i carabinieri correvano indietro e la gente che gli tirava delle pietre...
A quel punto e' successo che i carabinieri sono andati via, noi ci siamo
fermati e queste due jeep sono arrivate a tutto spiano perche'? Boh, sono
arrivate contro di noi chiaramente noi scappavamo; le due macchine una ha
fatto retromarcia dalla Chiesa ed e' riuscita ad andare via e l'altra ha
fatto l'inversione ad U ed e' rimasta incastrata: gli sono arrivati tutti
addosso come si vede; li a 20 metri ho visto sta trave, l'ho presa e ho
dato 3 bastonate contro la camionetta, neanche contro il vetro perche' quando
sono arrivato io era gia' rotto. Ho dato tre colpi sopra la camionetta mentre
arrivava di tutto, poi ho preso il bastone, il vetro era gia' rotto e c'era
il carabiniere che mi guardava... quello che non ha sparato, quello che
mi vedeva con la trave... non ho visto niente neanche la pistola, niente,
poi lasciando il bastone e facendo il giro sentivo dire " dai che forse
lo salviamo, dai" "assassini, assassini, l'hanno ammazzato".
Ho dato 3 bastonate sul furgone, sono andato indietro, c'erano due carabinieri,
quello che non ha sparato che mi guardava, gli sono entrato dentro con la
trave e non so neanche se l'ho preso, l'avro' preso qua nella costola. Lui
si e' abbassato per ripararsi, io mi sono fermato, ho buttato via la trave
e intanto tiravano le pietre; e questo qua ha sparato e io ero sempre li',
cioe' non e' che quando ho buttato la trave sono scappato... quando io ho
dato addosso a lui, e' successo che il tipo ha sparato... Sono loro che
ci hanno attaccato con le Land Rover. E' diverso. Le forze dell'ordine stavano
tornando indietro a piedi e noi correndo siamo arrivati quasi corpo a corpo,
loro sono andati il piu' indietro possibile e noi ci siamo
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fermati, le 2 jeep sono venute incontro. Poi hanno fatto tutta questa retromarcia qua e la jeep si e' fermata e poi ci sono stati i 10 secondi di deliri, di tutta la gente che era li. Io comunque non avrei ammazzato nessuno perche' non sono un delinquente... da quante pietre hanno tirato io non ho sentito che avevano sparato... qualcuno urlava "Bastardi, via" roba di 10 secondi..." e alla domanda di quanta gente vi fosse vicino alla jeep rispondeva " tantissima".
Le fotografie in atti sono oltremodo esplicative della violenza descritta
dagli stessi manifestanti.
Basta visionare le foto da 16 a 20 che mostrano chiaramente un estintore
che, proiettato verso il vetro posteriore ormai rotto del "defender",
colpisce il piede destro di PLACANICA che chiaramente sporge oltre il limite
della ruota di scorta nel tentativo di impedire l'entrata dell'estintore
all'interno della camionetta; quello stesso estintore che alcuni secondi
dopo Carlo Giuliani raccogliera' da terra alzandolo sopra la testa per scagliarlo
nuovamente all'interno della camioneta, come qualcun altro, se non addirittura
lui stesso aveva poco prima tentato di fare visto quanto ha dichiarato al
P.G. in data 23 luglio 2001 Neri Ernesta, titolare del distributore di benzina
della societa' Q8 sito in via Tolemaide, la quale riferiva che poco dopo
le ore 16,00 aveva notato dalla sua abitazione un giovane con il passamontagna
scuro, la canottiera bianca ed i pantaloni scuri che si allontanava dal
distributore con un estintore di cui scaricava il contenuto girando poi
in via Caffa; riconoscendo poi l'estintore asportatole in quello sequestrato
accanto al corpo di Carlo Giuliani.
La violenza dell'assalto posto in essere da numerosi manifestanti, la costante
sassaiola alla quale era sottoposto il "defender" e che causava
danni fisici agli occupanti rilevati dalle consulenze medico legali, l'aggressione
portata agli occupanti dai manifestanti che continuavano a circondare il
mezzo dappresso introducendovi mezzi contundenti e dunque il protrarsi nel
tempo della situazione di pericolo indubbiamente attuale di una ingiusta
offesa all'incolumita' personale di PLACANICA e dei suoi compagni, certamente
rendeva necessaria una difesa che non poteva che sfociare nell'uso dell'unico
mezzo che PLACANICA aveva a disposizione per contrastarla: l'arma.
Infatti il gesto di Giuliani non e' stato una isolata aggressione come ritenuto
dai Difensori dei suoi familiari, ma solo una delle fasi di una violenta
aggressione al
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"defender" posta in essere dalle numerose persone che lo avevano
accerchiato, tentavano di farlo oscillare e, probabilmente, di aprirne il
portellone, come dichiarato da alcune delle persone presenti al fatto, con
il rischio di cagionare direttamente piu' gravi lesioni agli occupanti.
Partendo dalla ipotesi, ormai accertata, che il colpo sparato da PLACANICA
e' stato diretto verso l'alto, non vi e' dubbio che la condotta di PLACANICA,
alla quale e' conseguita la morte di Carlo Giuliani, e' scriminata dall'art.53
c.p., avendo il militare esploso due colpi diretti verso l'alto che seguivano
le numerose quanto inutili intimazioni volte a far cessare la violenza,
uno dei quali per un fattore sopravvenuto ed assolutamente imprevedibile,
ha deviato il proiettile determinando la morte di Carlo Giuliani.
Tutti gli elementi della indagine, della cui completezza non si puo' dubitare,
consentono dunque con certezza di escludere che PLACANICA abbia deliberatamente
diretto i suoi colpi verso Carlo Giuliani; ma quand'anche cio' si fosse
verificato, non vi e' dubbio che il carabiniere legittimato all'uso delle
armi, con la componente di rischio che l'uso di tale strumento di per se'
comporta, si trovava in presenza di un pericolo attuale per la vita o l'integrita'
fisica propria e dei compagni, pericolo gia' concretatosi in atti lesivi
della integrita' fisica e che si faceva vieppiu' violento; e che dunque
legittimamente avrebbe potuto dirigere il colpo d'arma da fuoco contro gli
aggressori al fine di porli nella impossibilita' di proseguire nell'azione
lesiva e pur cercando di limitare il danno in tal modo cagionato (con colpi
diretti ad esempio a non colpire organi vitali), non trattandosi di resistenza
passiva ne' essendosi l'aggressore fatto scudo con un ostaggio: unici casi
in cui dottrina e giurisprudenza concordemente escludono la legittimita'
dell'utilizzo dell'arma direttamente contro l'aggressore.
Quanto sopra consente dunque di ritenere la condotta di PLACANICA scriminata ai sensi dell'art. 53 c.p., tanto piu' che l'uso dell'arma, assolutamente indispensabile, e' stato graduato in modo da risultare il meno offensivo possibile, atteso che i colpi sono stati certamente diretti verso l'alto e solo per un'imprevedibile modifica della traiettoria uno di essi e' andato a colpire Carlo Giuliani.
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La legittima difesa
Per l'ampiezza della disposizione di cui all'art.53 c.p. in virtù
della qualifica dell'agente, e tenuto conto della riserva contenuta in tale
disposizione, occorre esaminare la condotta di PLACANICA anche alla luce
della sussistenza dei più ristretti requisiti richiesti dall'art.52
c.p.,onde verificare se siano ravvisabili nelle circostanze del fatto e
nella reazione posta in essere anche gli elementi per la sussistenza della
più rigorosa causa di giustificazione della legittima difesa.
Si è ampiamente detto della situazione di fatto ed ambientale in
cui PLACANICA si è trovato ad agire. E non vi è dubbio che
in tale situazione, analoga a quella che nel vicino corso Torino aveva poco
prima portato all'incendio di un mezzo blindato al cui interno era stata
lanciata una bottiglia molotov, PLACANICA percepisse come concreto quel
pericolo di attentato alla incolumità sua e dei compagni che effettivamente
sussisteva e che si era già concretato in episodi lesivi ( vista
la documentazione in atti e le lesioni riportate dagli occupanti del "defender");
e che perdurava nonostante le ripetute intimidazioni effettuate mostrando
l'arma.
Basta osservare le numerose foto che mostrano la camionetta sempre accerchiata
dai manifestanti che sfondano i vetri con aste e bastoni che introducono
all'interno con il chiaro intento non solo di danneggiare il mezzo a scopo
di protesta, ma di far del male al suo equipaggio, lanciando all'indirizzo
del mezzo un numero rilevantissimo di pietre molte della quali penetravano
all'interno colpendo gli occupanti, per avere un'idea della violenza in
concreto in atto e dei possibili ulteriori danni che avrebbero potuto essere
cagionati agli occupanti del mezzo.
Né è ipotizzabile quanto sostenuto dalla Difesa degli opponenti
nel corso dell'udienza, secondo cui le lesioni al capo di PLACANICA avrebbero
potuto essere state cagionate dall'urto contro la leva interna del faro
posto sul tetto del "defender" anziché dalla condotta dei
manifestanti.
A parte la considerazione oggettiva che numerose pietre sporche di sangue
sono state rinvenute all'interno del "defender", la leva del faro
posto sul tetto è rivestita di plastica ed inserita in uno snodo
coperto da una cuffia che serve ad orientare il faro e proprio il
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fatto che tale leva sia collegata ad uno snodo rende il congegno opportunamente
privo della rigidezza necessaria a cagionare lesioni al capo di coloro che
si trovino all'interno del "defender" e comunque lesioni lacero
contuse dell'entità di quelle riportate da PLACANICA.
Tornando dunque alla situazione di fatto, non vi è dubbio che la
reazione posta in essere fosse necessaria tenuto conto di tutte le circostanze
dell'azione ed in particolare del numero degli aggressori, dei mezzi dai
predetti utilizzati per l'offesa alle persone, della continuatività
della violenza nonostante plurime intimazioni da parte dei militari, delle
lesioni già cagionate ai predetti e perfino della difficoltà
di allontanarsi dal luogo visto che il motore del "defender" si
spegneva, allontanamento non esigibile ma ciò nonostante tentato.
Ne consegue che anche l'analisi dell'adeguatezza della difesa rispetto all'offesa
in atto, con riguardo alla sostanziale equivalenza dei beni posti in pericolo,
deve risolversi positivamente, concretandosi l'attacco portato al "defender"
dei Carabinieri in atti non solo pericolosi, ma di per sé stessi
già lesivi di diritti ed in particolare della integrità fisica
degli occupanti; ed è incontestabile, alla luce della circostanze
del fatto, che se PLACANICA non avesse estratto l'arma minacciando con essa
i manifestanti ed infine esplodendo i due colpi, l'attacco non sarebbe cessato
e sarebbe stato portato a conseguenze certamente ulteriori e più
gravi e che se l'estintore che già una volta PLACANICA aveva respinto
con un calcio fosse entrato all'interno dell'abitacolo colpendo i carabinieri
già feriti avrebbe cagionato loro lesioni di notevole gravità
se non addirittura conseguenze più gravi.
Pacifica l'attualità del pericolo e l'ingiustizia dell'offesa che
veniva non solo paventata al livello di pericolo, ma che già era
in atto, occorre verificare la sussistenza del requisito della proporzione
anche in considerazione dei mezzi posti a disposizione dell'aggredito e
delle modalità del loro utilizzo.
In tema di proporzione del mezzo di difesa rispetto all'offesa, la Corte
di Cassazione ha più volte chiarito che hai fini della configurabilità
dell'esimente della legittima difesa, il giudizio di proporzione, che deve
essere formulato in riferimento ai mezzi a
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disposizione dell'aggredito ed ai beni tutelati, non può essere
qualitativo e relativistico. Infatti, il raffronto concerne pur sempre il
bene di un aggressore e il bene di un aggredito, il quale, nel difendersi,
non è in grado, nella situazione concreta, di dosare esattamente
il reale pericolo e gli effetti della reazione, sicchè la proporzione
non viene meno quando il male inflitto all'aggressore abbia una intensità
leggermente superiore a quella del male minacciato" (Nella specie,
relativa a ritenuta sussistenza dell'esimente, l'imputato si era difeso
mediante l'uso del fucile, unico strumento di cui in quel momento disponeva,
per neutralizzare l'improvvisa aggressione che la vittima, armata di un
tubo di ferro della lunghezza di circa un metro, aveva dapprima portato
contro il padre dell'imputato medesimo e poi contro quest'ultimo, procurando
loro varie ferite. Cass. Sez I sent. 08284 del 13/04/1987-Catania).
La Corte ha inoltre stabilito che "in tema di legittima difesa, le
espressioni "necessità di difendere" e "sempre che
la difesa sia proporzionata all'offesa", contenute nell'art. 52 cod.
pen.,vanno intese nel senso che la reazione deve essere, nella circostanza,
l'unica possibile perché non sostituibile con altra meno dannosa,
ugualmente idonea ad assumere la tutela del diritto (proprio o altrui) aggredito".(Cass.
Sez I sent. 02551 del 1/12/1995 - P.M. e Vellino)
Tali principi sui quali sono allineate la costante giurisprudenza e la
dottrina dominante, applicate alle circostanze di fatto nelle quali si è
verificata la tragica morte di Carlo Giuliani consentono di ritenere rispettato
anche il requisito della proporzione fra i mezzi offensivi a disposizione
degli aggressori e quelli a disposizione degli aggrediti, che è ormai
pacificamene insito nel concetto do proporzione che deve far riferimento
non solo hai beni in conflitto, di cui si è parlato, ma anche ai
mezzi usati per difenderli.
Mario Placanica aveva a disposizione un solo mezzo per fronteggiare la violenza
posta in essere nei suoi confronti e l'aggressione all'integrità
fisica, se non addirittura alla vita, propria e dei compagni: l'arma.
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Ed anche a questo proposito le risultanze dei fatti depongono nel senso
di un utilizzo di tale mezzo graduato in modo da creare all'offensore il
minor danno possibile, nel tentativo di scoraggiarne comunque l'azione e
di farlo desistere.
La Corte di Cassazione ha infatti anche chiarito che "ai fini della
configurabilità dell'esimente della legittima difesa la proporzione
fra i mezzi difensivi a disposizione dell'aggredito e quelli usati deve
essere valutata, quando a disposizione vi è un solo mezzo ma questo
è suscettibile di usi diversi e graduabili, in termini di raffronto
fra i vari usi possibili e l'uso che in concreto si è scelto di farne
in relazione alle modalità dell'aggressione posta in essere o alle
sue prevedibili conseguenze, essendo una tale situazione del tutto identica
a quella in cui la valutazione deve essere fatta in termini di raffronto
tra più mezzi a disposizione e quello usato. L'uso perciò
di arma da fuoco, quale mezzo di difesa, deve essere contenuto, nel caso
in cui trattasi di un'aggressione al massimo lesiva dell'integrità
personale, in termini di mera apparenza mostrando l'arma e tenendo un atteggiamento
deciso all'uso ovvero limitato all'esplosione di colpi in aria e in terra
ovvero anche contro l'aggressore ma curando di non colpirlo o al massimo
di colpirlo in zone non vitali, e quindi al solo scopo di deterrenza o di
ferire, ma non di togliere la vita"; e dunque "in termini di mera
sentenza o lesione dell'integrità fisica dell'aggressore" (Cass.
20.9.1982 - Tosani).
Orbene, nonostante numerose fotografie mostrino il defender accerchiato
dai manifestanti dal quale spunta la mano di PLACANICA che impugna l'arma
e le dichiarazioni in atti, non del solo indagato ma degli stessi aggressori,
diano atto delle ripetute intimazioni del Carabiniere ad allontanarsi, lo
stesso materiale fotografico mostra chiaramente che tali tentativi di scoraggiare
l'aggressione non trovavano alcuna risposta nella condotta dei manifestanti
che continuavano nella loro esasperata violenza, determinando infine l'indagato
ad avvalersi dell'arma, unico mezzo che aveva a disposizione per contrastare
la violenza in atto.
E tanto pi? la condotta di PLACANICA appare aver rispettato il requisito
della massima proporzione sotto il profilo delle modalit? di utilizzo dei
mezzi a sua disposizione, quando si consideri che se PLACANICA avesse voluto
arrecare un
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sicuro danno a qualcuno dei suoi aggressori avrebbe potuto dirigere l'arma
lateralmente verso i finestrini contro i quali si assiepavano numerosi dimostranti,
mentre le complesse risultanze tecniche danno atto della sicura direzione
verso l'alto dei colpi esplosi al primo dei quali, solo per una tragica
fatalità, è conseguita la morte del giovane Giuliani.
Che dunque PLACANICA potesse intravedere Giuliani, come sostenuto dalla
Difesa degli opponenti e pure ipotizzato dai consulenti del Pubblico Ministero,
o che proprio non l'abbia visto come appare più probabile, sparando
nel punto più alto che la sua posizione gli consentiva e magari accettando
il rischio che il colpo esploso potesse attingere persone che si trovavano
sul luogo dei fatti, il suo comportamento appare scrimi-(?)-ato da una situazione
di legittima difesa, atteso che la intenzionalità nella produzione
dell'evento voluto o anche solo previsto è stata certamente determinata
dalla necessità di difesa di diritti ingiustamente offesi, posta
in essere nel rispetto dei limiti della proporzione sia con riferimento
al valore dei beni posti in essere che ai mezzi a disposizione per la loro
tutela.
Filippo Cavataio
Quanto alla responsabilità di CAVATAIO, autista del "defender"
rimasto bloccato in piazza Alimonda, una sua responsabilità a qualunque
titolo nella morte di Carlo Giuliani non appare in alcun modo ipotizzabile.
Le consulenze medico legali, sulla correttezza delle cui metodologie non
vi è in atti alcun elemento per dubitare, hanno infatti escluso che
le lesioni rilevate sul corpo di Carlo Giuliani nella parte che è
stata arrotata dal "defender" abbiano avuto alcuna rilevanza causale
nel determinarne la morte, trattandosi di lievi lesioni che non hanno determinato
apprezzabili lesioni di organi interni come rilevato nel corso dell'autopsia.
E' stato infatti accertato che le gravissime lesioni cagionati al capo di
Carlo Giuliani dal proiettile esploso dalla pistola di PLACANICA sono state
di tale gravità da "determinare la morte del soggetto nel lasso
di alcuni minuti, in modo diretto ed
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esclusivo, prescindendo da qualsiasi ipotetica altra lesione, presente
a livello toracico-addominale e dovuta a fenomeni compressivi e/o contusivi
da arrotamento".
Ma quand'anche così non fosse stato non si vede quale avrebbe potuto
essere la responsabilità dell'autista del "defender" che
non poteva vedere quanto accadeva dietro al mezzo circondato dai manifestanti,
nè tanto meno accorgersi della caduta al suolo del corpo di Carlo
Giuliani e del suo rotolamento contro la ruota posteriore del "defender".
La richiesta di integrazione dell'indagine
Le considerazioni di cui sopra si ritiene contengano implicita risposta
alle numerose richieste della Difesa delle persone offese di integrazione
delle indagini, che saranno comunque e in modo specifico esaminate.
In particolare i Difensori della famiglia Giuliani ritengono necessarie,
ove non sia accolta la richiesta di imporre al Pubblico Ministero l'imputazione
coattiva ai fini del rinvio a giudizio degli indagati, le seguenti ulteriori
indagini:
- consulenza tecnico legale sulle cause della morte di Carlo Giuliani,
volta in particolare ad accertare se lo stesso fosse ancora vivo nel momento
in cui veniva arrotato dal "defender" e, comunque, a chiarire
se le metodologie di indagine seguite siano state scientificamente corrette
Si è già detto che non vi sono in atti elementi che consentano
di dubitare della scrupolosità degli accertamenti eseguiti e della
correttezza dei metodi di indagine esperiti, di tal chè l'accertamento
richiesto appare non necessario. Va inoltre osservato che le persone offese,
messe in condizione di partecipare all'autopsia disposta sul corpo del giovane
con propri consulenti e dunque di verificare la correttezza dei metodi di
indagine che venivano applicati, non hanno ritenuto di avvalersi di tale
facoltà nè di svolgere propri accertamenti sulla salma del
giovane che anzi è stato cremato appena tre giorni dopo la sua morte,
rendendo, quand'anche fosse utile (il che non è) impossibile qualsiasi
ulteriore accertamento.
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- Audizione del capo della Polizia De Gennaro e del S.Ten. dei Carabinieri
Zappia, in ordine alle direttive imposte per la gestione dell'ordine pubblico
e sulla regolarità dell'utilizzo di "fondine a coscia"
come quella dalla quale PLACANICA risulota aver estratto l'arma dalla quale
ha esploso il colpo che ha colpito Carlo Giuliani.
Anche tale indagine appare del tutto inconferente rispetto all'accertamento
del tragico episodio che ha causato la morte di Carlo Giuliani, atteso che
le direttive impartite per la gestione dell'ordine pubblico non possono
che essere di ordine generale e certamente non contemplano istruzioni relativamente
ad episodi non prevedibili di attacco diretto alle persone dei militari,
quali è stato quello al quale ha reagito il Carabiniere PLACANICA;
la cui condotta, come si è ampiamente detto, è scriminata
sia dall'uso legittimo delle armi che dalla più rigorosa ipotesi
di legittima difesa.
Quanto poi alla richiesta di accertare se fosse regolamentare l'uso delle
"fondine a coscia" e comunque se siano utilizzate da parte di
militari appartenenti all'Arma dei Carabinieri, non si comprende quale apporto
alla indagine tale conoscenza potrebbe portare posto che a nulla rileva
in quale posizione PLACANICA portasse la pistola, di cui nella situazione
descritta, avrebbe legittimamente potuto far uso dovunque l'avesse portata
o altrimenti reperita.
- Indagini sull'identificazione della persona che potrebbe aver lanciato
il sasso che avrebbe deviato la traiettoria del proiettile al fine di assumerne
le dichiarazioni in ordine alla sua traiettoria.
Trattasi di accertamento concretamente impossibile, anche qualora se ne
fosse ravvisata la necessità atteso che non è realistico ritenere
che alcuno dei manifestanti abbia seguito la traiettoria dei sassi dopo
averli lanciati contro il bersaglio che aveva individuato, al fine di verificare
che il lancio fosse andato a segno; preoccupandosi più che altro
di munirsi di nuovi oggetti contundenti del cui lancio fare segno le Forze
dell'Ordine.
Inoltre, quand'anche fosse possibile una dichiarazione in tal senso da parte
dell'ignoto manifestante che paradossalmente è stato, senza volerlo,
la causa della morte del suo
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compagno di protesta, ne sarebbe impossibile l'identificazione e le sue dichiarazioni sarebbero comunque del tutto irrilevanti a fronte dei risultati tecnici acquisiti.
- Nuova audizione di Massimiliano MONAI sul comportamento dei militari
all'interno del "defender", sul numero dei manifestanti che si
trovavano vicinio al veicolo e su chi effettivamente all'interno del "defender"
impugnasse l'arma, alla luce di quanto dichiarato dall'indagato nel corso
di una intervista; nonchè nuova audizione di Eurialo PREDONZANI su
analoghe circostanze sulla posizione di Giuliani prima di essere attinto
dal colpo mortale, su quanti vetri del "defender" fossero rotti.
Le dichiarazioni che, in epoca molto vicina ai fatti e dunque quando il
ricordo ne era più vivido, Monai e Predonzani hanno ritenuto di rendere
presentandosi spontaneamente al Pubblico Ministero per riferire quanto a
loro conoscenza in merito ai fatti di cui erano stati protagonisti ed alla
tragica morte di Carlo Giuliani, rendono del tutto inutili nuove audizioni;
trattasi infatti di dichiarazioni che riferiscono particolari estremamente
precisi che hanno trovato riscontro nel materiale video fotografico in atti,
tanto da costituire importante riscontro ai risultati delle indagini tecniche,
mentre le differenti dichiarazioni che gli indagati, ed in particolare Monai,
hanno reso ad organi di stampa o televisioni non hanno alcuna veste processuale
e comunque il loro contenuto non rende necessario alcun chiarimento alla
luce della precisa ricostruzione effettuata nella immediatezza del fatto
e che ha trovato riscontro in dati oggettivi, quali fotografie e filmati.
Nè appare rilevante sapere quanti vetri del "defender"
fossero rotti posto che è incontestabile che erano rotti alcuni vetri
sul lato destro ed il vetro posteriore.
Audizione di Marco D'Auria per avere la conferma che in Piazza Alimonda non sono state lanciate "molotov", come invece avrebbe ipotizzato PLACANICA, nonch? per accertare la distanza alla quale si trovava quando ha scattato la fotografia sulla quale si sono basati i consulenti del Pubblico Ministero per effettuare la ricostruzione balistica.
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Anche tale richiesta non appare destinata ad apportare alcun contributo
alla indagine posto che la fotografia del D'Auria non ha costituito che
un riferimento per determinare la posizione in cui Giuliani si trovava quando
è stato attinto dal colpo d'arma da fuoco; la distanza della vittima
dal "defender" è stata infatti calcolata tenendo conto
della posizione assunta dalle persone che compaiono nelle fotografie con
riferimento ad elementi fissi quali arredi e segnalazioni stradali rispetto
ai quali sono state effettuate misurazioni concrete e trova conferma nelle
dichiarazioni rese dalle persone che si trovavano vicine a Giuliani.
Quanto poi al fatto che PLACANICA avrebbe ipotizzato che in piazza Alimonda
siano state esplose "molotov", come sembrerebbe dalla richiesta
dell'ulteriore accertamento, trattasi di affermazione non esatta. PLACANICA
infatti non ha mai affermato che in piazza Alimonda sono state esplose "molotov",
limitandosi a riferire che temeva che ciò potesse avvenire.
- Audizione del m.llo Primavera sui tempi di rottura del vetro posteriore
del portellone del defender.
Sulla circostanza che il vetro non sia stato rotto dal colpo di pistola
di PLACANICA non vi sono dubbi, essendo evidente dalle fotografie che mostrano
la mano di PLACANICA che impugna la pistola per minacciare i manifestanti,
che il vetro era gi? stato infranto probabilmente dal lancio di pietre,
ben prima che PLACANICA esplodesse il colpo che ha causato la morte di Giuliani.
N? la diversa percezione da parte di colui che si trovava su un altro "defender"
ha influenza sulla ricostruzione dei fatti, pacificamente ed in modo tranquillante
accertati nella loro oggettivit?.
- Acquisizione delle riprese effettuate in piazza Alimonda dai due Carabinieri
che avevano telecamere sui caschi "etichettate e consegnate al Col.
Leso".
Trattasi di materiale gi? in atti come risulta dalla comunicazione dei Carabinieri
di Genova in data 13.9.2001 che d? atto della trasmissione al Pubblico Ministero
di 17 videocassette, 15 delle quali relative ad immagini riprese in varie
zone della citt?, fra cui via Caffa dalle telecamere installate sui caschi
protettivi di alcuni militari; nonch?
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della trasmissione di 2 videocassette contenenti riprese effettuate dall'elicottero dell'Arma.
- Audizione dell'appuntato Valerio Mattioli sui motivi della perdita dell'incamiciatura
del proiettile.
La richiesta della Difesa delle persone offese si basa sulle dichiarazioni
rese spontaneamente dal Mattioli al quale "risulta essere pratica frequente
intagliare la punta di un proiettile al fine di fargli acquisire un potere
dirompente maggiore" escludendo automaticamente "l'intenzione
di far uso della propria arma da fuoco a scopo intimidatorio. Essi servono
per uccidere al primo colpo".
Preso atto della conoscenza di tale pratica da parte del Mattioli non si
comprende quale utilità potrebbe avere la sua audizione da parte
del Pubblico Ministero a fronte dei risultati delle consulenze balistiche
disposte che si basano su riscontri oggettivi; laddove l'ipotesi del Mattioli
non può essere considerata se non quale raro malcostume, che non
si comprende per quale motivo e sulla base di quali dati oggettivi dovrebbe
attribuirsi al Carabiniere PLACANICA atteso altresì che gli ulteriori
colpi sequestrati nel caricatore della pistola a lui in dotazione risultavano
perfettamente regolari.
- Consulenza tecnica sul defender volta ad accertare le cause che hanno
determinato il danno presente sul montante superiore dell'automezzo sopra
la seconda "I" della scritta "CARABINIERI".
Si ? gi? ampiamente trattato degli accertamenti effettuati per determinare
l'origine dei danni al portellone posteriore, certamente cagionati dal lancio
di pietre ed oggetti contundenti, che piovevano in grande quantit? sul mezzo;
ed ? pacifico che anche il danno specificamente indicato non pu? avere diversa
origine.
L'accertamento nuovamente richiesto dunque non ? in grado di dissipare i
dubbi della Difesa degli opponenti circa l'impatto del proiettile con un
calcinaccio, non potendosi certamente ipotizzare che un solo sasso sia stato
scagliato contro il mezzo che risulta in pi? punti ammaccato e perso (preso
- cos? nel testo) atto che gli oggetti che attraversavano il teatro dei
fatti e venivano scagliati contro i mezzi delle Forze dell'ordine erano
numerosissimi ed
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hanno causato non solo lesioni alle persona , ma anche vistosi danni alla carrozzeria del "defender".
- Consulenza tecnica collegiale sui bossoli in sequestro per accertare
da quali armi sono stati sparati, estendendo l'accertamento alle armi di
tutti gli appartenenti alle Forze dell'ordine presenti in piazza Alimonda
nel momento in cui èstato colpito Carlo Giuliani.
Trattasi com'è evidente di accertamento privo di concreta rilevanza.
Non vi è dubbio infatti, per ammissione dello stesso indagato e per
i risultati delle consulenze effettuate, che il colpo mortale che ha attinto
Carlo Giuliani è stato esploso dalla pistola dello stesso PLACANICA.
Gli accertamenti a suo tempo disposti dal Pubblico Ministero per verificare
se altri appartenenti alle Forze dell'Ordine avessero esploso colpi d'arma
da fuoco nell'area di piazza Alimonda in data 20 luglio 2001, hanno infatti
avuto risposta negativa, salvo per ciò che concerne l'esplosione
di colpi a scopo intimidatorio avvenuta in via Tolemaide all'incrocio con
la via Armenia da parte del Carabiniere Errichiello Massimiliano al fine
di allontanare alcuni manifestanti che avevano accerchiato altro mezzo blindato
facendolo segno di colpi di pietre ed essendo armati di spranghe, pietre
e picconi.
***
Preso altresì atto dei rilievi della Difesa degli opponenti sul fatto che numerosi atti di indagine siano stati delegati ai Carabinieri e che molte audizioni siano avvenute in presenza di appartenenti all'Arma, si osserva che tali considerazioni possono avere poteri suggestivi, ma nulla hanno a che vedere con ciò che davvero si è verificato in piazza Alimonda portando alla tragica morte del giovane Giuliani, le cui drammatiche fasi sono state documentate da copioso materiale video fotografico in atti e dalle
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dichiarazioni degli stessi protagonisti della vicenda con una dovizia di
mezzi e particolari che non pu? e non deve consentire di spostare l'attenzione
su considerazioni del tutto irrilevanti.
Il materiale di cui si è detto ed i lunghi e complessi accertamenti
tecnici espletati che non hanno trascurato di prendere in considerazione
qualunque ipotesi che consentisse di arrivare ad una ricostruzione dei fatti
aderente alla realtà, hanno consentito di raggiungere proprio tale
obbiettivo e dunque di ritenere provato che il Carabiniere PLACANICA ha
agito in presenza di causa di giustificazione che esclude la punibilità
del fatto; e che non vi sono elementi che consentono di ravvisare responsabilità
del Carabiniere CAVATAIO nella morte di Carlo Giuliani.
P.Q.M.
visto l'art.409 c.p.p.
dichiara infondata l'opposizione e dispone l'archiviazione del procedimento
e la restituzione degli atti al Pubblico Ministero in Sede.
Dispone la restituzione agli aventi diritto delle armi e delle munizioni
in sequestro, di tutto il materiale in dotazione alle Forze dell'Ordine
e del telefono cellulare Panasonic previa identificazione dell'intestatario.
Dispone la restituzione ai familiari di Carlo Giuliani degli effetti personali
del congiunto e di somma di lire 64.700 in sequestro.
Ordina la confisca del restante materiale in sequestro.
Delega per le restituzioni Ufficiali di P.G. della Digos di Genova, con
facoltà di subdelega.
Manda alla cancelleria per quanto di competenza.
Genova, 5 maggio 2003
IL GIUDICE
Dott.ssa Elena Daloiso