Ordinanza Archiviazione Diaz

N 13104/01 RG notizie di reato

N 11721/01 RG GIP

TRIBUNALE DI GENOVA

UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI

Il Giudice dr. Anna Ivaldi,

vista la richiesta di archiviazione presentata dal PM il 4.12.02;

letti gli atti, rileva quanto segue:

nella tarda serata del 21.7.01, la polizia compiva un'irruzione nella scuola
Diaz, edificio destinato ad accogliere i manifestanti giunti a Genova per il
vertice G8 che si sarebbe concluso il giorno successivo al fine di eseguire
una perquisizione ai sensi dell'art. 41 TULPS; l'operazione portava al
sequestro di una serie di oggetti e all'arresto degli attuali 93 indagati.
Nel verbale d'arresto i fatti venivano così riferiti:

a.. Alle ore 22.30 un contingente della Polizia di Stato, nel transitare
in via Cesare Battisti davanti alla scuola, era stato "fatto oggetto di un
violento lancio di oggetti contundenti da parte di numerose persone";
supponendosi per questo una cospicua presenza nella scuola di appartenenti
alle "tute nere", era stato predisposto un intervento finalizzato alla
ricerca di armi e materiale esplodente, all'individuazione degli autori del
lancio di oggetti sul contingente della Polizia di Stato e dei responsabili
dei disordini verificatisi nei giorni precedenti;


b.. All'arrivo della polizia, un gruppo i giovani aveva chiuso il cancello
di accesso, che era stato forzato utilizzando un furgone dei Reparti Mobili
della P.S.; nell'atrio (o più esattamente, nel cortile) della scuola il
personale operante "veniva fatto oggetto di un fittissimo lancio di oggetti
di ogni genere";


c.. Dopo che la polizia aveva forzato il portone di ingresso della scuola,
i giovani presenti all'interno avevano opposto un'ulteriore resistenza,
"dapprima ingaggiando colluttazioni con i procedenti ed in seguito
disperdendosi per i vari piani dell'edificio anche per garantirsi la
possibilità di poter tendere inaspettatamente ogni sorta di agguato";


d.. In tale fase l'agente Massimo NUCERA del I Reparto Mobile veniva
accoltellato al torace; non veniva ferito perché indossava un giubbotto
protettivo;


e.. Veniva sequestrata una serie di oggetti; coltelli multiuso e da
cucina, attrezzi da lavoro (pale, picconi e caschi da cantiere), maschere
antigas e maschere da sub, abbigliamento nero, bandiere e striscioni;
venivano sequestrati anche occhialetti da piscina, macchine fotografiche,
chiavi, walkman e telefoni cellulari; al piano terra, in prossimità
dell'entrata venivano infine trovati "alcuni ordigni del tipo bombe molotov"
(nel verbale non ne viene specificato il numero);


f.. In seguito ai fatti «risultavano feriti numerosi giovani, alcuni dei
quali ancora ricoverati nelle strutture ospedaliere cittadine e molti
appartenenti delle Forze dell'Ordine"


g.. Venivano ipotizzati i reati di coi gli art. 416, 419, 420, 582, 336,
337 e 339 co 2 110 cp, 21. 895/67.


II PM chiedeva la convalida degli arresti e l'applicazione della misura
della custodia in carcere nei confronti dei 78 stranieri arrestati,
ritenendo per essi sussistenti esigenze cautelari attinenti il pericolo di
inquinamento probatorio, il pericolo di fuga e il pericolo di recidiva;
disponeva invece la liberazione dei 15 arrestati italiani per i quali
escludeva il pericolo di fuga; i reati in relazione ai quali il PM formulava
le sue richieste erano quelli previsti dagli art. 337 - 339, 56 - 61 n. 2 e
10 - 582 - 583 cp, 41. 110/75, 21. 895/67 e 416 cp.

Per il numero degli arrestati ed essendo gli stessi stati tradotti in Case
Circondariali ubicate in diverse città, mentre alcuni erano ricoverati
presso strutture ospedaliere genovesi, le udienze di convalida dell'arresto
vennero tenute, oltre che da questo giudice per le indagini preliminari,
titolare del procedimento, anche da altri nove giudici. L'arresto non venne
convalidato che per dieci indagati e ad uno di essi venne applicata la
misura della custodia in carcere, poi revocata dal Tribunale per il Riesame.
In tutti gli altri casi la convalida venne negata in quanto, pur non
escludendosi la commissione dei reati ipotizzati, non vi erano elementi
sufficienti per l'attribuzione della responsabilità ai singoli, per la
genericità dei verbali d'arresto e di sequestro.

Concluse le udienze di convalida, gli stranieri vennero immediatamente
espulsi dal territorio nazionale. Molti di essi vennero poi sentiti per
mezzo di rogatorie internazionali.

Al termine degli interrogatori, i giudici che li avevano effettuati
segnalarono alla Procura Generale presso la Corte d'Appello di Genova e alla
Procura della Repubblica le condizioni fisiche in cui si trovava la maggior
parte degli arrestati (che presentavano ingessature, punti di sutura,
vistosi ematomi, medicazioni sul capo) e quanto dagli stessi riferito circa
il fatto di essere stati ripetutamente è ingiustificatamente colpiti con
calci e manganellate e mobilia che veniva loro scagliata addosso.

Seguirono le denunce e le dichiarazioni di molti degli arrestati, in gran
parte raccolte all'estero, concernenti il comportamento violento della
polizia. Ciò diede inizio ad un altro procedimento (n. 14525/01) nel quale
venivano ipotizzate responsabilità degli operatori di polizia che
parteciparono all'operazione nella scuola DIAZ, sia per le lesioni subite
dagli arrestati, sia per ipotesi di falso in relazione a quanto attestato
nei verbali di arresto e di perquisizione e nelle relazioni di servizio.

Pertanto, relativamente ad un unico fatto storico, sono in corso due
distinti procedimenti e in questo procedimento sono confluiti in copia atti
dell'altro.

II verbale d'arresto reca quattordici firme illeggibili. Tra i firmatari
dello stesso, sulla base delle dichiarazioni di MORTOLA (DIGOS Genova); si
individuano i seguenti funzionari: DOMINICI (Squadra Mobile), DI SARRO
(DIGOS Genova), CALDAROZZI (SCO), FERRI (Squadra Mobile di La Spezia), GAVA
(Squadra Mobile di Nuoro), DI BERNARDINI (Squadra Mobile di Roma), PIFFERI
(DIGOS Padova) NUCERA e PANZERI, rispettivamente agente ed ispettore del
Reparto Mobile di Roma).


La richiesta di archiviazione non concerne né il reato cui all'art. 416 cp,
per il quale il PM ha disposto la separazione, essendo tuttora in corso
indagini, né l'episodio dell'accoltellamento riferito da NUCERA,
relativamente al quale nella richiesta di archiviazione si legge che ne è
stata disposta la separazione in quanto una consulenza tecnica, disposta nel
procedimento avente ad oggetto eventuali responsabilità penali della
polizia, ha concluso per l'incompatibilità dei tagli presenti sugli
indumenti del predetto "con quelli ottenuti sperimentalmente secondo le
dinamiche che è stato possibile evincere dalle dichiarazioni, dell'agente".


La questione della riferibilità o meno agli arrestati o ad alcuni di essi
dei reati ipotizzati deve essere preceduta dalla valutazione circa la
sussistenza o meno di tali reati.

Pur procedendo, come si è detto, nei confronti dei firmatari degli atti per
il reato di falso, la Procura nel richiedere l'archiviazione conclude, sulla
base anche di quegli atti, affermando la sussistenza dei reati di resistenza
aggravata, furto aggravato, porto di oggetti atti ad offendere;
l'archiviazione viene infatti richiesta "perché è risultata carente
nell'individuazione soggettiva dei responsabili delle varie ipotesi
criminose descritte nelle comunicazione iniziale".

Solo per quanto concerne le due bottiglie molotv indicate nei verbali di
arresto e di sequestro, il PM esclude che la loro detenzione possa essere
sia pur genericamente attribuita agli indagati di questo procedimento. Tale
conclusione è del tutto condivisibile: dalle indagini svolte nel
procedimento n. 14525/01 è emerso che le due molotov che secondo il verbale
di perquisizione sarebbero state trovate nella sala d'ingresso ubicata al
piano terreno della DIAZ, vennero invece trovate parecchie ore prima della
perquisizione alla scuola e in tutt'altro luogo (Corso Italia), come risulta
dalle SIT rese al PM da GUAGLIONI, BURGIO e DONNINI.

Preliminarmente, si osserva che non viene preso in considerazione l'episodio
concernente l'aggressione di un contingente della Polizia di Stato che
sarebbe stata effettuata da persone non identificate qualche ora prima
dell'irruzione alla Diaz: l'episodio è infatti estraneo alle contestazioni
mosse agli indagati, contestazioni che riguardano il comportamento dei
medesimi in un momento successivo e, cioè, nella fase immediatamente
precedente la perquisizione e nel corso della stessa.

Per quanto riguarda l'esito della perquisizione, si osserva che nella
richiesta di archiviazione si ipotizza il reato (non contestato nella
richiesta di convalida dell'arresto e di misura cautelare) di furto
aggravato con riferimento ad alcuni attrezzi propri dell'edilizia, quali
mazze, picconi ecc. In proposito, dalle SIT rese da GABURRI è emerso che
nella scuola erano in corso lavori edili, che erano stati temporaneamente
sospesi; il materiale utilizzato per tali lavori era stato riposto in un
vano ubicato nel sottoscala, le cui porte erano state chiuse con lucchetti;
rientrato nella scuola il 26.7.01, il teste constatava che una delle porte
era stata scardinata e che mancava de1 materiale (relativamente al quale non
venne richiesta al teste una precisa indicazione). Non vi sono tuttavia
elementi sulla base dei quali si possa in qualche modo attribuire il furto
di tale materiale agli attuali 93 indagati o ad alcuni tra loro (come già si
è detto comunque non individuabili sulla base degli atti, secondo quanto
sostenuto dal PM). Infatti a tale conclusione si perverrebbe solo se si
potesse affermare con qualche certezza (e si vedrà in seguito perché ciò non
è possibile) che coloro che si trovavano nella scuola lanciarono sugli
agenti, nella fase precedente l'irruzione della polizia o ne1 corso della
stessa, gli attrezzi, dopo essersene impossessati forzando la protezione
posta davanti al vano sottoscala. Ma se tale affermazione non è possibile,
non vi sono elementi che consentano di attribuire neppure in termini
generici il furto agli indagati. L'accesso al sottoscala può infatti essere
stato forzato da chi aveva occupato la scuola nei giorni precedenti il 21
luglio ovvero quella sera stessa dagli agenti nel corso della perquisizione,
per accertarsi che non vi fossero persone o cose nascoste. Rileva in
proposito la circostanza che dalla relazione di CENNI, caposquadra del
Reparto Mobile, risulta che questi, nel corso dell'operazione effettuò un
controllo proprio nel sottoscala, constatando che i locali erano aperti ma
vuoti e che c'erano due porte di ferro regolarmente chiuse; nella relazione
non viene data alcuna indicazione circa il fatto che le porte risultassero
scassinate. Anche il caposquadra LUCARONI, che dichiara di essersi recato
con i suoi uomini ne1 sottoscala e di averlo velocemente esaminato, non
accenna in alcun modo a1 fatto che lo stesso risultasse scassinato.

In relazione al materiale in sequestro rimane dunque come sola ipotesi di
reato (essendo gran parte del materiale - thermos, indumenti vari maschere
da sub, cellulare, macchine fotografiche, rullini e floppy disk ecc. - del
tutto irrilevante) la contravvenzione di cui art. 4 della l. 110/1975
(vennero infatti trovati alcuni coltelli di tipo svizzero e multiuso),
contravvenzione peraltro non legittimante l'arresto in flagranza.

Certamente più complessa è la ricostruzione di quanto accadde nei momenti
che precedettero l'irruzione della polizia e nel corso della stessa. Si
tratta qui di vedere se siano astrattamente configurabili atti di resistenza
aggravata, di lesioni aggravate e di tentate lesioni gravi a carico delle
persone che si trovavano nella scuola DIAZ, prima di affrontare il problema
dell'attribuibilità in concreto a tutti o ad alcuni degli arrestati di tali
atti.

Prima di procedere a tale ricostruzione, deve premettersi che la circostanza
che siano emersi elementi che hanno indotto il PM a ipotizzare il reato di
falso in relazione ai verbali (si richiamano qui le osservazioni svolte
circa quanto è emerso in relazione al ritrovamento delle molotov) esclude
che da tali verbali possa desumersi alcuna certezza circa l'effettivo
svolgimento dei fatti; inoltre, nel valutare le dichiarazioni rese dai
funzionari non può essere trascurato il fatto che gli stessi sono a loro
volta indagati in relazione alla vicenda DIAZ nel procedimento 14525/01.

A fronte di quanto riportato nel verbale d'arresto (e nelle relazioni di
servizio, di cui si parlerà in seguito) vi sono le dichiarazioni» rese dagli
arrestati in sede di udienza di convalida e, nel procedimento 14525/01, in
sede di denuncia e di interrogatorio di persona indagata in procedimento
connesso. Secondo (tali dichiarazioni nella tarda serata del 21 luglio 2001
un numero rilevante di forze dell'ordine si sarebbe portato nei pressi della
scuola DIAZ; avrebbe quindi sfondato con un furgone il cancello» attraverso
il quale si accede al cortile della scuola (cancello che era stato chiuso
dall'interno da persone che poi si rifugiarono nella scuola); la polizia
quindi, senza dare alcun avvertimento, avrebbe sfondato le porte
dell'edificio, davanti alle quali qualcuno, dopo averle chiuse, aveva posto
dei banchi e delle panche; l'ingresso della polizia non sarebbe stato
preceduto da alcun lancio di oggetti sui medesimi (o, quantomeno, i 93
indagati negano di aver effettuato tale lancio e di aver visto qualcuno
effettuarlo); appena entrati gli agenti si sarebbero avventati brandendo i
manganelli contro coloro che si trovavano al pianterreno, sebbene questi
avessero alzato le mani e non avessero opposto alcuna resistenza, una parte
degli agenti sarebbe subito salita ai piani superiori, dove vi erano alcune
persone ed altre, spaventate, vi erano salite cercando rifugio; qui, persone
che stavano contro il muro con le mani alzate, sarebbero state prese a
manganellate e, pur avendo ubbidito all'ordine di gettarsi a terra,
sarebbero state di nuovo colpite con i manganelli e con calci; quindi,
coloro che si trovavano ai piani superiori sarebbero stati condotti nella
palestra al primo piano e, mentre scendevano le scale, nuovamente presi a
manganellate; durante tutta l'operazione, gli indagati sarebbero stati
insultati e minacciati, sebbene non opponessero alcuna resistenza e fossero
terrorizzati dalla brutale e gratuita violenza della polizia.

La valutazione delle dichiarazioni degli indagati, sulle quali si fonda tale
ricostruzione dei fatti deve essere fatta sulla base di eventuali riscontri.

Un primo riscontro deve individuarsi nella concordanza delle dichiarazioni e
in particolare di quelle rese in sede di convalida dell'arresto, in
proposito sottolineandosi il fatto che i 78 stranieri arrestati vennero
condotti in quattro diverse carceri (Pavia, Voghera, Vercelli e
Genova-Marassi), mentre alcuni di essi vennero interrogati mentre erano
ricoverati presso gli ospedali civili di Genova. La circostanza rende del
tutto improbabile l'eventualità che gli stessi abbiano potuto concordare tra
loro le versioni ed attribuisce quindi particolare valore al fatto che i
racconti coincidano anche su punti specifici. Così, molti di coloro che si
trovavano al piano terra al momento dell'irruzione (HAGER, ALLUEVA,
MARTINEZ, LANASPA, MOSSO, MORET, BALBAS, NOGUERAS) riferiscono di banchi e
sedie scagliati contro di loro dagli agenti; altri che si trovavano al primo
piano dicono di essere stati fatti mettere a terra e poi colpiti nuovamente,
fino all'arrivo di un funzionario che ordinò agli agenti di mettere fine al
pestaggio (POLLOK, CANNIESCK, BARRINGHANS, ALBRECHT), altri ancora
riferiscono di insulti e di minacce di morte profferite dagli agenti mentre
li picchiavano (ALBRECHT, GALLOWAY, DOHERTY, OLSSON, BRUSCHI: "ci gridavano
che ci avrebbero ammazzati perché nessuno sapeva che eravamo lì").

Appena liberati, gli stranieri vennero raggiunti da provvedimenti di
espulsione, circostanza che porta ad escludere che gli stessi possano avere
concordato la versione dei fatti con quelli tra i quindici italiani che
vennero successivamente sentiti dal PM. Quindi anche le dichiarazioni rese
da questi ultimi costituiscono riscontro a quanto dichiarato
nell'immediatezza dei fatti dagli arrestati stranieri. Inoltre, due degli
italiani, PANCIOLI GUADAGNUCCI e CESTARO, vennero sentiti dal PM il 23.1.01
mentre si trovavano ricoverati presso l'Ospedale San Martino per le lesioni
riportate nel corso dell'operazione presso la scuola DIAZ. Le versioni di
entrambi (che al momento dell'irruzione erano nella palestra) coincidono con
quanto riferito al GIP dagli stranieri, circa il fatto che le persone
vennero colpite dalla polizia sebbene nessuna resistenza venisse da loro
opposta. Analoghe conferme si trovano nelle dichiarazioni rese al PM dagli
arrestati italiani (che, come si è detto, nulla potevano aver concordato con
gli stranieri, espulsi il 25.7.01) sia nella descrizione dei fatti, sia nei
particolari (ad es. PRIMOSIG e GALANTE confermano gli insulti e le minacce
ricevuti durante il pestaggio, GALANTE anche il fatto che gli agenti
lanciarono sedie addosso alle persone che si trovavano nella palestra).

Ancora vi è la conferma rappresentata dalle dichiarazioni rese da Michel
Roland GIESER; questi, presentatesi alla Sezione di PG della Procura il
22.7.01 e poi sentito dal PM il 16.8.01, riferiva di essersi trovato nella
scuola al momento dell'irruzione della polizia; precisava che alcune persone
avevano messo dei banchi davanti alla porta, sebbene altri dicessero loro di
non farlo; che la porta era stata sfondata dalla polizia; che egli con altri
era salito al primo piano, dove tutti si erano sdraiati per terra con le
gambe e le braccia distese (GIESER non sa se per iniziativa propria o se
perché veniva loro ordinato dagli agenti); che, nonostante la posizione
assunta dai presenti (che evidentemente non opponevano alcuna resistenza)
gli agenti avevano cominciato a picchiare tutti con manganellate e calci,
finché un funzionario aveva gridato "basta", senza con ciò riuscire a
interrompere il pestaggio, che era cessato solo dopo che l'ordine era stato
ripetuto; il teste aggiungeva che tra i feriti vi era una ragazza con i
capelli rasati che appariva in condizioni particolarmente gravi (JONASCH,
della quale parleranno anche altri tra i quali FOURNIER; circa le lesioni
subite, JONASCH, nell'interrogatorio reso al GIP mentre si trovava
ricoverata presso l'Ospedale San Martino per frattura cranica, ha dichiarato
che, mentre si trovava al primo piano con le mani alzate, un poliziotto le
era venuto addosso con il manganello; aveva perso conoscenza e aveva ripreso
i sensi solo due giorni dopo); quando erano arrivate le ambulanze, egli
aveva sceso le scale accompagnando un ragazzo ferito alla testa che
sanguinava copiosamente ed era poi riuscito a portarsi all'esterno della
scuola. Le dichiarazioni di GIESER, che confermano quelle rese dagli
arrestati che si trovavano al primo piano della scuola, sono meritevoli di
attenzione; si tratta infatti di soggetto non indagato, che si è presentato
spontaneamente alla PG subito dopo i fatti, in un momento in cui non poteva
avere alcuna conoscenza delle altrui dichiarazioni (che ancora neppure erano
state rese; gli interrogatori degli arrestati avranno luogo infatti soltanto
il 25.7.01) GIESER ha presentato querela per le lesioni subite, lesioni
attestate da un referto dell'Ospedale Maggiore di Milano del 22.7.01. .

Un'importante conferma della versione degli indagati proviene poi proprio
dalle dichiarazioni di molti operatori di polizia. Circa tali dichiarazioni
deve premettersi che esse, pur non consistendo in vere e proprie ammissioni,
hanno però un particolare valore, in quanto chi le ha rese ha nella sostanza
smentito la versione dei fatti contenuta nei verbali; è quindi arduo
ipotizzare che la scelta di rendere tali dichiarazioni sia stata ispirata da
altro che dal rispetto della verità.

Prima di passare ad esaminare complessivamente le dichiarazioni degli
operatori di polizia, deve premettersi che i funzionari interrogati hanno
reso versioni discordanti circa l'ingresso nella scuola, tutti attribuendo
ad altri di esservi entrati per primi e ostacolando così l'identificazione
(peraltro certamente più rilevante nel procedimento 14525/01 che in questa
sede) degli operatori che, dopo lo sfondamento delle porte, entrarono per
primi. All'operazione partecipavano il Reparto Mobile di Roma diretto da
CANTERINI (circa 60/70 uomini), personale delle Squadre Mobili di varie
Questure e personale del Sevizio Centrale Operativo (SCO), diretto da
GRATTERI. Tutto il personale si recò presso la scuola incolonnato in due
gruppi, guidati rispettivamente dai funzionari DIGOS MORTOLA e DI SARRO.
Quanto allo scopo e alle modalità dell'operazione, si osserva che secondo
quanto dichiarato dai funzionari che vi parteciparono, essa era diretta
all'esecuzione di una perquisizione ai sensi dell'art. 41 TULPS; compito del
Reparto Mobile era quello di garantire che essa avvenisse in condizioni di
sicurezza. Peraltro, neppure su tale punto vi è concordanza di versioni o,
quantomeno, chiarezza; nelle relazioni di CANTERINI e di FOURNIER si legge
infatti che scopo dell'operazione era lo sgombero dell'Istituto DIAZ (rel.
CANTERINI del 27.7.01) ovvero "l'arresto di personaggi di spicco dell'area
anarco-insurrezionalista rifugiatisi in un edificio occupato abusivamente"
(rel. FOURNIER).

Tutti coloro che sono stati identificati come firmatari del verbale
d'arresto hanno dichiarato di non avere assistito ad atti di resistenza
commessi nella scuola, ma di averne appreso da altri e, in particolare, da
CANTERINI, che firma anche una relazione allegata al verbale d'arresto in
cui parla di tali atti, scrivendo di aver incontrato nella scuola una
"vigorosa resistenza da parte di alcuni degli occupanti", che, approfittando
del tempo occorso per forzare la porta, durante il quale era caduta una
pioggia di oggetti contundenti e, in particolare bottiglie, si erano armati
di spranghe e bastoni. Tuttavia il dirigente del Reparto Mobile di Roma, in
una successiva relazione datata 27.7.01 scrive invece che al momento
dell'ingresso si trovò con il suo vice FOURNIER in posizione arretrata; che,
riuscito ad entrare, vide dei giovani rannicchiati contro il muro, alcuni
dei quali feriti alla testa; che una scena simile lo attendeva al piano
superiore, dove notò una ragazza dai capelli rasati con un'importante ferita
al capo (JONASCH di cui si è già detto) e dove udì FOURNIER ordinare di
riporre lo sfollagente. Nell'interrogatorio del 21.9.01 (reso nel
procedimento n. 14525/01) precisa ulteriormente che quanto da lui riferito
nella prima relazione era frutto di sue deduzioni, ovvero di quanto dettogli
da operatori non del suo reparto, operatori che non sa indicare; quanto alla
fase immediatamente precedente l'ingresso nella scuola, nell'internrogatorio
del 21.9.02 chiarisce che il lancio di oggetti in realtà non era stato
fittissimo ed anzi che aveva soltanto percepito "qualcosa che cadeva sopra
gli scudi".

Vi sono poi in atti relazioni redatte qualche giorno dopo i fatti (recano
tutte la data del 27.7.01) da FOURNIER e dai caposquadra del Reparto Mobile.

La relazione di FOURNIER e le sue dichiarazioni nell'interrogatorio del
21.9.01 sostanzialmente confermano la versione degli arrestati; secondo
quanto riferito dal funzionario, infatti, una fiumana di operatori si
accalcò davanti alle due porte della scuola (il portone centrale e la porta
laterale situata a sinistra), entrambi serrate con assi e mobilia; nessun
avvertimento venne dato a coloro che si trovavano nella DIAZ "al fine di
avviare una ragionevole trattativa", come invece solitamente viene fatto in
casi del genere; né in quella fase, né prima FOURNIER avvertì il lancio di
oggetti di oggetti; una volta sfondata la porta, l'ingresso fu caotico e
confuso; egli salì subito le scale, urlando e brandendo lo sfollagente per
timore di aggressioni; giunto al primo piano, vide in un corridoio 10 o 12
giovani rannicchiati o sdraiati, ai quali ordinò in italiano e in inglese di
mettersi contro il muro, rendendosi subito conto che questi eseguivano
l'ordine con fatica per le condizioni in cui si trovavano; notò quindi una
ragazza dai capelli rasati in una pozza di sangue; urlò "basta, basta",
ordinò di riporre gli sfollagente e di uscire dalla scuola e chiese
l'intervento del personale medico; in quella fase, mentre con ogni cautela
cercava di prestare soccorso alla ragazza, venne raggiunto dal caposquadra
TUCCI.

Le relazioni dei caposquadra concordano sul fatto che non erano state date
indicazioni precise sul compito che il Reparto avrebbe dovuto svolgere
durante l'operazione, circa la quale era stato comunicato soltanto che si
trattava di un'irruzione in un edificio occupato da soggetti pericolosi.

Alcuni dei caposquadra riferiscono che l'ingresso nella scuola era stato
preceduto da un lancio di oggetti sugli agenti (così TUCCI, STRANIERI - che
parla di una "piccola trave" - e ZACCARIA, che parla invece di un "fitto e
copioso lancio di oggetti contundenti"); altri (CENNI, COMPAGNONE, LUCARONI
e LEDOTI), pur tacendone nella relazione, ne parlano nell'interrogatorio al
PM; BASILI, che non è caposquadra, dichiara al PM che vi fu il lancio di una
mazzetta da carpentiere e di altro. TUCCI riferisce inoltre che gli agenti
MANGANELLI e ANTEI furono colpiti da un sasso e riportarono così le lesioni
di cui ai rispettivi referti medici. Il "fitto e copioso lancio di oggetti
contundenti" riferito da ZACCARIA non sembra essere stato percepito come
tale da CENNI, che non solo ne tace nella relazione, ma nell'interrogatorio,
pur affermando che il lancio vi fu, non sa precisare di quali oggetti si
trattasse, non esclude che si sia trattato di "terriccio caduto dalle
impalcature" e dice comunque di non aver sentito il rumore di oggetti che
colpissero gli scudi dei suoi uomini.

Vi è una vistosa discordanza tra le relazioni anche circa quanto venne
percepito da ciascun caposquadra all'interno dell'edificio. Alcuni (TUCCI e
COMPAGNONE) non subirono né videro atti di resistenza commessi da coloro che
occupavano la scuola; videro invece personale della polizia colpire con lo
sfollagente persone che non opponevano resistenza; in particolare, TUCCI
vide dei colleghi picchiare con lo sfollagente alla rovescia e uno di essi
trascinare per i capelli una ragazza continuando a picchiarla. COMPAGNONE
appena entrato vide un uomo anziano che si dirigeva verso di loro e che
"venne travolto dalla furia" di operatori dei quali non conosce il reparto
di appartenenza; giunto al terzo piano notò "operatori ed altri accanirsi e
picchiare come belve dei ragazzi, uno di questi era a terra in una pozza di
sangue e non dava segni di vita". Altri invece (CENNI, LEDOTI, ZACCARIA)
riferiscono atti di resistenza. In particolare, CENNI scrive che mentre
saliva le scale della scuola veniva fatto oggetto di lancio di corpi
contundenti, uno dei quali avrebbe ferito l'agente PACE, che però non
risulta refertato; interrogato dal PM, CENNI modifica tale versione, dice di
non sapere se vi fosse stato o meno un lancio di oggetti e di avere scritto
quanto gli aveva riferito PACE (quest'ultimo non è mai stato sentito).
LEDOTI riferisce di essere stato aggredito da persona travisata mentre
saliva le scale; aggiunge che dai piani superiori piovevano "oggetti di
tutti i tipi" (oggetti che tuttavia non risultano repertati e dei quali non
vi è traccia nelle foto scattate all'interno della scuola e in particolare
sulle scale dal Comando Provinciale dei Carabinieri il 23.7.01); che venne
nuovamente assalito da un'altra persona armata di un bastone, riportando,
nella colluttazione che seguì, la distorsione al ginocchio destro
refertatagli; aggiunge che, giunto al terzo piano, vide una ragazza che
piangeva impaurita e decise di riaccompagnarla sotto; che, mentre
scendevano, vennero colpiti entrambi da manganellate una delle quali
raggiungeva la ragazza alla nuca facendola sanguinare (il fatto viene
riferito anche dalla ragazza in questione, BARTESAGHI, che dichiara di
essere stata colpita da manganellate e da sputi mentre un agente -
evidentemente LEDOTI - la accompagnava a pianterreno; BARTESAGHI però dice
di essere stata colpita alla nuca prima di venire accompagnata sotto da
LEDOTI e la circostanza, non riferita da LEDOTI, trova conferma nella
relazione di TUCCI in cui ancora si legge: "vedevo il V. S. LEDOTI che
portava via una ragazza ... per non farla picchiare ancora").

Quanto agli uomini della sua squadra, LEDOTI riferisce che VACCARO gli disse
di essersi fatto male (non è però refertato) e che MARRA (refertato per un
trauma al polso sinistro) gli disse di essersi ferito con lo scudo, mentre
stava entrando nella scuola. Anche ZACCARIA riferisce che, mentre salivano
le scale, venivano lanciati oggetti (sedie, tubi di ferro e vari pezzi di
legname; vale anche qui quanto si è rilevato circa le analoghe dichiarazioni
di LEDOTI), uno dei quali colpiva al volto l'agente SALVATORI (relativamente
al quale vi è in atti un referto e che, tuttavia, non è stato sentito);
ZACCARIA dice poi di aver avuto sempre sotto controllo gli agenti della sua
squadra e che nessuno di essi venne ferito, mentre vi sono in atti i referti
relativi a due agenti della squadra di ZACCARIA, LICCARDO e GALUPPI; questi
ultimi, come del resto tutti gli appartenenti al Reparto Mobile per i quali
erano state refertate lesioni, ad eccezione del solo LEDOTI, non sono stati
sentiti; ancora, ZACCARIA afferma che al primo piano erano in corso scontri
tra gli agenti in borghese e coloro che vi si trovavano, ma è contraddetto
sul punto da quanto riferito da FOURNIER e da TUCCI, che si trovavano
anch'essi sul piano. LUCARONI al suo ingresso vide personale della polizia
ingaggiato in colluttazioni violente con i presenti "operando anche in
superiorità numerica rispetto all'antagonista"; anche al terzo piano vide
colluttazioni tra operatori e giovani presenti che "probabilmente" avevano
posto in essere resistenza; precisa però che né lui né i suoi uomini vennero
fatti oggetto di resistenza.

STRANIERI, pur dichiarando di aver visto personale del suo nucleo colluttare
con persone presenti nella palestra (parla di "strattonamento reciproco"),
afferma che né lui né le persone che erano con lui subirono atti di
resistenza; aggiunge di aver difeso un ragazzo colpito alla testa al quale
dei colleghi in borghese continuavano a sferrare colpi. BASILI invece
dichiara di aver subito un colpo alle spalle e di essersi difeso con lo
sfollagente (non è refertato) e di aver visto atti di resistenza "vivaci" da
parte dei ragazzi che venivano immobilizzati a terra da personale in
borghese.

Come si vede, i caposquadra incorrono tra loro in contraddizioni consistenti
e tali quindi da far dubitare della loro attendibilità (ad esempio, LEDOTI,
presente nella scuola quando vi si trovavano anche TUCCI e FOURNIER,
fornisce una descrizione dei fatti del tutto diversa). II quadro che
complessivamente emerge dalle loro dichiarazioni (o, quantomeno, dai punti
sui quali la maggior parte di esse concordano) è quello di una violenza
esercitata ingiustificatamente dagli agenti, in assenza di atti di
resistenza (così FOURNIER, ma anche TUCCI, COMPAGNONE, LEDOTI - le
manganellate inferte su di lui e su BARTESAGHI mentre scendevano le scale -
e, in termini più attenuati, anche ZACCARIA).

Né una ricostruzione più chiara si ottiene dagli interrogatori di coloro che
firmarono il verbale d'arresto. PIFFERI (DIGOS Padova) giunse alla scuola
dopo che era stata ultimata la perquisizione e venne incaricato MORTOLA
(DIGOS Genova) di riordinare il materiale repertato. MORTOLA nelle SIT del
23.7.01 dice di non aver partecipato all'ingresso nella DIAZ e al fermo
degli occupanti, di aver appreso da altri del lancio di oggetti e degli atti
di violenza; nell'interrogatorio del 23.7.02 inspiegabilmente si dice invece
certo che "qualcosa sia volato", di avere sentito rumore di bottiglie
infrante e di aver visto un maglio cadere dall'alto. CICCIMARRA (Squadra
Mobile di Napoli) entra nella scuola mentre l'operazione è ancora in corso;
dice che prima dell'ingresso nella scuola "piovevano" oggetti contundenti,
ma non sa precisare di che oggetti si trattasse, avendo avuto solo una
sensazione di vetri rotti; dichiara di aver visto al primo un poliziotto in
procinto di colpire un ragazzo in posizione di difesa e di essere dovuto
intervenire due volte per farlo smettere. DI BERNARDINI (Squadra Mobile di
ROMA) non vide commettere atti di resistenza dagli arrestati né violenza da
parte della polizia. FERRI (Squadra Mobile di LA SPEZIA) conferma il lancio
di oggetti, ma dichiara non aver assistito ad atti di resistenza. DOMINICI
(Squadra Mobile di Genova) si recò con GAVA presso la PASCOLI perché era da
lì che proveniva il lancio di oggetti (si vedrà più avanti come l'ipotesi
che, se lancio vi fu, esso provenisse non dalla DIAZ, ma dalla PASCOLI,
trovi qualche conferma nelle dichiarazioni di CALDACI, che dirigeva il
Nucleo radiomobile dei Carabinieri e in quelle del Prefetto LA BARBERA). DI
SARRO (DIGOS Genova), pur essendo arrivato quando ancora non era stato
aperto il portone della scuola, non parla di lancio di oggetti dalle
finestre. CALDAROZZI (SCO) arriva dopo che è stata effettuata l'irruzione;
vede tracce di sangue sul pavimento della scuola, mentre gli atti di
resistenza gli vengono riferiti.

In sintesi, i soli punti sui quali concordano le dichiarazioni dei
funzionari presenti (siano essi appartenenti al Reparto Mobile, alle
Questure o allo SCO) sono i seguenti: all'arrivo del contingente persone
rimaste non identificate chiusero il cancello che dava accesso al cortile
antistante la DIAZ e quindi ripararono nella scuola; il cancello venne
sfondato con un furgone, mentre le porte dell'edificio venivano chiuse
dall'interno; pochi minuti dopo l'accesso degli operatori vi erano tra i
giovani che lo occupavano dei feriti, alcuni dei quali in serie condizioni.

Le dichiarazioni dei funzionari non concordano invece, come si è visto, sul
lancio di oggetti dalle finestre della DIAZ, lancio che avrebbe avuto luogo
mentre gli operatori si accalcavano davanti alle porte chiuse e che nel
verbale d'arresto viene descritto come "fittissimo", ma che non venne
neppure percepito da molti dei funzionari presenti. A parlare del lancio
sono soprattutto i caposquadra del Reparto Mobile, le cui dichiarazioni sono
però contraddittorie: qualcuno parla di una vera e propria "pioggia" di
oggetti (ZACCARIA, secondo il quale sarebbero stati lanciati bulloni, sassi,
bottiglie e vetri), qualcuno (CENNI, interr. del 22.9.01) dice che poteva
trattarsi anche di terriccio proveniente dalle impalcature. Quanto a coloro
che dirigevano il Reparto, come si è visto, CANTERINI ridimensiona il fitto
lancio di oggetti contundenti, di cui alla sua prima relazione, dicendo di
aver percepito soltanto "qualcosa che cadeva sopra gli scudi", mentre
FOURNIER dichiara di non aver percepito alcun lancio.

Si e già detto che neppure le dichiarazioni di coloro che firmarono il
verbale d'arresto valgono a dirimere i dubbi che derivano dalle relazioni,
dalle SIT e dagli interrogatori degli appartenenti al Reparto Mobile,
sottolineandosi qui che DI SARRO, che conduceva una delle due colonne, non
fa alcun riferimento a tale lancio e MENGONI, che di tale colonna faceva
parte, dichiara di aver visto gente alle finestre "che gridava, scattava
fotografie". Il Prefetto LA BARBERA parla di un lancio di oggetti dalle
finestre, ma lo riferisce al momento in cui veniva sfondato il cancello,
mentre tutti coloro che affermano che tale lancio vi fu lo situano in un
momento successivo e cioè quando gli operatori si trovavano ormai nel
cortile antistante la scuola e cercavano di forzarne le porte; in un
successivo interrogatorio LA BARBERA dirà di ritenere che gli oggetti
venissero lanciati non dalle finestre della DIAZ, ma da quelle della
PASCOLI. LUPERI (Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione) dichiara
che da una posizione arretrata, vide lanciare oggetti sugli uomini già
entrati nel cortile, ma poi rettifica tale dichiarazione (interr. 12.6.02)
precisando di aver avuto solo "la sensazione che qualche oggetto fosse stato
gettato dalle finestre, avendogli FIORENTINO indicato a terra un pezzo di
marmo o cemento, "a suo dire" scagliato da una finestra. GRATTERI, direttore
dello SCO, sebbene anche lui presente sul luogo, non avvertì il lancio di
oggetti. Infine, CALDAROZZI, arrivato dopo l'irruzione, dichiara di non aver
visto all'esterno dell'edificio oggetti in terra riferibili al lancio dalle
finestre e, come si dirà più avanti, tale sua affermazione trova piena
conferma nelle fotografie scattate di Carabinieri due giorni dopo.

Si è dunque in presenza di due versioni contrastanti, da un lato quella
degli arrestati, che negano il lancio di oggetti, dall'altro quella di
alcuni funzionari di polizia, che affermano che tale lancio vi fu. Questi
ultimi, come si è visto, vengono smentiti dai loro stessi colleghi.

Né la loro versione può ritenersi suffragata dalle dichiarazioni del teste
TUMIATI che ha detto di aver visto lanciare dalla scuola "sassi, bastoni ed
ogni tipo di oggetti atti ad offendere"; dal contesto delle sue
dichiarazioni si evince che il lancio sarebbe stato da lui visto dalla sua
abitazione (il teste non dice infatti di essersi trovato per strada).
TUMIATI abita in Via Trento 7, edificio che si trova a un centinaio di metri
dalla scuola e in posizione defilata, per cui solo alcuni degli appartamenti
che ne fanno parte (l'interno che contrassegna l'appartamento del teste non
viene indicato nel verbale di SIT) ne hanno una visione, comunque

molto parziale. Anche qualora l'appartamento di TUMIATI fosse tra questi,
non è verosimile che nel buio della notte egli abbia potuto vedere a
parecchie decine di metri di distanza un lancio di oggetti comunque di non
grosse dimensioni, lancio che neppure veniva percepito da alcuni dei
funzionari che invece si trovavano sul posto.

CALDACI, responsabile di un Nucleo mobile dei Carabinieri (ai Carabinieri
era stato attribuito il compito di fare da cordone intorno alla scuola
mentre si svolgeva l'operazione), arrivato quando il cancello era stato
sfondato, riferisce anche lui di un lancio di oggetti, ma afferma che
proveniva non dalla DIAZ, bensì dalla PASCOLI ("alcuni oggetti, come una
bottiglia di vetro che mi si è rotta davanti; era comunque poca roba ed
hanno smesso subito").

Infine, vi sono in atti fotografie scattate dal Comando provinciale dei
Carabinieri la mattina del 23,
alcune delle quali ritraggono il cortile antistante la DIAZ; in tali foto
si vedono sulla pavimentazione fogli di carta, sacchetti della spazzatura e,
accanto ad un muro, anche tre monitor danneggiati (ma non infranti), il che
fa ritenere che, nel breve tempo decorso dai fatti della notte del 21 - 22,
nessuno sia intervenuto per ripulire il cortile, sul quale però non vi è
traccia alcuna degli "oggetti contundenti" (sassi, bottiglie, pezzi di
cemento, tutti oggetti non repertati) che vi sarebbero stati lanciati.

Un'ultima considerazione conferma le dichiarazioni degli arrestati e di
quelli tra i funzionari che non percepirono il lancio di cui al verbale
d'arresto. Tale considerazione deriva dall'esame dei referti relativi alle
lesioni subite dagli agenti. Dopo lo sfondamento del cancello si accalcano
nel cortile antistante la DIAZ più di cento operatori, solo la metà dei
quali (i componenti del Reparto Mobile) è fornita di scudo, il resto del
personale di polizia essendo protetto soltanto dal casco. Le lesioni
risultanti dai referti riguardano diciassette operatori, solo due dei
quali, gli ispettori COZZOLINO e SALOMONE, non appartengono al Reparto
Mobile. Circa le lesioni subite il primo ha dichiarato di essersi ferito
accidentalmente mentre trasportava una barella e il secondo di essere
entrato nella PASCOLI e non nella DIAZ e di essersi anche lui fatto male
mentre collaborava al trasporto dei feriti. E' quindi del tutto improbabile
che dal lancio di oggetti, fitto o meno che fosse, in un cortile in cui si
accalcavano più di cento uomini, i soli a riportare lesioni fossero ANTEI e
MANGANELLI (che non sono mai stati sentiti) entrambi appartenenti al Reparto
Mobile, i cui componenti erano i soli tra gli operatori presenti a disporre
di scudi protettivi. Né si può sostenere che ciò avvenne perché i primi ad
entrare nella scuola (e, quindi, ad accalcarsi davanti alle due porte)
furono gli uomini del Reparto Mobile, a ciò ostando le dichiarazioni di
tutti i funzionari di tale Reparto (CANTERINI, FOURNIER e i caposquadra, ivi
compresi quelli che affermano che il lancio di oggetti vi fu), che hanno
invece sostenuto di essere stati preceduti nell'ingresso da personale "con
pettorina" (e quindi appartenente alle Squadre Mobili e alle DIGOS delle
varie Questure) o in divisa "atlantica" (SCO).

Mentre non può escludersi che qualcosa possa essere stato lanciato dalle
finestre della PASCOLI, e quindi, ad una certa distanza dagli operatori
ammassati nel cortile della DIAZ (ma ovviamente il punto è del tutto
irrilevante ai fini della presente decisione), non può invece affermarsi,
neppure con un minimo grado di certezza, che coloro che si trovavano nella
DIAZ e che vennero poi arrestati abbiano lanciato oggetti sulle forze di
polizia.


Deve poi escludersi essi abbiano posto in essere atti di resistenza nei
confronti del personale di polizia, una volta che questo riuscì ad accedere
all'interno della DIAZ.

Di tutti i funzionari di polizia sentiti, i soli a riferire di atti di
resistenza sono gli appartenenti al Reparto Mobile LEDOTI e BASILI (che
dichiarano di averli subiti, ma il secondo non risulta aver riportato alcuna
lesione ed il primo una distorsione al ginocchio difficilmente compatibile
con le dinamiche da lui descritte) e STRANIERI e ZACCARIA (il primo dice di
aver assistito a "strattonamenti reciproci" tra personale del suo nucleo e
persone presenti nella palestra e il secondo parla delle lesioni riportate
dall'agente SALVATORI). A fronte di tali dichiarazioni vi sono però quelle
di altri appartenenti allo stesso Reparto Mobile (FOURNIER e CANTERINI, ma
anche TUCCI, CENNI, LUCARONI e COMPAGNONE) che negano di aver assistito ad
atti di resistenza e di aver invece constatato che molti di coloro che poi
vennero arrestati presentavano lesioni, prevalentemente al capo (in
proposito, FOURNIER usa l'espressione "macelleria messicana"). Si tratta di
operatori appartenenti tutti allo stesso Reparto e che, quindi, per quanto
caotico possa essere stato l'accesso alla DIAZ, non possono non esservi
entrati simultaneamente o a distanza di pochi minuti gli uni dagli altri
(tanto emerge anche dalle loro dichiarazioni, come già si è osservato nel
trattare di quelle di LEDOTI, TUCCI e FOURNIER).

Un'ulteriore conferma alla versione del fatto complessivamente resa dagli
indagati, secondo la quale il personale di polizia si sarebbe accanito nei
confronti di persone che non opponevano alcuna resistenza, deriva anche
dalle dichiarazioni degli stessi firmatari del verbale d'arresto che, pur
affermando di essere arrivati "a cose fatte", hanno però detto di aver
constatato le conseguenze della violenza esercitata sugli arrestati e invece
nulla hanno detto circa tracce di atti di resistenza che questi ultimi
avrebbero opposto (uomini feriti, ma anche, ad esempio, oggetti sparsi sulle
scale dai quali desumere che potessero essere stati lanciati addosso agli
agenti corpi contundenti). Alle dichiarazioni che si sono sopra riassunte
devono aggiungersi quelle di LUPERI, che, entrato nella scuola circa dieci
minuti dopo l'ingresso dei primi uomini vide al piano terra 40 o 50 persone
sedute, alcune delle quali ferite e quelle di MURGOLO (Questura di Bologna)
che vide la stessa scena e ne chiese spiegazioni a CANTERINI, ottenendo in
risposta che vi erano stati atti di resistenza (atti che, come si è già
osservato, CANTERINI ha poi dichiarato di non aver visto).

Le dichiarazioni degli arrestati trovano infine un importante riscontro nei
referti medici relativi alle lesioni riportate. Di essi, 62 dovettero
ricorrere alle cure dei servizi di Pronto Soccorso degli Ospedali cittadini.
Per tre (COVELL, BARO e JONASCH) venne riservata la prognosi e di 28 venne
disposto il ricovero. Quasi tutti i referti portano l'indicazione di "trauma
cranico", alla quale si aggiungono per molti fratture degli arti superiori,
proprie di chi tenti di difendersi dai colpi proteggendosi il capo con le
braccia.

Inoltre, quanto precede non è smentito dai diciassette referti relativi alle
lesioni subite dagli agenti.

In proposito, si ricorda innanzitutto che solo due agenti (COZZOLINO e
SALOMONE della Squadra Mobile di Napoli) dovettero recarsi presso un Pronto
Soccorso, mentre per gli altri, che appartengono tutti al Reparto Mobile di
Roma, fu sufficiente la vista del medico della Polizia di Stato. Per nessuno
di questi vennero diagnosticate lesioni di qualche importanza (tanto è vero
che la richiesta, presentata a meno di una settimana dai fatti dalla difesa
di alcuni arrestati, di perizia diretta ad acceratare le cause e l'entità
delle lesioni riportate dagli agenti venne respinta dal GIP dr. Todella il
31.7.01, in quanto "un accertamento medico-legale su lesioni di così lieve
entità, per le quali sono già decorsi i giorni di prognosi di guarigione,
non porterebbe ad alcun risultato o apprezzabile"). La vistosa sproporzione
tra i traumi subiti dagli arrestati e le lesioni risultanti dai referti
degli agenti non porterebbe di per sé ad escludere che quantomeno qualche
atto di resistenza possa esservi stato, al quale sarebbe seguita un'accanita
e violenta reazione da parte degli agenti. E tuttavia, oltre richiamare qui
quanto già si è detto sulle dichiarazioni rese dagli stessi funzionari di
polizia che videro colleghi colpire persone che non opponevano resistenza
alcuna, deve aggiungersi che gli agenti COZZOLINO e SALOMONE (i soli, oltre
a LEDOTI, dei refertati ad essere stati sentiti) hanno dichiarato, come si è
già detto, di essersi feriti mentre collaboravano nel trasporto dei feriti.
A ciò deve aggiungersi che dalle dichiarazioni di LEDOTI e di LUCARONI
risulta che gli agenti MARRA, FINOCCHIO e CASTAGNA riportarono le lesioni
refertate perché urtati da altri colleghi mentre entravano nella scuola.
Questo non soltanto riduce a 12 il numero degli agenti le cui lesioni
potrebbero in astratto essere attribuite ad atti di resistenza, ma rende
plausibile che tali lesioni si siano venrificate accidentalmente,
soprattutto nella fase di ingresso alla DIAZ (descritta, tra gli altri, da
FOURNIER come particolarmente caotica), con la conseguenza che neppure
questi 12 referti possono smentire la versione dei fatti sulla quale
concordano le dichiarazioni degli arrestati e di molti degli operatori di
polizia.

Vi è un ultimo elemento, che costituisce ulteriore riscontro alla
ricostruzione secondo la quale la violenza sulle persone poi arrestate si
scatenò in modo del tutto indipendente da atti di resistenza da esse posti
in essere.

Uno dei feriti più gravi, il giornalista inglese COVELL, interrogato dal PM
il 27.7.01 (non aveva potuto presenziare all'udienza di convalida
dell'arresto tenutasi il 25 per le gravi condizioni in cui si trovava; era
infatti in prognosi riservata per "pneumotorace, trauma emitorace, spalla e
omero e trauma cranico") dava la seguente versione dei fatti: la sera del
21, mentre era nella DIAZ aveva sentito gridare "Carabinieri, Carabinieri";
era quindi corso fuori con un'altra persona (da lui indicata come
"Sebastian") e aveva trovato il cancello chiuso con un lucchetto; il ragazzo
che lo aveva chiuso gli aveva aperto ed egli era cosi potuto uscire sulla
strada; aveva visto arrivare "uno schieramento di Carabinieri, circa 200";
la persona che era davanti allo schieramento lo aveva colpito al collo "con
uno strumento" un altro lo aveva spinto contro il muro con lo scudo e gli
aveva picchiato le gambe con il manganello, facendogli perdere l'equilibrio;
lui si era messo a gridare di essere giornalista ("press, press"), nel
tentativo di fermarli, ma gli era stato risposto "you are a black block, we
gonna kill blackblocks" e in cinque o sei lo avevano preso a calci e a
manganellate mentre era a terra; dopo qualche minuto un "carabiniere" gli
aveva sferrato un calcio alla schiena, seguito da altri, che lo avevano
preso a calci per circa cinque minuti sospingendolo "come una palla da
foootball" fino al centro della strada; era arrivato un altro "carabiniere
che aveva ordinato ai colleghi di smettere e gli aveva tastato il collo per
sentire i battiti; aveva quindi visto un furgone che sfondava il cancello,
dal quale entravano nel cortile della DIAZ settanta - cento uomini, arrivati
da tutte le parti; a quel punto aveva cercato di alzarsi per fuggire ma era
sopraggiunto un agente che gli aveva sferrato con il manganello più colpi,
uno dei quali gli aveva fatto perdere denti e sangue e a quel punto era
svenuto.

Non diversamente dagli altri arrestati, COVELL descrive una violenza
(particolarmente accanita e reiterata, nel suo caso) non preceduta da alcun
atto di resistenza da parte sua. La peculiarità del suo racconto sta
ovviamente nel fatto che sarebbe stato picchiato sulla pubblica via, prima
ancora che avesse inizio la perquisizione (e, quindi, prima che venissero
posti in essere il lancio di oggetti e gli altri atti resistenza di cui al
verbale d'arresto). Il riferimento ai "carabinieri" potrebbe indurre a
dubitare della sua attendibilità (sebbene, trattandosi di straniero,
l'equivoco appare giustificato), dal momento che è pacifico che il
contingente di carabinieri, che aveva il compito di formare un cordone
intorno alla DIAZ, arrivò in un momento successivo e non entrò nel cortile
della scuola, mentre COVELL riferisce del cancello forzato e dell'ingresso.

Ma è davvero difficile dubitare di del racconto di COVELL che trova conferma
non soltanto nel referto relativo alle lesioni da lui riportate, ma anche
nelle dichiarazioni di due appartenenti alla polizia. MORTOLA ha infatti
dichiarato (interr. 23.7.02) "all'esterno del cancello dalla mia posizione
ricordo di aver visto una persona, nei pressi dei cassonetti, caduta a
terra; dico così perché l'ho vista che era già a terra; non so dire se fosse
ferita; non mi sono interessato perché c'erano alcuni poliziotti vicino ad
occuparsene; non so nemmeno dire se questa persona sia stata arrestata; dal
contesto di quanto dichiarato da MORTOLA in quell'interrogatorio risulta che
il dirigente della DIGOS si trovava all'esterno del cancello (a quel punto
già forzato) e a circa 20 - 25 metri dallo stesso. A ciò si aggiunge quanto
dichiarato dall'agente BURGIO, sentito come teste in relazione alla vicenda
delle molotov il 4.7.02; in tale occasione BURGIO ha riferito di aver
seguito con il furgone un'auto dello SCO, di aver parcheggiato il mezzo in
piazza Merani e di essersi diretto verso la DIAZ, notando così che "c'era
molta confusione davanti alla scuola; mi ricordo addirittura di aver visto
poco distante dalla piazzetta una persona a terra molto ferita e che ho
personalmente provveduto a soccorrere versandogli dell'acqua sulle ferite,
non era italiano, mi preoccupai di chiamare e sollecitare l'arrivo di
un'ambulanza".

Le dichiarazioni che precedono, delle quali non vi è alcun motivo di
dubitare, non possono riferirsi che a COVELL, posto che nessuno degli altri
arrestati risulta essersi trovato fuori dalla scuola e non vi è notizia di
feriti; estranei all'operazione DIAZ, soccorsi in quella notte in via Cesare
Battisti. E' del resto impensabile (e comunque nessuno ne riferisce) che
nelle gravissime condizioni in cui si trovava, COVELL possa essere uscito
dalla scuola mentre era in corso la perquisizione ed avere attraversato il
cortile, portandosi sulla strada, senza che nessuno dei numerosi operatori
di polizia presenti se ne avvedesse.

Dunque, nessuno degli operatori sentiti ha smentito quanto dichiarato da
COVELL ed anzi due di essi ne hanno fornito una conferma.

Da tutto quanto precede consegue che la sola ricostruzione possibile sulla
base degli atti di questo procedimento di quanto accadde alla DIAZ nella
notte 21-22.7.01 è quella che di fatto esclude che gli indagati abbiano
posto in essere atti di resistenza e ciò, in sintesi, perché quanto dagli
stessi dichiarato non ha trovato una seria smentita, ma semmai delle
conferme nelle dichiarazioni rese dagli operatori di polizia negli atti del
procedimento n. 14125/01, allegati in copia, atti nei quali sostanzialmente
si esauriscono le indagini svolte sull'episodio.


Resta infine da esaminare l'ipotesi di citi all'art. 337 cp nella forma
della."violenza impropria" avendo il PM ravvisato il reato nel comportamento
di coloro che, all'arrivo della polizia chiusero le porte, mettendovi contro
della mobilia. Il fatto è provato: su di esso concordano le dichiarazioni
rese dai funzionari, dal teste GIESER e vi sono anche le ammissioni di
alcuni degli arrestati che hanno detto di aver visto altri porre in essere
tale comportamento. Un'attenta lettura dell'elaborazione giurisprudenziale
del concetto di violenza impropria ed, in particolare delle ipotesi nelle
quali ne è stata ravvisata la sussistenza, porta ad escludere che tale tipo
di violenza ricorra nel caso in esame. E' certamente pacifico che la
violenza di cui all'art 337 cp non debba necessariamente essere esercitata
sul pubblico ufficiale, ma possa avere ad oggetto anche persone diverse da
questi (ivi compreso lo stesso autore del reato - cosi Cass. sez. 6 n 2020
del 11.2.89) ovvero cose. Tuttavia pur sempre di violenza deve trattarsi e
cosi gli esempi di "violenza impropria" che si ritrovano nella
giurisprudenza sono quelli di chi, strappato un documento dalle mani del
pubblico ufficiale, tenta di distruggerlo (Cass. sez. 6 n. 11897 del
12.12.92); dei tifosi che aggrediscono i pullman che trasportano la squadra
ospite (Cass. sez. 6 n. 15040 del 3.11.89); di chi, sferrato un calcio
contro un mobile, colpisce per errore un carabiniere (Cass. sez. 6 n 3682
del 28.10.97) e, di chi, in automobile, per sottrarsi a un inseguimento,
compie manovre pericolose (Cass. sez. 4 n. 4325 del 13.1.83) ovvero non
ottempera all'alt intimategli e dirige il veicolo contro gli agenti (Cass.
sez. 6 n. 7061 del 15.7.96). Dall'esame degli esempi ricorrenti in
giurisprudenza emerge che non qualsiasi attività diretta ad ostacolare il
compimento dell'atto del pubblico ufficiale configura violenza impropria, ma
che l'ipotesi ricorre solo quando sulle cose venga esercitata una violenza
diretta a danneggiarle (l'impossessarsi di un documento per distruggerlo,
l'aggressione ai pullman, il calcio sferrato contro il mobile) ovvero quando
il comportamento si concreti quantomeno in una messa in pericolo di persone
o di cose (le manovre spericolate dell'automobilista in fuga) e non anche,
ad esempio, nel caso, frequente e del tutto simile a quello oggi in esame,
del detentore di stupefacente che, avendo percepito l'arrivo della polizia,
chiuda a doppia mandata e con il chiavistello la porta di casa.

Con le precisazioni che precedono deve essere quindi accolta la richiesta
del PM.

PQM

dispone l'archiviazione del procedimento, ordinando la restituzione degli
atti al Pubblico Ministero in sede.

Genova, 12.5.03

IL GIUDICE

(dr. Anna Ivaldi)

.
.