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11.02.12

DIAZ, LA VERA QUESTIONE


DIAZ, LA VERA QUESTIONE

La proiezione a Berlino del film "Diaz" – che non abbiamo ancora visto - scioccherà probabilmente molte persone: sarà più facile capire perché riteniamo intollerabile, per un paese democratico, che la polizia di stato non abbia mai ripudiato quella brutale operazione, che non ha causato morti solo per caso. Si è anzi tentato di coprire e negare gli spaventosi abusi di potere con una imbarazzante e vergognosa catena di menzogne e falsi.

I vertici di polizia di questo decennio - rimasti peraltro pressoché invariati - portano tutta la responsabilità per avere reso possibili quei fatti e per essersi rifiutati di prendere provvedimenti seri per ristabilire la dignità e la credibilità del corpo di polizia. Il fatto che i governi dell'ultimo decennio abbiano assecondato questa condotta rende il quadro ancora più grave.

Vogliamo ricordare che:

- gli agenti picchiatori sono sfuggiti alla giustizia perché coperti quella notte da caschi e foulard, e in aggiunta la polizia di stato ha evitato di agire con gli strumenti disciplinari di cui dispone: per noi è un avallo di quei comportamenti;

- l'opera della magistratura, com'è ampiamente noto, è stata ripetutamente e pervicacemente ostacolata con l'omertà, la non collaborazione, l'omissione, provocando un conflitto del tutto incompatibile con i doveri istituzionali di funzionari dello stato (ricordiamo, fra i tanti inqualificabili episodi, la scomparsa delle bombe molotov e la mancata identificazione di uno dei firmatari del verbale d'arresto);

- i dirigenti imputati nel processo non sono stati sospesi né al momento del rinvio a giudizio (com'è di regola nell'Europa democratica) e nemmeno dopo le condanne in appello; alcuni di loro occupano addirittura posizioni di maggiore rango e responsabilità rispetto al 2001: si è cioè calpestato il principio di salvaguardia della credibilità dell'istituzione rispetto alla sorte giudiziaria dei singoli. Il capo della polizia Manganelli ha dichiarato di voler attendere sentenze definitive, ma neppure quelle sono servite a sospendere dal servizio i responsabili delle violenze, come dimostra il caso del vicequestore condannato con sentenza passata in giudicato per le violenze del G8 senza alcuna ripercussione sulla sua carriera.

La condotta della polizia di stato ha quindi coperto di fango l'immagine del nostro paese, quanto e più delle violenze del 21 luglio 2001.

Lo stato italiano - in alcuna delle sue componenti - non ha mai chiesto scusa alle vittime delle violenze e dei falsi, né alla cittadinanza, che si aspetta dalla polizia di stato il rigoroso rispetto delle leggi e dell'etica costituzionale.

Se davvero l'Italia vuole uscire con dignità dall'abisso di illegalità e di abusi in cui precipitò durante le giornate del luglio 2001, è ora che qualcuno, ai vertici istituzionali, presenti finalmente queste scuse e cominci quell'opera di pulizia e di trasparenza che non è stata avviata in questi anni.

C'è bisogno di una nuova, autentica riforma democratica della polizia di stato.

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